La rivolta del sapere vivo

Tumulti studenteschi e «democrazia espansiva»

27 / 6 / 2011

Londra 10 novembre 2010, il palazzo dei Tories è occupato da migliaia di studenti medi e universitari, le vetrine dell'entrata vanno in pezzi, sorrisi, euforia, urla contro la polizia, goffa. Roma 14 dicembre 2010, il fumo sale, piazza del Popolo teatro di scontri tra decine di migliaia di studenti e di precari e le forze dell'ordine, chiamate a difendere l'indifendibile, la compravendita dei voti in Parlamento. Queste sono le due immagini che condensano una stagione, un passaggio, una nuova epoca.

Ma cosa è successo? Cameron ha deciso di triplicare le tasse universitarie, Gelmini e Berlusconi di farla finita con l'università pubblica e di trasformare in riforma i tagli delle Legge finanziaria del 2008 (la tristemente famosa Legge 133). Intanto a Parigi e in Francia, da giorni i sindacati procedono con lo sciopero generale contro i tagli alle pensioni, alle proteste si aggregano gli studenti, soprattutto gli studenti medi, al picchetto operaio si accompagna il picchetto precario e metropolitano, proliferano gli scontri nelle banlieue. Allora, cosa è successo? È successo che la crisi dei mutui subprime (2007), contenuta attraverso l'iniezione di liquidità della Federal Reserve e della Bce e l'innalzamento senza pari della spesa pubblica, si trasforma in attacco al welfare europeo. Gli hedge fund (Paulson, Soros e altri) si incontrano a metà febbraio (2010) e decidono di “ringraziare” il Pubblico per l'aiuto fin qui ricevuto. Come? Affogando gli Stati sovrani nel dissesto del debito (vedi in particolare il caso Greco). Di più e meglio: destabilizzare l'euro; annientare lo stile di vita europeo, esito delle lotte operaie e studentesche degli anni '60 e '70. Dunque niente finanziamenti pubblici per università e ricerca, demolizione dei diritti del lavoro.

È successo anche, però, che la generazione più povera di quella che l'ha preceduta, la generazione dei diplomati o dei laureati senza futuro, la generazione precaria, ha deciso di dire basta, ha sostituito l'indignazione all'indifferenza, la generosità al ripiegamento individualistico, la gioia collettiva alla piccola grande balla dell'interiorità e della malinconia. Decine di migliaia di studenti in strada, a Londra Roma Parigi, migliaia di scuole e università occupate, i palazzi della politica assediati. Tumulti. È a partire da questa categoria politica machiavellana che il bel libro di Augusto Illuminati e Tania Rispoli (Tumulti. Scene dal nuovo disordine planetario ed. Derive Approdi), filosofo il primo (con un passato nei movimenti autonomi degli anni Settanta), attivista nel mezzo dei movimenti universitari della Sapienza e filosofa di formazione la seconda, ci racconta la rivolta generazionale che ha interrotto il torpore rassegnato nei confronti della catastrofe economica. Pagine raffinate e combattive che indicano la novità emersa nell'autunno trascorso e poi nella lunga primavera araba: la forma-tumulto è il battito dell'indignazione studentesca e precaria, la forma politica della rottura costituente, dentro la “crisi senza sviluppo” e senza riformismo. Il tumulto – e i due autori ce lo ricordano a più riprese ‒ non è mai separabile dalla dimensione istituzionale, dalla produzione di nuove norme. Alla coppia rivoluzione/presa del potere si sostituisce quella tumulto/nuove istituzioni, laddove l'invenzione costituzionale è sempre mescolata con la difesa e la riappropriazione democratica delle istituzione del welfare, vero bersaglio dei mercati finanziari. Come leggere diversamente i fatti che hanno cambiato il vento nella berlusconissima penisola italica? Il fumo che sale da piazza del Popolo, infatti, non è disgiungibile dalla grande manifestazione romana del 22 dicembre, fuori dalla zona rossa, e dall'incontro degli studenti con Napolitano. Ancora, nell'autunno della Fiom (16 ottobre) e del movimento studentesco comincia il crollo di Berlusconi, della sua maggioranza e in generale della sua egemonia. E la faglia si allarga fino alla sorpresa delle elezioni amministrative e dello straordinario risultato referendario, una svolta antiliberista nel cuore del continente dell'euro. Chi non vuole cogliere questa genealogia tumultuaria del passaggio elettorale e referendario semplicemente vive in un altro paese o ha intenzione di cancellare la potenza costituente sprigionata dalle rivolte degli ultimi mesi. 


I tumulti studenteschi e precari, su entrambe le sponde del Mediterraneo, ci parlano di una nuova figura soggettiva, eterogenea e molteplice, estranea al patto sociale fordista in dismissione, stretta in un processo di declassamento senza precedenti: forza-lavoro qualificata, condannata ad una precarietà infinita, ad una povertà di nuova natura. In cosa consiste la povertà di questa figura soggettiva? Nella paralisi della sua capacità produttiva. Sembra assurdo, ma non lo è, il capitalismo può governare il general intellect, il cervello sociale messo al lavoro, soltanto attraverso la violenza della precarietà e il blocco della mobilità sociale. Per questo quando oggi diciamo capitalismo non diciamo più democrazia, meglio, il rapporto tra i due termini è conflittuale, se non disgiuntivo. Se democrazia, allora, tumulti, conflitto costituente irriducibile alla rappresentanza politica, mai costituzionalizzabile una volta per tutte. Viene da sorridere pensando alla breve intervista televisiva autunnale che ritraeva uno studente “armato” di casco e libro-scudo dirigersi verso Montecitorio e dichiarare: «Sì, io sono un democratico». Un sorriso, però, che con serietà fa i conti con la novità della scena contemporanea: democrazia è immediatamente dispositivo tumultuario, espansivo, ostile alla governance finanziaria e politica.

Nulla sarà più come prima. Occorre proprio ribadirlo, laddove il tumulto degli studenti europei, tunisini, egiziani, ha cominciato a ridisegnare la percezione sociale, il rapporto tra prassi e felicità. Il tumulto, infatti, effettua una sorta di «potenza di muta», un divenire che trascina altrove. Chi era in piazza durante la burrasca autunnale sa di cosa sto parlando. Tutto il resto è noia.