John Zorn - Masada Marathon - 8.11.2010 Milano, Teatro Manzoni

20 / 11 / 2010

Si, io c’ero!

Ci si avvicinava a Milano respirando la tipica elettricità mista di attesa e curiosità. Gli amici che non avevano trovato i biglietti ci scherzavano sopra: "vi faranno a pezzi, non resisterete mai a 12 progetti di Zorn tutti in una serata, morirete tutti!!!!"
Certo, perché senza ironia a pacchi non si può partire per una qualsiasi serata alla Zorn. Ah, dimenticavo, chi è John Zorn? Leggo da Wikipedia: "John Zorn (New York, 1953) è un compositore, sassofonista e multi-strumentista statunitense. Sebbene poco noto al grande pubblico..."
Io che già l’ho visto qualche volta dal vivo lo posso descrivere così: un pazzo, un fulminato, un distruttore... un grande musicista del nostro tempo! Ma anche di più. Per molti è una specie di Guru, un personaggio onnipresente nella sfera del cosiddetto jazz d’avanguardia. Ha anche una sua etichetta, la "Tzadik", il calderone forgiatore di gran parte del jazz d’avanguardia -appunto-.
Sassofonista eclettico, famoso per usare lo strumento nei modi più disparati, con acuti stratosferici e starnazzanti e questo ci porta alla prima parola chiave per entrare nell’universo Zorn: Ornette Coleman, uno dei padri del free jazz.
Zorn è riuscito nel tempo a creare intorno alla sua figura un’aura di religioso rispetto tra i musicisti ed i fans che lo circondano. Aria religiosa non a caso e qui introduciamo la seconda parola chiave: ebraismo. Come lascia trasparire il cognome Zorn è di questa origine, come gran parte dei musicisti della serata che collaborano tutti col progetto Masada.
Il Masada quartet -nome dell’ultima fortezza degli zeloti a difesa dell’inarrestabile avanzata dell’esercito romano nel I sec AC in Palestina- nacque circa 20 anni fa dall’idea di Zorn di creare una musica che unisse le scale musicali ebraiche a quelle di Coleman. Non fu solo un’esperimento musicale, da lì infatti il "nostro" comincia ad interrogarsi sui suoi rapporti con la cultura ebraica tanto che ormai diventa impossibile scindere il progetto musicale dalla sua dimensione spirituale, di ricerca interiore. Col tempo Masada - che inizialmente si riferiva al solo quartetto acustico con sassofono contralto John Zorn tromba Dave Douglas contrabbasso Greg Cohen batteria Joey Baron- è di fatto diventato un marchio contenitore. Non più un solo gruppo con degli elementi fissi, ma una specie di collettivo aperto che fa capo a Zorn.
Ed è in quest’ottica che nasce il progetto presentato nella serata in questione: "Masada, The book of Angels" Si tratta di circa 300 composizioni di Zorn che indagano nell’area più particolare ed oscura dell’ebraismo, ovvero gli angeli caduti -per chi voglia approfondire sappia che il termine Kabbalah c’entra qualcosa-.
L’interpretazione dei pezzi è curata dai più svariati ensemble o set -per un totale di 16 registrazioni- tutti musicisti di prim’ordine. Zorn si presenta sul palco con la sua solita aria da monello -nonostante i suoi 57 anni, ma non si direbbe mai- con gli immancabili pantaloni militari (li toglierà almeno per lavarli, ogni tanto?) e ci si prepara all’ecatombe. Come si diceva sono 12 i set che suoneranno nella serata, ognuno con 3 pezzi, per circa 20 min. Fatti i calcoli? Si, hanno suonato per circa 4 ore, ecco perchè la serata è stata chiamata Masada Marathon. Qualche piccola considerazione su alcuni set:
Sarebbe troppo scontato parlare del MASADA QUARTET, il peccato originale dell’intero progetto -Zorn suonerà solo in questo primo e nell’ultimo set, per il resto si dedicherà alla direzione dei gruppi- e forse quello più famoso e facile da scovare; dico solo che, come al solito, ascoltarli è un’esperienza eccezionale!
Segue il COURVOISIER/FELDMAN DUO. Non solo free jazz, ma un’impronta classica che traspare clamorosamente -Marc Feldman è figlio d’arte, di quel Morton Feldman così amico di John Cage, ma questa è un’altra storia-. Ci si trova a navigare a vista in un mare di improvvisazione con delle isole qua e là a richiamare ironicamente gli studi classici, con squassati accenni a Mozart e Bach tra gli altri, guarniti con un piano preparato ed una marea di armonici del violino.
BANQUET OF THE SPIRITS: Baptista rules! Geniale, simpatico, preparato, questo percussionista brasiliano è uno spasso. L’unica pecca è che tende a monopolizzare l’attenzione e fare ombra con il suo estro agli altri musicisti. Suona con qualsiasi percussione, proveniente da ogni parte del mondo e quando dico ogni parte è ogni parte! Per rendere l’idea: si presenta sul palco con un colbacco in testa, suonando seraficamente le percussioni con delle...solette da scarpe! Il resto è un boato.
MYCALE, quartetto femminile a cappella che non mi ha convinto per niente, c’è da dire che non è per niente facile entrare in questa arena e in 10 minuti dare il massimo, ma tant’è...Spero di aver modo di approfondire il progetto.
MEDESKI, MARTIN & WOOD l’apoteosi del jazz rock (qualcuno lo chiamerebbe progressive anni ’70, ma io sono allergico a questo termine) tempi dispari come se piovesse,con una batteria leggera sui contro-tempi ed un frullare di rullante e piatti -sottilissimi- ma potentissima sui battere che contano. Tastierista con organo -Hammond?- e fender Rodhes, basso dritto e pedalare di assolo!
E più si va avanti e passa il tempo più mi sento un sopravvissuto. Sudo freddo, sono agitato e contento, cerco di seguire la mole di musica che passa per le mie orecchie, cerco di essere lucido e critico, ma più passa il tempo più me ne dimentico e lascio spazio al dionisiaco che c’è in me. Guardandomi in giro mi rendo conto che il pubblico è tra l’ipnosi mistica e l’esaltazione totale, quella dei grandi riti, dei grandi eventi, e siamo tutti consci che ne facciamo parte, cioè, voglio dire, 12 set di Masada?
Moriremo tutti!!! Tutti a parte un signore anziano seduto vicino a me che incredibilmente dorme beato sul sedile...mah...
Zorn intanto si trasforma nel tuttofare della serata: porte le aste nel palco, monta i microfoni, accompagna i musicisti nel palco e ne urla i nomi, insomma si capisce benissimo chi è il padrone di casa nonché incontestato demiurgo della serata.
BAR KOHBA per me la cigliegina sulla torta della serata! gruppo dall’organico incredibile questo spesso può essere un problema, quando ci sono troppi galli nel pollaio c’è il rischio che qualcuno tenda ad allargarsi, ma non in questo caso. L’equilibrio degli strumenti è sensazionale, sia a livello timbrico che compositivo. A mio parere il miglior set della serata.
DREAMERS ecco appunto, troppi galli nel pollaio...Grandissimi musicisti, ma forse varrebbe la pena risentirli in una serata tutta per loro, 20 minuti per questi virtuosi degli assoli sono veramente pochini...(piccolo pensiero ad alta voce di un Patton-addicted: Trevon, ti prego, i Mr. Bungle!!!!)
ERIK FRIEDLANDER comincio a perdere colpi. Sono già passate 3 ore di stimoli al massimo, ma capisco una cosa: Friedlander è incredibile, suona il violoncello pizzicandolo come una chitarra e ne tira fuori delle risonanze e degli armonici che sembrano moltiplicare lo strumento, ma siamo sicuri che è da solo sul palco?
Basta, mi lascio andare alla mistica celeste ed alla trance artistica e mi sa che mi sale anche un po’ di sindrome di Stendhal, ma resisto.
Ed è con ELECTRIC MASADA che culmina il delirio della serata: una potenza inaudita -due batteristi da paura e un percussionista sadico in sincrono non sono che l’inizio-
Se la fine del mondo avrà un suono, credo che Dio prenderà il campione registrato dall’incipit del primo pezzo.
Due pensieri mi assalgono velocemente:
1) risposte tipiche sul jazz che ho ricevuto: "il jazz non mi piace, è troppo leggero e fighetto" ecco, vabbè.
2) una visione: Electric Masada suona su un carro trainato da un trattore filo-comunista circondato da centinaia di oscuri figuri che, muniti di fiaccole e falci, marciano lenti ma inesorabili dal Teatro Manzoni alla volta di Arcore.
Mi giro da una parte e vengo riportato alla realtà dal vecchio che continua a dormire beato e serafico sul suo sedile...forse è un monito, forse è un segno del destino, non lo so, ma qualcosa vorrà ben dire.
Ma di una cosa sono certo: io c’ero e son sopravvissuto per raccontarlo!

Gil per Sherwood live report
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Tratto da:

MASADA MARATHON, THE BOOK OF ANGELS

MASADA QUARTET
sassofono contralto John Zorn
tromba Dave Douglas
contrabbasso Greg Cohen
batteria Joey Baron

COURVOISIER/FELDMAN DUO
pianoforte Sylvie Courvoisier
violino Mark Feldman

MEDESKI, MARTIN & WOOD
tastiere John Medeski
basso elettrico e contrabbasso Chris Wood
batteria Billy Martin

BANQUET OF THE SPIRITS
percussioni, voce Cyro Baptista
pianoforte, tastiere, balafon Brian Marsella
batteria, percussioni Tim Keiper contrabbasso, basso elettrico, oud, gimbre Shanir Blumenkranz

MYCALE
voci Ayelet Rose Gottlieb, Sofia Rei Koutsovitis, Basya Schecter, Malika Zarra

BAR KOHBA
violino Mark Feldman
violoncello Erik Friedlander
chitarra Marc Ribot
contrabbasso Greg Cohen
batteria Joey Baron
percussioni Cyro Baptista

DREAMERS
chitarra Marc Ribot
tastiere Jamie Saft
vibrafono Kenny Wollesen
contrabbasso e basso elettrico Trevor Dunn
batteria Joey Baron
precussioni Cyro Baptista

ERIK FRIEDLANDER
violoncello

NEW KLEZMER TRIO
clarinetto Ben Goldberg
contrabbasso Greg Cohen
batteria Kenny Wollesen

BESTER QUARTET
fisarmonica Jaroslaw Bester
violino Jaroslaw Tyrala
fisarmonica, clarinetto, percussioni Oleg Dyyak
contrabbasso Mikolaj Pospieszalski

MASADA STRING TRIO
violino Mark Feldman
violoncello Erik Friedlander
contrabbasso Greg Cohen

  ELECTRIC MASADA
sassofono contralto
John Zorn
laptop, live electronics
Ikue Mori
tastiere
Jamie Saft chitarra Marc Ribot
contrabbasso, basso elettrico
Trevor Dunn
batteria
Joey Baron
percussioni
Cyro Baptista

Masada Marathon Milano. Le foto di Diego Andese