La guerra in ucraina: tra geopolitica, economia e movimenti

Report della Tavola Rotonda tenutasi a Reset-Fest (Vicenza) con Andrew Ross, Andrea Fumagalli, il Movimento No Base di Coltano e Antonio Mazzeo

20 / 10 / 2022

Nella cornice del Reset_Fest di Vicenza, lo scorso 6 ottobre si è tenuta la tavola rotonda “La guerra in ucraina: tra geopolitica, economia e movimenti” con Andrew Ross, professore della New York University, Andrea Fumagalli, il Movimento No Base di Coltano, il giornalista Antonio Mazzeo, Ha introdotto e moderato Antonio Pio Lancellotti, direttore di Globalproject, che ha dato alcune coordinate geopolitiche ed economiche per analizzare la situazione in Ucraina. Con Lancellotti ha dialogato anche Francesco Pavin, del Caracol Olol Jackson. «La guerra in corso è uno degli eventi che hanno maggiormente modificato gli assetti globali, creando una nuova contemporaneità. Non bisogna però fare l’errore di leggerla come un evento a sé stante, al di fuori di quello che è il portato decennale tanto della crisi ecologica - e del capitalismo estrattivo di cui è prodotto - quanto di quel passaggio incompiuto verso il “nuovo ordine mondiale” che si ha a partire dalla fine della Guerra Fredda».

Per comprendere la situazione è necessario andare oltre gli approcci univoci: «all’interno di un conflitto che nessuna parte pare voler davvero terminare, vediamo sorgere dal fallimento della governance unipolare la tendenza verso un nuovo modello bipolare. Da un lato gli Stati Uniti usano il terreno e lo spazio europeo per riconquistare l’egemonia e dall’altra il nuovo ordine di Samarcanda, un blocco euroasiatico composto da Cina, Russia e Iran. Proprio nella città di Vicenza che ha avuto uno dei movimenti più grandi contro la guerra e contro l’espressione territoriale della guerra ci chiediamo quale siano gli spazi politici che i movimenti sono in grado di aprire nel contesto di questo conflitto. Per andare al di là della retorica degli schieramenti cercheremo di capire come poter costruire una nuova prospettiva costituente, nel rifiuto della guerra, nella questione del reddito, ambientale e trans-femminista, queste sono le fila che serve unire per ottenere una nuova prospettiva antimilitarista».

Interviene per primo Andrew Ross, che apre il discorso prendendo in considerazione il sentimento comune tradotto nello slogan: “Né con la Nato, né con Putin” che ci parla del rifiuto di sostenere le azioni dell’una o di entrambe le parti. «Essere davvero antimperialisti significa che dobbiamo condannare la politica militare del rischio calcolato della Nato e allo stesso tempo condannare il brutale intervento coloniale delle forze russe» spiegando che questa posizione non vuole sottintendere un’equivalenza morale fra le due parti, ma affermare che le azioni dell’imperialismo militare sono una minaccia per tutti i nostri sforzi di creare un mondo giusto e sostenibile e quindi vanno condannate.

Andrew Ross propone di guardare all’Ucraina tenendo conto del contesto del disastroso coinvolgimento statunitense nelle due Guerre del Golfo, Afghanistan, Vietnam, Laos, Cambogia, Libano, Granada, Haiti, Nicaragua, Somalia, Bosnia, Libia, Yemen, Iraq, Siria, Palestina e Corea. «È difficile, non vedere l’Ucraina come un campo di battaglia per procura, sempre di più controllato dagli armamenti, l’intelligence e la tattica statunitense, anche se impugnato e mobilitato dagli ucraini che hanno iniziato ciò che è diventato, per loro, un movimento di liberazione nazionale». Ross spiega poi come secondo alcuni commentatori Washington stia dirigendo il conflitto proprio come successe in Afghanistan nel 1980, che si è trasformato in un pantano russo e questo sembra essere l’obiettivo, oggi. Se è questo il caso, allora dobbiamo imparare una dura lezione sui contraccolpi che abbiamo visto, e subito, dall’armare i mujahadeen durante quel periodo. Un rischio simile si presenta se continuiamo a fornire armi tecnologicamente avanzate al Battaglione Azov o ad altri gruppi che guidano l’estrema destra ultranazionalista in Ucraina. Ross comunque ci tiene a sottolineare come sarebbe tuttavia un errore prendere l'analogia con l'Afghanistan per più di quello che è. A differenza dell’Afghanistan l’Ucraina è stata cresciuta come uno stato neoliberale fin dal 1989 e quindi presenta delle caratteristiche strutturali molto diverse.

Evidenzia poi l'impatto che le sanzioni anti-Russia hanno avuto per il tessuto sociale europeo nel suo complesso. L'amministrazione Biden si è affrettata ad applicare una serie di sanzioni dopo l'avanzata degli invasori su Kiev. Ma questa forma di punizione collettiva era destinata ad avere un costo devastante sulla popolazione civile russa, in linea con il crudele modello di guerra economica degli Stati Uniti che risale all'inizio dell'embargo cubano negli anni Sessanta e che ha provocato innumerevoli vittime civili nel corso degli anni: un milione e mezzo di persone (un terzo delle quali bambini) sono morte solo in Iraq a causa delle sanzioni statunitensi. Ora, in una situazione di ritorsione assolutamente prevedibile, la punizione si è estesa alle famiglie europee a causa della compressione delle catene di approvvigionamento alimentare ed energetico. Questo obbligherà molti Paesi a un inverno lungo e difficile e a una stagione ancora più lunga di instabilità sociale, che potrebbe amplificare le opportunità dell'estrema destra di accumulare potere. Per quanto riguarda il Sud Globale, l’impatto sulle popolazioni più vulnerabili, che dipendono fortemente dai combustibili e dai cereali degli attori in prima linea, è stato ancora più distruttivo ed è stato accompagnato da una rinascita dello spirito del Movimento dei Non Allineati.

Ross poi parla della profonda ipocrisia della promozione guerrafondaia della “democrazia liberale”. Anche in quest’occasione è chiaro come l’Occidente consideri le vite bianche più importanti di quelle nere, che vengono invece considerate incidenti di percorso degli interventi militari statunitensi. È impossibile non rendersi conto del trattamento preferenziale riservato ai rifugiati ucraini rispetto a coloro che scappavano dalle guerre in Africa e Medio Oriente. Ross fa notare come la contraddizione sia particolarmente eclatante nell’applicazione del doppio standard rispetto alla causa palestinese. Il diritto dei palestinesi di resistere alla brutale occupazione viene demonizzato e negato in tutte le capitali occidentali, mentre lo stesso diritto degli ucraini viene glorificato e incoraggiato in ogni modo possibile. Chi può negare il loro diritto di resistere all'occupazione coloniale con la forza armata, un diritto sancito dalle risoluzioni delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale, un diritto invocato e ampiamente riconosciuto dai combattenti per la liberazione nazionale in Ucraina, ma che viene criminalizzato quando viene esercitato a Gaza e in Cisgiordania?

Andrew Ross conclude tornando alle osservazioni che aveva accennato sul militarismo. Spiega come la politica contro la guerra è una tradizione antimperialista di sinistra: non si è mai trattato di un rifiuto generalizzato della resistenza armata. Ma se la violenza, secondo Frantz Fanon, è lo "stato naturale" del dominio coloniale, molti esponenti della sinistra sono giunti a interrogarsi sul valore ultimo della violenza tattica dei movimenti anticoloniali, data la natura repressiva di molti Stati postcoloniali forgiati attraverso la lotta armata. La decisione degli ucraini di resistere coraggiosamente con ogni mezzo necessario ha riaperto questo dibattito e rianimato queste domande, ma le risposte e i test-case non possono essere confinati alla sola Ucraina.

L’intervento di Andrea Fumagalli si apre mettendo in luce il chiaro momento di passaggio che stiamo vivendo. «Quello che è in gioco tra Russia e Ucraina, che appare come una tensione territoriale, è in realtà una guerra mondiale, perché sono in gioco equilibri geopolitici capitalistici». Due modelli di sviluppo che si scontrano tra di loro. I mercati finanziari reggono questo gioco, la finanza è l’emblema del potere capitalistico e della sua valorizzazione.  La congiunzione che si è creata in Occidente fra finanza e capitalismo delle piattaforme è la nuova forma di valorizzazione capitalistica e di sfruttamento del lavoro e della nostra vita. Siamo all’interno di un meccanismo di valorizzazione che non è dissimile dal potere autocentrato del Partito Comunista Cinese, che si muove esattamente come Facebook, ovviamente con sfumature diverse però i risultati sono simili: sfruttamento della vita regolata, implementata, indirizzata; nella direzione di un processo di accumulazione di tipo intangibile.

Il risultato è una situazione di caotica e pericolosa ridefinizione degli assetti geopolitici internazionali. Da una parte ci sono gli Stati Uniti che vogliono riproporre un assetto di comando unipolare su base statunitense. Dall’altra parte i paesi “emergenti”, che vogliono un assetto multipolare. Si viene così a delineare una guerra intracapitalistica. In questa cornice le due leve di potere sono il controllo della finanza e il controllo dei diritti di proprietà intellettuale e delle traiettorie tecnologiche. Il controllo della finanza si declina con la situazione di perdita dell’egemonia del dollaro negli ultimi anni su mercati internazionali e sull’interrogativo se la valuta statunitense potrà ancora essere considerata la valuta di riserva internazionale di riferimento.  Il controllo delle traiettorie tecnologiche trova declinazione in quello che definiamo controllo della logistica internazionale. In questo versante la Cina ha fatto enormi passi in avanti con investimenti massicci in India Africa e Sud America, togliendo spazio alle aziende americane.

In questo quadro la Russia fa “l’utile idiota” e il gioco delle parti. Ci si approfitta della volontà revanscista e nazionalista. Atteggiamento che non è molto dissimile dai tentativi sovranisti in Europa, che tentano di recuperare all’interno di una conflittualità a livello superiore il proprio spazio.

In conclusione, viene evidenziato il problema che nel contesto di guerra l’opinione pubblica non possa prendere una posizione che esorbiti dalla polarità delle parti. Le posizioni antagoniste vengono risucchiate e incasellate in una dei due poli. L’auspicio è quello di riuscire ad aprire con soggettivazione e coscientizzazione una breccia che porti avanti istanze di scontro alla guerra capitalistica proponendo in modo offensivi e non difensivo: welfare del comune, reddito di base, salario minimo, riduzioni spese militare e non invio delle armi.

La parola passa a Kevin Speranza e Carla Macis del movimento "No Base" che porta avanti una lotta iniziata qualche mese fa dopo la notizia della costruzione di una nuova base militare a Coltano, nella periferia di Pisa. Questa base dovrebbe ospitare dei corpi speciali impegnati principalmente all’estero nella difesa delle politiche NATO, come ad esempio quella estrattivista di ENI in Mozambico.

Il progetto, già ampiamente discusso negli anni precedenti ma mai reso pubblico (le istituzioni locali e regionali hanno sempre smentito di esserne a conoscenza) ha suscitato rabbia e stupore nelle persone che vivono nell'area, principalmente agricola, anche perché ciò è avvenuto nel contesto della crisi del grano e della scoperta delle armi nascoste negli aiuti umanitari destinati all’Ucraina.

Ad aumentare ulteriormente il sentimento di rabbia nella popolazione contribuisce il fatto che questo progetto viene visto come un’ulteriore occupazione del territorio senza considerare le esigenze dei suoi abitanti. Infatti, mentre da una parte vengono fatti investimenti che aumentano la presenza militare nel territorio, dall’altra ci sono tagli all’istruzione, ai trasporti pubblici e sulla costruzione di nuove case popolari.

Questi fatti hanno spinto la popolazione a indire prima delle assemblee e successivamente creare un comitato territoriale con l’obbiettivo di mettere in luce le reali esigenze del territorio e contrastare questa crescente militarizzazione. Un punto importante è quello di controbilanciare il militarismo crescente nei vari strati della società, soprattutto nell’ambito formativo (anche all’interno delle scuole) dove vengono organizzate presentazioni ed eventi che hanno come obbiettivo l’accettazione e la promozione della presenza di strutture militari.

Interviene poi il giornalista Antonio Mazzeo, che spiega come a partire dal 24 febbraio il ruolo italiano è stato centrale in alcune operazioni militari, ad esempio il ruolo dell’intelligence è stato dirimente. In Italia ci sono due basi militari da cui decollano aerei Nato, la base di Sigonella in Sicilia e Pratica di Mare, aerei che affrontano operazioni di spionaggio e forniscono alle armate Ucraine le coordinate degli obiettivi.

Una delle più drammatiche azioni militari, anche dal punto di vista delle perdite umane, è stata quella del 15 aprile, quando fu affondato nel Mar Nero l’incrociatore Mosvk. Quell’operazione fu monitorata e seguita da un pattugliatore decollato proprio dalla base di Sigonella. A questo si aggiunge il ruolo di proiezione e di supporto di alcune infrastrutture, ad esempio il reparto strategico centrale delle forze USA è la 173 brigata, che ha sede a Vicenza, da cui partono i ponti aerei di supporto a questa brigata.

La 173 brigata non è presente in questo scenario solo a partire dal 24 febbraio, ma già dal 2014 è testimoniata la loro presenza in Ucraina, è una presenza quasi storica che ha compromesso la possibilità di evitare questo conflitto. Le forze armate italiane sostengono la cobelligeranza, avendo reparti in Romania, Polonia e non solo, che portano avanti operazione di attacco. Non bisogna inoltre dimenticare il ruolo in Toscana dell’aeroporto di Pisa e del porto di Livorno, che riforniscono le forze armate ucraine e statunitensi.

Ad oggi, il rischio di guerra nucleare è tutt’altro che remoto. In questi ultimi mesi c’è stata un’ulteriore escalation, non si tratta di propaganda o di mere minacce. Gli strateghi a Mosca pensano di poter usare le testate nucleari per limitare il conflitto. In Italia abbiamo due basi in cui ci sono testate nucleari, che negli ultimi anni hanno visto un ampliamento dei bunker. Ci sono nuovi cacciabombardieri, che possono essere armati con le testate nucleari che ora risiedono in Italia per le forze Usa in caso di crisi. Nemmeno due mesi fa i caccia sono stati in missione per Israele, che già da tempo opera con testi nucleari. L’escalation non riguarda solo Nato e Russia, ma direttamente il nostro paese, e non solo come ospitante.

Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, ci troviamo in un fenomeno di massa che coinvolge Russia, Ucraina e anche Bielorussia. Ci sono moltissimi giovani ma anche adulti, che anche attraverso la fuga e l’espatrio stanno cercando di non arruolarsi. Questo è senza dubbio un aspetto che dev’essere valorizzato dal movimento No War, che può fare moltissimo garantendo il massimo sostegno a chi è sottoposto a processi, per oltre 10 anni di galera. È necessario imporre che venga riconosciuto lo status di richiedente asilo a chi fugge obiettore di coscienza.

Un altro aspetto è quello dell’utilizzo della tecnologia. Non solo droni, ma anche armi intelligenti e totalmente automatizzate sono una caratteristica fondamentale di questa guerra. Si pone poi il problema dell’inverno, che al contrario di ciò che è successo in passato, non fermerà le operazioni militari. Le tecnologie garantiranno un’ulteriore escalation, ma soprattutto le condizioni di disastro umanitario peggioreranno esponenzialmente. L’accesso alle fonti energetiche sarà difficilissimo, e le parti del paese più colpite non saranno più raggiungibili via terra.

Mazzeo termina, dicendo che «non dobbiamo pensare che questa sia una guerra lontana, non dobbiamo schierarci in una curva o nell’altra, ma potrebbe anche vederci come vittime».