«Mi lasciano scrivere ciò che mi pare, ci lavorano persone capaci e
intelligenti, mi danno la possibilità di raggiungere molti lettori».
Questi, in estrema sintesi, i tre solidissimi argomenti che gli autori
pubblicati dai grandi oligopoli editoriali, compreso quello
berlusconiano, oppongono a chi chiede loro conto della scelta di
contribuire, con le proprie opere, ai profitti e alla crescita di quei
potentati editoriali. Le tre affermazioni (cui converrebbe aggiungere
anche la menzione di qualche beneficio economico) sono assolutamente
vere. Ma non è questo il punto. Le società per azioni non esercitano
censure ideologiche, se non contro chi non dovesse raggiungere i tassi
di rendimento desiderati.
Ciò di cui un autore, o un editor, devono
davvero preoccuparsi non è di essere un cattivo autore, o un cattivo
editor, ma un cattivo investimento. E in effetti se ne preoccupano. Ma
non è affatto detto che questa «preoccupazione» sia del tutto priva di
conseguenze culturali. Nel senso che l'imperativo del profitto non lo si
elude a chiacchere.
Una grande azienda quanto più è vicina al potere
-- e quando appartiene al presidente del consiglio gli è vicinissima -
tanto più cercherà di sfruttare la situazione, come ha fatto la
Mondadori. E il governo amico di facilitarle le cose. Non è poi così
sorprendente. Ma gli autori, per parte loro, più che interrogarsi sulla
moralità aziendale e fiscale della propria casa editrice, dovrebbero
chiedersi a favore di cosa o di chi se ne amministreranno i proventi, se
certi autori e certi manager valgano davvero quello che li si paga, se
sia lasciato spazio e quanto all'innovazione, se lo strapotere
oligopolistico dei gruppi editoriali non spazzerà via dal mercato la
galassia degli indipendenti e la loro funzione. Per non parlare di come e
perché tanta letteratura scadente verrà a intasare le nostre librerie.
Di tutto questo converrebbe parlare, e poi prendere posizione senza fare
finta che esista un campo unitario e "neutro" della produzione
culturale, dove tutti agiscono in piena libertà, come fossimo in un
mercato libero e senza padroni. Non è, insomma, una questione di dentro o
fuori, non lo è alla Mondadori come non lo è a Pomigliano d'Arco o
Melfi. Il problema è come si sta, dentro o fuori, fino a che punto e
fino a che prezzo e con quali risultati.
L'editoria non è zona franca
di Marco Bascetta
26 / 8 / 2010
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