L'abito è il monaco

“A me interessa raccontare personaggi che vanno oltre una semplice categoria”. David O. Russell

14 / 1 / 2014


A conferma che la distribuzione italiana reputa il suo pubblico costituito prevalentemente da zucconi, al titolo American Hustle ha aggiunto L'apparenza inganna, una volta tanto però dimostrando coerenza nell'interpretare il pensiero dell'autore. David O. Russell apre infatti il suo ultimo lungometraggio con Irving (Christian Bale) che, prima dei titoli di testa, si aggiusta meticolosamente il parrucchino. A lungo, faticosamente, silenziosamente. Il camuffamento non avviene solo davanti allo specchio: Bale (uscito da tutti i suoi corpi precedenti – dal dimagrimento di 30 chili per L'uomo senza sonno alla massa muscolare di Batman Begins) ha messo su pancia, i capelli (veri) unti, la postura lordo-cifotica, un completo di velluto inguardabile, un paio di occhiali dalla montatura pesante che, da soli, sanno collocare perfettamente nello spazio e nel tempo il film. Siamo a cavallo tra gli anni '70 e '80, il paese sta cambiando, sta per esplodere l'epoca dell'effimero, l'era Reagan. Somma esemplificazione dell'apparenza al potere: un attore presidente degli Stati Uniti d'America. E la storia è vera. E' la storia di un imbroglio all'americana.

I protagonisti non esibiscono l'eleganza di Newman e Redford ne La stangata, pietra miliare del genere, impeccabile sia che indossino uno smoking o un tweed: il loro guardaroba rappresenta fedelmente le complicazioni e le contraddizioni del loro essere uomini e donne in guerra contro lo status sociale che il destino pretende di avere loro assegnato. In lotta per un posto agiato nella società dei consumi. La truffa, l'infingimento, l'inganno stanno nel loro Dna. Non giocano una partita con le carte truccate: sono loro stessi l'incarnazione dell'illusione e del trucco. Il bidonista consapevole dei propri limiti Irving oltre ai problemi col riporto deve fare i conti con quelli del matrimonio, con l'incapacità-impossibilità di mollare moglie e figlio. Il federale decisionista e megalomane Richie (Bradley Cooper) oltre alla gestione dei bigodini deve curare anche quella relativa a madre autoritaria e fidanzata petulante. L'ex spogliarellista Sydney (Amy Adams) inventa una nuova vita, una nascita britannica e una quantità di scollature inguinali, ma giocando su due tavoli rischia di perdere di vista i propri sentimenti. Un triangolo che è un tripudio di rossetti, giacche, scarpe, cravatte, gioielli, camicie, accessori costantemente al limite del kitsch dell'epoca.

Il “caso Abscom” è quello che tra il '78 e '81 portò alla luce un giro di corruzione intrecciata tra malavita e politica, ma è solo uno sfondo. A Russell interessano il materiale umano, la complessità dei caratteri e la chimica che governa i rapporti tra i suoi tre personaggi. Più due. La moglie Rosalyn (Jennifer Lawrence) mixa ingenuità e intelligenza, aggressività e fragilità, monologhi sul retrogusto spazzatura del top coat e sbronze devastanti. Il sindaco Carmine (Jeremy Renner) oltre a esibire anche lui una chioma surreale alterna collusione e lealtà, ambizione e attaccamento sincero all'amico e alla città. Nessuno è come sembra. Tranne l'attempato malavitoso Victor (Bob De Niro – cammeo strepitoso) che si caratterizza per quello che è: un navigato professionista del crimine.

Russell dichiara apertamente il proprio affetto per i suoi personaggi. Affascinato dal loro dualismo antieroico lo sostiene e lo sottolinea in chiave pop. Se il tono è sarcastico lo sguardo è tenero anche quando osserva volgarità e ostentazione. Non gli interessa la ricostruzione di un fatto di cronaca, ma giocare con il genere: squadernandone le coordinate classiche, confondendone i connotati, cambiando passo e ritmo, concedendosi verbosità inaspettate alternate a esplosioni di colore e vitalità. Distillando con misura la messa in evidenza dei caratteri, dei limiti, delle vulnerabilità. Calibrando i colpi di scena e i capovolgimenti di fronte. Mantenendo percepibile la presenza di un'America che si sta ancora leccando le ferite del Vietnam, che è ancora traumatizzata dal Watergate, ma sta per inciampare nelle lusinghe dell'edonismo reaganiano. Il suo affetto è ricambiato da un cast in stato di grazia: contrasti, tensione emotiva, sentimenti, sensualità, ambizioni sono portati al limite del collasso. Un confronto di sottrazioni e accentuazioni che ognuno dei personaggi mette in scena con dedizione assoluta e rara personalità. Bella gara.

American Hustle