“il Maledetto United”

IL CALCIO INGLESE NEL RACCONTO DI DAVID PEACE

11 / 5 / 2013

 

David Peace non è uno scrittore facile. La sua scrittura è frammentata, essenziale, contraddistinta da ossessive ripetizioni e puntualizzazioni. La sua narrazione è scarna, brutale, violenta. Ma colpisce il lettore al cuore e, soprattutto, allo stomaco facendolo vivere le stesse sensazioni, gli stessi tormenti, illusioni, gioie e dolori dei personaggi dei suoi libri. Ad esempio, il suo Red Riding Quartet, quadrilogia noir ambientata nello Yorkshire tra la metà degli anni 70 e i primi anni 80, è una vera e propria immersione del lettore nell’orrore dei delitti perpetrati dallo “squartatore dello Yorkshire” e nella melma della violenza e della corruzione della polizia e della politica, tra copertura di sospetti eccellenti e demonizzazioni di poveri cristi come capri espiatori. Solo il migliore Ellroy  con “L.A. Confidential”, “Wite Jazz”, “American Tabloid” e “Sei pezzi da mille” si avvicina per stile, contenuti e intensità narrativa al Peace di “1974”, “1977”, “Millenovecento80” e “Millenovecento83”.

Quando allora David Peace decide di raccontare una storia di calcio con la stessa intensità con cui ha raccontato l’atmosfera delle comunità dello Yorkshire di fronte alla sequenza dei delitti efferati e mai risolti del decennio 1974-1983, questa risulta una magnifica miscela di epica e sudore proletario e di corruzione e condizionamenti dei poteri forti. Perché Peace racconta specificatamente il particolare modo di praticare il calcio nelle isole britanniche. Tutto il romanzo, inoltre, è immerso nella singolare aura partecipativa popolare che lega la working class britannica a questo gioco. Insomma Peace ci parla del calcio britannic e della sua mistica popolare prima dell’avvento della Premier League miliardaria. Eccone un assaggio:

“L’inverno peggiore del Ventesimo secolo inizia il giorno di Santo Stefano del 1962. Il Grande Gelo. Rinvii […] La finale di Coppa rinviata di tre settimane. Con questo tempo oggi ci si muore. Ma non a Roker Park, Sunderland. Non contro il Bury. L’arbitro entra in campo all’una e mezza. A Middlesbrough hanno sospeso la partita. Ma il tuo arbitro no. Il tuo arbitro decide che la tua partita si può giocare. […]Mezzora prima del calcio di inizio sei all’imboccatura del tunnel con la tua maglia  a maniche corte a strisce verticali biancorosse, i tuoi pantaloncini bianchi e i tuoi calzettoni bianchi e rossi, a guardare per dieci minuti i chicchi di grandine che rimbalzano sul campo da gioco. Non vedi l’ora di uscire. Non vedi la cazzo di ora. Nevischio in faccia, ghiaccio sotto i piedi e freddo nelle ossa. Un passaggio vagante nella loro area di rigore e uno scatto nel fango, i tuoi occhi sulla palla e la tua testa al gol; sono già ventotto questa stagione. Ventotto. Il loro portiere si avvicina, il loro portiere si avvicina, i tuoi occhi sulla palla, la tua testa rivolta a quel gol, il ventinovesimo. Il loro portiere è qui, la tua testa ancora a quel gol, la sua spalla sul tuo ginocchio.

Craaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa-aaaaaaaaaaaac…..

Il boato e il fischio, il silenzio e le luci che si spengono. Sei a terra, nel fango, con gli occhi aperti e la palla ferma. […] “Andiamo arbitro” ride Bob Stokoe, il centromediano del Bury “Fa solo scena, cazzo, è Clough!”.  Sulle mani e sulle ginocchia, nel fango pesante, sempre più pesante. “Non questo qui” dice l’arbitro “Questo qui non fa scene”. “

Si respira in questo brano la stessa atmosfera di “Ogni maledetta domenica” di Oliver Stone. Per Brian Clough, come per Cap Rooney e Luther “Shark” Lavay, veterani giocatori degli Sharks allenati da Toni D’Amato/Al Pacino nello splendido film di Stone, si tratta dell’ultima partita: un incidente al ginocchio di quella gravità negli anni 60 chiudeva le carriere per i calciatori.

Il personaggio di cui Peace racconta una parte della sua vita è, appunto, Brian Clough, figlio di operai, secondo di otto figli, prolifico attaccante inglese – ottenne anche due convocazioni in nazionale – la cui carriera venne bruscamente interrotta da questo grave incidente quando indossava la maglio del Sunderland. Ma non è sul Clough calciatore che si sofferma Peace nel suo “Il maledetto United” ma sulla sua successiva carriera di allenatore/manager e, in particolare, sugli epici 44 giorni della sua permanenza alla guida del Leeds United, nei primi anni 70 una delle squadre più vincenti e leader del calcio inglese. Ma anche tra le più potenti politicamente.

Brian Clough prende la guida del Leed United il 20 luglio 1974 dopo aver portato la molto meno prestigiosa Derby County dalla Second Division in First Division nel 1969; alla vittoria  del titolo inglese nel 1972 e, nell’anno successivo, sino alla semifinale di Coppa dei Campioni, persa nel doppio confronto con la Juventus di Trapattoni. Clough è un giovane allenatore, con un carattere ribelle, prodotto della working class – si picca di essere socialista e non disdegna di devolvere parte del suo stipendio per pagare il biglietto ai minatori in sciopero – irriverente con la stampa ma brillante e intelligente, fuori dalla medietà, dal conservatorismo e dallo stile politically correct della gran parte degli allenatori inglesi dell’epoca. In più predilige un gioco d’attacco fatto di palla a terra e verticalizzazioni continue che risulta del tutto innovativo in Inghilterra e, soprattutto odia il gioco sporco, violento e intimidatorio che prediligono molti Club del momento, specie quelli più potenti e protetti dalla Federazione. Come il Leeds United. E Clough non lo nasconde e denuncia tutto questo: “Il Leeds United ha vinto il campionato ma non l'ha vinto bene, non ha saputo indossare bene la corona. Secondo me poteva essere un po' più amato, un po' più simpatico, ed è questo che voglio cambiare. Voglio portare nell'ambiente un po' più di calore, un po' più di onestà e un po' più di me.” Una specie di antesegnano del credo zemaniano ma anche dell’irriverente comunicazione alla Mourinho.

Clough fu un personaggio contradditorio, innovatore nel gioco del calcio inglese, vincente con squadre non di vertice e di prestigio, fustigatore del gioco duro e della corruzione ma anche spesso protagonista di cadute di stile nei confronti di stampa e avversari. Al Leeds United che odiava rimase sono 44 giorni: un vero fallimento. Passato al Nottingham Forrest nel 1975, portò questo club che nulla aveva vinto fino a quel momento a conquistare un titolo nazionale, quattro coppe di lega, una Community Shield, due Full Members Club, una Super Coppa Europa e ben due Coppe dei Campioni.

Non sono le vittore o le sconfitte ad interessare Peace ma la complessità del personaggio Clough. Per questo ne racconta minuziosamente i 44 giorni del suo fallimento al Leeds United, pesce fuor d’acqua in un Club potente dove business e buoni rapporti con la Federazione garantivano continui successi e notorietà. Voglio vincere ma vincere pulito anche al Leeds dichiara Clough quando accetta la sfida. Ma tra tormenti, notti in bianco, rotture di rapporti con il migliore amico e tensioni familiari, ripicche e odi con i propri giocatori fallirà questo obiettivo.

Diametralmente opposto allo scorrere lento del racconto dei 44 giorni del fallimento al Leeds è il continuo rimando alla felice esperienza con il Derby County, tra frustranti sconfitte e magnifiche vittorie. Opposti sono anche gli scontri con i collaboratori al Leeds e il rapporto di amore e odio tra Clough e il suo grande amico Peter Taylor, lo scopritore di talenti e il parafulmine delle sue ansie, paure e isterie.

Nel racconto “di corsa” dell’esperienza con il Derby County si coglie il trasporto popolare verso questo gioco, un po’ come lo ha spesso visualizzato Ken Loach nei suoi film sulla working class inglese. Nel racconto “lento e tormentato” dell’esperienza con il Leeds si coglie il lato fragile dell’istrionico Clough. La voglia di essere apprezzato per lo stile di gioco e di atteggiamento “pulito” che il suo calcio esprimeva, la ricerca di affetto e legami che proprio la sua rudezza di carattere contribuisce, di volta in volta, a lacerare.

Crough ama il calcio, per lui è una vera ossessione e la scrittura di Peace contribuisce pienamente a far vivere con lui questa ossessione. Ci si tormenta con lui alla vigilia delle partite, si gode per le vittorie e si soffre per le sconfitte. Allo stesso tempo si coglie uno spaccato della società inglese degli anni 70, delle sue contraddizioni sociali, dei suoi giochi di potere e di palazzo che, seppur declinati al mondo professionistico calcistico, sono comuni ad altre realtà sociali e politiche.

“Il maledetto United” consente anche di cogliere una singolarità del mondo sportivo inglese nella descrizione di alcuni episodi che è il caso di riportare a mò di conclusione. Quando Clough allenava ancora il Derby County, l’avversario Leeds, campione in carica, scese in campo a Derby per una partita di campionato con le riserve in quanto, in pochi giorni, avrebbe dovuto incontrare il Liverpool per un turno eliminatorio di Coppa d’Inghilterra e il Celtic per una semifinale di Coppa dei Campioni. Il pubblico di casa fischiò per tutto l’incontro, vinto con ampio margine dal Derby perché si sentiva defraudato di uno spettacolo, visto che il Leeds aveva schierato le riserve. La Federazione lo punì pesantemente per non aver messo in campo la migliore formazione possibile.

Quando il Leeds di Clough incontrò a Wembley il Liverpool per la finale di Community Shield, due tra i più rappresentativi giocatori delle rispettive squadre, Billy Bremner del Leeds e Kevin Keegan del Liverpool, vennero alle mani e furono espulsi dall’arbitro. La Community Shield si gioca prima dell’inizio del campionato ed è prestigiosa proprio perché si gioca nel “tempio” di Wembley. Talmente prestigiosa che per molti anni la vittoria non venne assegnata ai rigori ma, in caso di parità, la coppa veniva assegnata 6 mesi per ognuno ai due Club contendenti. L’espulsione di due giocatori era, quindi, un grave disonore per i due Club oltrechè per i due giocatori, usciti dal campo nel silenzio indignato delle due tifoserie. La stampa chiese per questo episodio l’esclusione dal prossimo campionato del Leeds e del Liverpool e la vicenda si chiuse con una forte ammenda e una pesante sanzione disciplinare per i due giocatori.

Inimmaginabile ora come ieri nel nostro campionato. Vi immaginate la FGCI in tali frangenti a sanzionare Club e giocatori famosi o le tifoserie dei Club o gli stessi Club di fronte a punizioni come queste?  E declinando tutto ciò su altri ambiti della società le differenze rimangono le stesse.

David Peace con il suo romanzo ci offre questa finestra narrativa sul calcio e la società inglese degli anni 70, facendoci conoscere un personaggio complesso e contraddittorio come Brian Clough, uno dei pochi ad avere avuto l’onore di una statua ricordo a Nottingham per quanto fatto nel Club di quella città. Crough che amava il calcio e lo voleva bello e pulito per deliziare il “suo” pubblico ma non riuscì a farlo nel “maledetto United”. Crough che segno 274 goal in 251 partite ma non giocò, se non per due fugaci apparizioni, con la nazionale inglese molto probabilmente perché tutti quei goal li fece in Club non prestigiosi. Crouch che sognò di allenare la Nazionale inglese senza mai riuscirci pur diventando uno degli allenatori più importanti di tutta la storia del calcio inglese. Crouch che veniva dalla working class e voleva deliziarla e alleviarla dalla durezza della vita con lo spettacolo del calcio, il “suo” calcio.

“Il passaporto indispensabile per entrare nel Derby è la tecnica. Nella Nazionale inglese non ce n'è abbastanza: noi dobbiamo evitare di ripetere gli stessi errori. Noi siamo simpatici a molti sportivi inglesi perché essi vedono grazie a noi un calcio-spettacolo, cosa rara in questi tempi.”

Brian Crough

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Proposte:

David Peace

“Il maledetto United”

Edizioni Il Saggiatore 2009

Altri libri di David Peace

“1974”

Edizioni Meridiano Zero

“1977”

Edizioni Meridiano Zero

“Millenovecento80”

Edizioni Marco Tropea

“Millenovecento83”

Edizioni Marco Tropea

“GB84”

Edizioni Marco Tropea

“Tokyo anno zero”

Edizioni Il saggiatore

“Tokyo città occupata”

Edizioni Il saggiatore

“Terremoti”

Edizioni Il saggiatore

9 maggio 2013

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