Il figlio di Phillip Meyer

La storia degli Stati Uniti scritta nel sangue delle pianure del Texas

30 / 4 / 2014

James Ellroy apre America Tabloid, primo di una trilogia sulla storia americana che comprende Sei pezzi da mille e Il sangue è randagio, con questa riflessione: l’America non è mai stata innocente, il peccato se lo portavano già con loro i primi bianchi sbarcati nel Nuovo Continente. Questa mancanza di innocenza come la definisce Ellroy e che egli descrive magnificamente, raccontando con spietata crudezza le vicende politiche degli anni sessanta e settanta statunitensi – dall’ascesa dei Kennedy ai rapporti tra politica e mafia italoamericana e cubana, dalla crisi di Cuba al tentativo di invasione alla Baia dei Porci, sino alle operazioni “coperte” della CIA contro il nemico comunista e alla repressione del dissenso affidata all’FBI – la ritroviamo anche nel libro da poco edito in Italia da Einaudi di Phillip Meyer Il figlio.

L’America (intesa come Stati Uniti) innocente non lo è stata mai: non lo è stata certo nei rapporti con i nativi americani, tanto meno con i vicini messicani e poi con gli abitanti del cosiddetto “giardino di casa” del resto delle Americhe, centrali e meridionali. Non lo è stata quando ha allargato lo sguardo oltre il Pacifico, nelle Filippine prima e poi nel resto del Continente; tanto meno in Europa e recentemente nel mondo globalizzato. Lo ha fatto con armi diverse, utilizzando a volte la forza militare, altre volte quella economica, altre ancora entrambe, sempre senza particolari remore e moralismi. Risultati pratici ed effetti collaterali hanno accompagnato le scelte di volta in volta prese in questa o quella crisi dove erano in gioco interessi nazionali o multinazionali (che sono in pratica la stessa cosa).

Se Ellroy, dopo aver scritto la storia con la sua originale chiave di lettura del Dipartimento di polizia di Los Angeles nella sua più famosa quadrilogia, si è concentrato in questo trittico sulla storia recente degli Stati Uniti, Meyer, utilizzando con molta abilità le atmosfere western, parla delle origini del Texas e della sua evoluzione attraverso la storia dei membri di una grande famiglia che da proprietari terrieri e allevatori di bestiame diventano magnati del petrolio. Sono gli anni della conquista di un grande e ricco territorio strappato con la violenza e l’inganno a chi lo abitava prima, nativi americani e messicani, sfruttato prima per l’allevamento di bestiame e poi per lo sfruttamento del petrolio e per il suo uso politico nel contesto nazionale e internazionale.

Meyer lo fa in maniera originale percorrendo la storia della dinastia dei McCullough, pionieri, allevatori di bestiame e poi petrolieri; lo fa intercalando nella storia il racconto di tre diverse generazioni, quella del capostipite Eli, centenario e mitico personaggio della dinastia dei McCullough, che ha conteso la terra ai Comanche, l’ha strappata ai messicani e si è arricchito attraverso i traffici illeciti durante il caos della Guerra Civile; quella del figlio Peter che ha invece un animo dolce e subisce la politica di violenza, discriminazione ed espropriazione nei confronti di ciò che rimane dei vicini proprietari terrieri messicani perseguita dal padre ma anche dai suoi figli; della pronipote Jeanne Anne, altrettanto dura e spietata come Eli, magnate del petrolio e vera deux ex machina della dinastia negli anni 50-60 del 20° secolo.

Meyer descrive il Texas come una terra bellissima e allo stesso tempo intrisa di violenza dove nessuno, appunto, è innocente: non lo sono i Comanche che rapiscono bambino Eli per farne un guerriero; che hanno estromesso con la forza da questo territorio tribù meno guerrierie ma anche gli stessi Apache costretti a trasmigrare verso il vicino New Mexico, Arizona e il confinante Messico; non lo sono i messicani che hanno conteso il territorio agli indiani uccidendo, terrorizzando, torturando e massacrando allo stesso modo; non lo sono gli inglés, arrivati in Texas alla spicciolata per poi conquistarlo con le stesse armi e la medesima e ancor maggiore brutalità degli altri.

Il libro di Meyer è una grande saga familiare e storica che abbraccia un lungo arco di tempo, descrivendo situazioni e realtà fra loro diversissime, dal Texas conteso agli indiani al Texas della discriminazione verso i messicani ridotti a lavoranti, dal Texas della crisi del mercato del bestiame all’esplosione economica della produzione del petrolio con la conseguente devastazione di intere parti di pascolo sommerse dall’oro nero. Ma il racconto scorre fluido, avvincente, mentre si intercalano, si intrecciano, si interrompono a vicenda per poi riannodarsi, le vicende personali dei tre principali personaggi a cui fanno da sfondo le storie degli altri membri della dinastia McCullough e delle tante persone che condividono la loro esistenza.

Forti atmosfere western che ricordano in alcuni momenti quelle magistrali di Meridiano di sangue dell’immenso Cormac McCarthy, accompagnano la vicenda di Eli che, rapito dai Comanche, ne assorbe la parte guerriera della loro cultura, ne diventa uno di loro e porta in memoria, al momento del ritorno tra i bianchi, tutta la concreta spietatezza per attraversare con profitto gli anni della Guerra Civile, arricchirsi a discapito di chi si pone, anche senza volere, di traverso nella conquista di un territorio, ritenuto suo di diritto. Eli fonda il potere della dinastia sul possesso della terra, sulla ricchezza ricavata dall’allevamento di grandi quantità di bestiame e lo difende con la crudeltà del guerriero, senza alcuna remora se non l’istinto di sopravvivenza che animava le bande comanche. Ci sono momenti nella sua esistenza in cui affiorano sentimenti diversi, ricordi di vita sia familiare precedente alla razzia e rapimento indiano, che successivi della tribù che lo ha cresciuto, che presentano una umanità non esclusivamente spietata, dettata dalle ferree leggi della sopravvivenza e della sopraffazione del più forte ma sono, appunto, attimi che presto accantona per seguire il suo personale sentiero di sangue e di potere. Un sentiero che Meyer ci racconta come comune ad una umanità rapace, quella appunto che ha fondato il Texas. L’esistenza di Jeanne Anne è quella che meglio si avvicina alla personalità del centenario Eli, una ragazza e poi una donna in carriera che rimuove progressivamente ogni debolezza data dai sentimenti e dalle ansie d’amore, fragilità combattute per coltivare, di contro, la durezza del potere, del cinismo e della determinazione violenta per mantenere intatto il patrimonio familiare, incrementarlo e combattere le battaglie nell’agone dello spietato mercato capitalistico. Magnate del petrolio in un mondo di uomini di potere, Jeanne Anne non è affatto una vittima e una debole: è la degna erede dei granitici McCullough sino alla fine.

Solo con la storia di Peter l’autore offre una possibile opzione diversa, la possibilità che in tanta crudezza dettata dalla lotta per la supremazia come forma connaturata alle esistenze umane in una terra dura, selettiva e spietata allo stesso modo come il Texas del Il figlio, possa esistere una soluzione diversa di vivere la vita, fatta di convivenza, condivisione di sentimenti e di condizioni materiali. Insomma un’altra umanità non legata al potere e alla sopraffazione per conquistarlo, detenerlo ed estenderlo.

 

29 aprile 2014

 

Unknown

 

Info:

 

Phillip Meyer

Il figlio

Einaudi editore 2014

 

Cormac McCarthy

Meridiano di sangue

Einaudi editore 1996

 

James Ellroy

America Tabloid

Sei pezzi da mille

Il sangue randagio

Mondadori editore

 

Quadrilogia del Dipartimento di Polizia di Los Angeles

Dalia Nera

Il grande nulla

L.A. Confidential

White Jazz

Mondadori