La divisione Cichero e la storia umana della Resistenza

Recensione del libro di Tommaso Baldo “Cichero, storia e memoria una divisione partigiana”

6 / 10 / 2022

“Cichero, storia e memoria una divisione partigiana” è la prima opera dello storico e divulgatore Tommaso Baldo, edito nella collana Unaltrastoria da Red Star Press in collaborazione con Globalproject.info e il centro studi e documentazione Open Memory. Il volume nasce da una raccolta di racconti pubblicati su Globalproject in occasione del 25 aprile, il giorno della liberazione dal nazifascismo in Italia; data di cui bisogna, sempre, parlare (perché può essere divisiva solo se sei fascista), ma di cui non è facile continuare a parlare per davvero, ovvero riuscendo a comunicare i significati racchiusi in quella data ed evitando più o meno facili retoriche. 

Baldo si occupa da tempo di attività didattiche della Fondazione del Museo storico del Trentino, e anche grazie alla sua esperienza “sul campo”, realizza che per raggiungere le persone raccontando la storia avrebbe dovuto scriverne come ne avrebbe parlato, vis-à-vis; non solo, decide di raccontare la storia attraverso gli individui che la fanno, usando il loro sguardo, le loro emozioni. Ci riesce: con un lavoro certosino di documentazione, ha creato, da appassionato Brechtiano, un intenso coro di voci che va a comporre un dettagliato mosaico in grado di rivelarci la storia umana della resistenza della divisione garibaldina Cichero sulle montagne dell’entroterra ligure.

La resistenza è l’opposizione che molti uomini e donne hanno dato in risposta al nemico invasore nazifascista: dalla scuola, in linea di massima, spesso ci si porta via solo questo; ma ciò che accadde è molto di più, ha molto, troppo più contenuto e spessore, senza il quale è quasi scontato che le nozioni acquisite meccanicamente tra i banchi perdano gran parte del significato, se non addirittura per intero. Baldo risolve questo eventuale impasse che potrebbe scoraggiare lettori non soliti ad approfondire temi storici inserendo una snella cronologia iniziale e il primo racconto introduttivo, che non solo permettono al pubblico meno esperto di orientarsi e comprendere agilmente il contesto di ambientazione, ma lo catapultano, d’improvviso, in una baracca sul Monte Ramaceto, insieme ad alcuni compagni, a battere i denti per il freddo prendendo parte alla lotta armata clandestina che sarà la Resistenza italiana.

Questo libro ci racconta come, in realtà, la lotta comune della resistenza sia stata vissuta dalle persone, dagli uomini e dalle donne che l’hanno fatta, nei dettagli e nelle sfumature intrinsecamente umane presenti e racchiuse in ogni individuo, ciascuno alla propria, ed unica, maniera. Vicende e sensibilità umane anche molto diverse tra loro, profondamente intrecciate alla materialità, complessa, delle circostanze; individui portatori di umanità eterogenee all’interno della vita partigiana di montagna, all’interno, a loro volta, di un momento storico, straordinario e terribile, più ampio: in Chichero tutte queste dimensioni sono presenti e trovano la loro espressione, aiutandoci a comprendere come siano riuscite, nonostante tutto, a trovare omogeneità di fronte al comune obiettivo di lotta antifascista per la liberazione del paese.

Uno dei racconti è dedicato al punto di vista femminile, che squarciando il silenzio sul tema della questione di genere nel quadro generale della resistenza, rivela, con delicata ferocia, come la lotta femminista sia stata per le compagne in realtà una doppia, se non tripla resistenza da condurre: la staffetta Marietta, costretta ad affrontare anche il sessismo dei propri stessi compagni e a scendere ad ulteriori, ennesimi, compromessi, ce ne offre un punto di vista inedito quanto spietatamente dissacrante, fino al punto di dover proteggere lei stessa i compagni e l’organizzazione da ciò che ancora non potevano comprendere né tantomeno gestire, non in quel momento. Per molto tempo il ruolo delle donne della resistenza è stato, quando non del tutto taciuto, minimizzato, umiliato, derubricato a “mamme di tutti i partigiani” quando non ci si poteva esimere dal nominarlo, esponendo una questione straordinariamente attuale, ovvero la difficoltà sia di notare che di comprendere e quindi trovare le parole corrette per descrivere il ruolo della donna, della compagna, della militante, ma anche della madre, e della cura in generale, effettuandone un costante abuso dei termini oltre ad omettere una parte fondamentale e fondante della realtà stessa. Il ruolo materno della donna diventa obbligatorio, totalizzante, al di fuori del quale la donna non esiste - né sarebbe degno farlo - (come anche oggi qualcuno vorrebbe far intendere): ma le donne, le partigiane, * compagn*, hanno combattuto e combattono, con, in più, il peso ontologico della propria essenza all’interno di sistemi che, nonostante recenti prese di coscienza, hanno ahimè ancora molta strada da fare.

Ai 10 racconti ne viene aggiunto uno, l’ultimo, che riassume il prosieguo - oltre la resa dei conti finale, l'insurrezione di Genova - di quelle vite a cui abbiamo avuto la possibilità di avvicinarci in questa lettura, ritrovatesi in un paese che sembra cancellare, o quantomeno falsificare, la memoria di quella che fu la lotta partigiana resistenza italiana, riservandoci ulteriori dettagli umani, politici e storici, fino ad arrivare ai giorni nostri, con i quali l’autore individua inquietanti parallelismi accompagnati da un’amara conclusione: “I fascisti sono tornati e non sono cambiati di una virgola”.

Testo a tutti gli effetti storico ma in stile narrativo, accattivante, toccante, umano, questo sembra un romanzo, e non uno qualunque: riesce a cogliere e restituire la complessità e le contraddizioni delle persone, della storia e delle persone nella storia, facendo luce su quanto sia delicato, intricato e denso il reticolato di sfumature e contraddizioni, anche brutali, che era contenuto nel sistema umano che ha costituito la resistenza.

L’attualità del messaggio di questo testo storico, che Baldo riassume nelle conclusioni, è di notevole portata: la Resistenza è stata possibile grazie all’incredibile e strenua collaborazione tra gruppi - nonché individui - profondamente diversi tra loro, in particolare riguardo ai motivi che li mossero non solo a prendere una posizione, ma ad agire: “(…) questa storia è utile per farci ragionare sulla concretezza, sulla materialità di che cosa vuol dire resistere, ieri e oggi. Perché non c’è mai stato un passato mitico in cui tutto è andato per il verso giusto, che pure quelli e quelle prima di noi hanno fatto quel che potevano, come potevano. E al tempo stesso rimane il fatto che la cosa più utile, più radicale e più rivoluzionaria che si è fatta in questo paese è stata la Resistenza, e la si è fatta mica grazie alla purezza ideologica o menate simili, ma grazie alla capacità di stare insieme e di lottare insieme tra diversi e diverse”.

La divisione Cichero è un “microcosmo” che rappresenta quasi tutta la Resistenza, racchiudendo in sé persone diverse ma sotto certi (e fondamentali) aspetti simili, che condividono uno stesso scopo ma anch’esso non sempre identico o precisamente definito, che opera in circostanze uniche, eccezionali e drammatiche, oltre che imprevedibili. Il fatto di essere raccontata in questo modo peculiare, mettendone in risalto le dinamiche interiori e di relazione, ci permette di individuare la sua dimensione di comunità di pratica; definita da un significato negoziato ma condiviso e un patto di impegno reciproco e reciproca responsabilizzazione, al suo interno coesistono necessariamente due processi complementari: la partecipazione, che diventa fondativa dell’identità dell’individuo, e la reificazione, che trasporta nella realtà materiale i significati, i concetti astratti, i valori, diventando punto di ancoraggio collettivo per la capitalizzazione delle conoscenze (knowledge management) condivise. Nelle comunità di pratica, l’obiettivo non è la sua “semplice” formulazione: la negoziazione dello scopo comune è un processo in costante evoluzione e definizione, non privo di ostacoli, che dà origine ad un “repertorio” di risorse condiviso che però rimane intrinsecamente ambiguo in quanto condizione di negoziabilità e quindi funzionale alla possibilità stessa dell’esistenza del significato in questione e della sua condivisione e trasmissione nel tempo all’interno del gruppo.

In una recente presentazione del libro, l’autore aggiunge che la Resistenza al nazifascismo ebbe “(…) le sue impurità, la sua concretezza” e che, più in generale, è possibile fare resistenza quando si ha “il coraggio di guardare la base sociale per come è e non come vorresti che fosse (...)”: la Resistenza fu “imperfetta”, come anche oggi lo è, ma questo è un dato strutturale della complessità che va affrontato, e che non solo nulla toglie, ma ne aumenta, insieme alla difficoltà, l’importanza e il valore. Quello della complessità è un altro tema attuale e di impellente urgenza da affrontare, sia a livello sociale generale, nel prendere le distanze da modelli di pensiero semplicistici e banalizzanti della realtà, che all’interno della sinistra contemporanea, come bussola essenziale per trovare quella necessaria unità di cui, forse ora più che mai, c’è un disperato bisogno.

Anche oggi, similmente, la galassia antifascista potrebbe impegnarsi a riscoprire la propria complessità e appartenenza ad una comunità di pratica, (ri)elaborando la propria identità e riscoprendo pratiche che la identificano, riconoscendole come strutture emergenti che persistono, venendo scelte ogni giorno, proprio grazie al loro essere perturbabili e resilienti (altro termine abusato ma che in origine ha un senso preciso e per nulla banale) e ricordando che si tratta necessariamente un processo aperto e instabile, poiché le nostre forme e modalità di partecipazione si modificano, come cambiano le nostre prospettive e le nostre vite, come è ovvio in quanto umane, a maggior ragione in un contesto caratterizzato dalle multi-appartenenze come il nostro presente, ma mantenendo sempre salda la comprensione e sintonizzazione all’impresa comune allineando il proprio impegno nella lotta antifascista.