L’orgoglio che sopravvive: ricordiamoci che il movimento per i diritti LGBT è nato in risposta al terrorismo

18 / 6 / 2016

In seguito al dibattito sviluppatosi dopo la strage di Orlando pubblichiamo un articolo di Sara David, tratto dal web magazine inglese Complex, tradotto da Anna Stefani e Sara Spolaore per Globalproject

"Never forget that justice is what love looks like in public." — Cornel West

Non è una coincidenza che la sparatoria di massa con il maggior numero di morti negli Stati Uniti sia successa durante il mese dell’orgoglio LGBT. Per quelli di noi che appartengono alla comunità LGBT, Pride di solito vuol dire glitter, arcobaleni, baci e festeggiare con la famiglia che ci siamo scelti. Per me significa un giorno al sole e un posto sicuro lontano dai giorni del liceo e il sentirsi così rinchiusa da non poter respirare. Per i più significa semplicemente sentirsi liberi di amare ed essere amati.

Ma anche prima della tragica sparatoria nella discoteca Pulse di Orlando, Pride non si riduceva sempre a ‘l’amore vince’. Molti dimenticano che il primo Pride fu una rivolta.

I moti di Stonewall del 1969 nei pressi del famoso locale gay Stonewall Inn (nonostante quello che il whitewashing* ci racconta nei film) furono una sommossa di quasi una settimana contro il Dipartimento di Polizia di New York. La polizia allineava gli avventori, controllava i loro documenti e li portava in bagno per verificare il loro sesso biologico. Chiunque indossasse vestiti attribuiti al genere opposto veniva arrestato (e spesso aggredito). La rivolta scoppiò quando una lesbica** fu scortata fuori dall’edificio e colpita alla testa da un poliziotto perché si lamentava che le manette erano troppo strette. I presenti dissero che  fu in quel momento che guardò la folla e gridò: “Perché non fate qualcosa?!”

Quattro anni dopo Stonewall, si verificò il più grande omicidio di massa di persone omosessuali nella storia degli Stati Uniti (fino ad oggi). IL 24 Giugno 1973 un piromane diede fuoco all’Upstairs Lounge di New Orleans, in Louisiana e 32 persone rimasero uccise. In un articolo del Times scritto nel 2013, Elizabeth Dias e Jim Downs descrissero la reazione dell’opinione pubblica:

“Le battute offensive cominciarono praticamente subito. Il reverendo Troy Perry, fondatore della Metropolitan Community Churches, prese un volo la mattina successiva l’incendio e ricorda di un conduttore radiofonico che gli chiese in diretta “Dove li seppelliamo?” la risposta sprezzante fu “In vasetti di frutta”. Il capo detective del Dipartimento di Polizia rafforzò il clima omofobo dicendo ai giornalisti che identificare i corpi sarebbe stato difficile perché molti avventori avevano documenti falsi e “il locale era frequentato da ladri, e non era altro che un locale gay”.

Nonostante la città fosse considerata tollerante, essere gay a New Orleans nel 1973 aveva determinate conseguenze. Un insegnante, vittima dell’incendio, fu licenziato finché era in terapia intensiva al Charity Hospital dopo che la sua scuola fu informata che si trovava in quel locale. Morì qualche giorno dopo a causa delle ustioni.”

Cos’è cambiato da Stonewall, all’Upstairs Lounge al Pulse? Molto. Ma più gravi sono le cose che sono rimaste uguali.

I tentativi di suicidio tra i giovani LGBT sono quattro volte più frequenti rispetto a quelli dei loro coetanei eterosessuali. Solo nei primi cinque mesi del 2016 sono stati registrati in America 10 omicidi di persone transessuali. Secondo l’Advocate “Quasi tutte le vittime erano persone di colore, e la maggioranza erano transgender.” Se i fatti di Stonewall suonano sinistri, come quanto sta accadendo oggi con la legge che prevede che le persone transessuali debbano utilizzare i bagni corrispondenti al loro sesso biologico, è perché si tratta della stessa cosa. Queste leggi unite alla sparatoria di massa di Orlando sono terrorismo nella sua più ampia definizione – l’uso della violenza e dell’intimidazione per perseguire fini politici.

Dopo che l’anno scorso la Corte Suprema ha decretato legali i matrimoni tra persone dello stesso sesso, molti membri della comunità LGBT si sono sentiti investiti di un privilegio. (So che avete visto quei ragazzi bianchi cisgender con profili Grinder con su scritto “No fats or Fems***. #Lovewins”). E lo capisco, sul serio. Non credevo che nella mia vita avrei mai visto realizzarsi i matrimoni tra persone dello stesso sesso – non potete lasciarmi vivere come il vostro problema preferito? Ma ora non è il momento di adagiarsi sugli allori. In passato abbiamo visto la nostra comunità infervorarsi per fare la storia, e ora dobbiamo farlo ancora e ancora.

Fanculo l’omofobia. Fanculo la transfobia. Fanculo la queerfobia.

La nostra comunità – che include alcune delle menti più brillanti della storia – è un dono a questo brutto, violento mondo. Cosa abbiamo avuto in cambio? Il diritto di sposarci finché le nostre sorelle transessuali vengono uccise nelle strade?

È ora di eliminare il motto “surviving is thriving”  (“la sopravvivenza è rigogliosa”) perché fiorire è rigoglioso, e non basta semplicemente sopravvivere, noi ci meritiamo di prosperare.

È il momento per la comunità LGBT di guardare alle nostre radici e ai nostri antenati radicali. È il momento per un vero lavoro di sostegno anziché delle stronzate tipo “mettici un filtro arcobaleno”. Ogni questione che affligge identità marginalizzate – razzismo, classismo, islamofobia, cissessismo, ecc. – è una questione LGBT. Ogni questione che subordina l’amore e l’empatia a qualcos’altro è una questione LGBT. Se possiamo portare il matrimonio tra persone dello stesso sesso negli Stati Uniti, possiamo fare qualcosa per cambiare la mancanza di controllo sulle armi di questo paese. Possiamo prendere i nostri megafoni. Possiamo combattere per essere rappresentati al governo. Possiamo far sentire la nostra voce quando vediamo qualcuno svalutare la vita queer. Possiamo continuare questa battaglia perché abbiamo qualcosa per cui vale la pena lottare.

Possiamo rispondere alla donna coraggiosa che a Stonewall ha gridato, “Perché non fate qualcosa?”

*letteralmente imbiancare oppure coprire mascherare, occultare. Il termine viene utilizzato anche per indicate una pratica diffusa nel mondo dei media (film, telefilm, fumetti ecc.) che consiste nel prendere un personaggio originariamente non bianco e dargli connotati caucasici per renderlo più appetibile ad pubblico bianco.

**’butch’ nel testo originale, indica colei che ha il ruolo dominante in una relazione lesbica o anche una donna ‘mascolina’

***la donna che appare più femminile all’interno di una coppia lesbica