Memoria e movimento. Vi presentiamo "Open memory - Centro Studi e documentazione Sherwood"

13 / 5 / 2021

Dal 14 maggio in Vicolo Pontecorvo non troverete “solo” lo studio di registrazione, i mixer e i microfoni radiofonici, le lavagne per la scuola di Italiano, il bar e il palco, gli scaffali di libri e tutto ciò a cui siete sempre stat* abituat* ma anche un nuovo progetto che migra il passato nel presente per proiettarlo fino al futuro. Apre ufficialmente Open memory - Centro Studi e documentazione Sherwood, un luogo che è archivio, conservazione e catalogazione ma anche consultazione e spunto. Quotidiani, carte processuali, manifesti, dichiarazioni, registrazioni radiofoniche sono i principali, sebbene non unici, materiali qui raccolti. Per capire meglio quali siano gli obiettivi di questo progetto, abbiamo parlato con Davide Drago, tra i fondatori e ideatori che in questi mesi, insieme a un bel gruppo, ha creato e dato alla luce il Centro Studi.

Allora Davide quando e da chi è nata l’idea di aprire il Centro studi?

L’idea nasce un po’ di mesi fa, circa a settembre-ottobre, da chiacchierate soprattutto informali tra varie persone che oggi attraversano i locali di Radio Sherwood. Quando parlo di varie persone, parlo anche di persone diverse da un punto di vista anagrafico ed anche con età differenti di esperienza all’interno della radio e dei movimenti del Nord-Est. Da queste chiacchiere quindi viene fuori la necessità di ordinare all’inizio quello che è il patrimonio e la storia dei nostri movimenti e dei nostri strumenti di comunicazione. I movimenti sono qualcosa di fluido, che cambia, sono battaglie che nel corso di questi anni sono anche mutate in parte, hanno obiettivi diversi. Ma Radio Sherwood è stato l’unico strumento di comunicazione padovano e veneto che rimane dal 1976. Certo anche gli strumenti di comunicazione si sono trasformati nel corso del tempo ma la radio, pur con tutti gli aggiornamenti del caso, è rimasta. Anche in altri ambiti, sempre del Nord-Est, c’è stata una necessità analoga di mettere mano al proprio passato, faccio riferimento all’archivio No Dal Molin. Da queste discussioni informali è nato un gruppo di persone che ha iniziato a fare un ragionamento più serio e strutturato. All’inizio avevamo pensato di fare un archivio inteso proprio come un archivio di documenti prodotta da collettivi, radio e centri sociali ma man mano che abbiamo ordinato ci siamo resi conto che vi è un patrimonio che va al di là dei meri scritti. Ci sono documenti cartacei, libri, audio, vecchie trasmissioni, foto, video. Da qui l’idea formale di chiamare questo luogo fisico un Centro studi e documentazione. Questo gruppo poi ha continuato, si è strutturato, ha iniziato la raccolta di materiali all’interno della radio e degli spazi sociali del Nord-Est, soprattutto a Padova e Marghera.

Un archivio parla in primis di passato. Ma quali sono gli obiettivi presenti e futuri che ci si dà con questo progetto?

L’obiettivo è realizzare una sede che sia un luogo di studio, di approfondimento, di elaborazione politica del passato, del presente e soprattutto del futuro. Come farlo? Lo si fa questo studiando il proprio passato, capendo quale è il filo conduttore che porta avanti determinate battaglie e dall’altro lato si cerca di fare in modo che i/le giovani possano capire quello che succede oggi grazie all’importanza della storia e della memoria.

Chi pensi possa essere il/la principale utente del Centro?

Si rivolge fondamentalmente a tutti. Agli addetti ai lavori, a gente che uvole fare ricerca storica, abbiamo ad esempio avuto persone che hanno fatto studi sul 7 aprile e che quindi hanno richiesto audio dell’epoca. Ci si rivolge all’appassionato. Ma soprattutto si rivolge ai/alle giovani proprio perché come Centro studi non siamo uno scrigno chiuso all’interno di quattro mura ma siamo un luogo vivo, siamo in movimento. L’essere in movimento, l’essere attraversati anche da persone di tutte le età, soprattutto giovani che hanno bisogno di conoscere quello che è il proprio passato. Perché sottolineo questa cosa? Perché noi, dagli anni ’70 in poi, abbiamo tutta una serie di documentazione che non è ancora stata storicizzata, nel vero senso del termine. È una storia che ancora bisogna scrivere. E io soprattutto faccio riferimento a quella storia degli anni ’80, ’90, 2000 che potremmo ancora definirla, da un punto di vista storiografico, quasi cronaca. E lì qualcun* dovrà anche studiare dal punto di vista storico e storiografico cosa è avvenuto. Ecco quindi l’importanza del fatto che questo posto sia attraversato dagli addetti ai lavori. Il Centro studi come centro di analisi, di diffusione di sapere, utilizzando quelli che sono gli strumenti che noi oggi abbiamo a disposizione. Vogliamo usare lo strumento audio, quindi i podcast; lo strumento video, quindi gli storytelling; vogliamo utilizzare lo scritto, quindi con i nostri mezzi di comunicazione come GlobalProject e Sherwood Webzine. Questo per raccontare i movimenti passati e la cultura che ci ha attraversato in questi anni. Un luogo vivo, di confronto, di educazione alla memoria, di educazione allo studio della storia. Il nostro obiettivo sarebbe anche quello di entrare nelle scuole, di fare uscire da quello che è la nostra comfort zone, di chi già conosce un po’ questi anni. Da parte mia, come storico, per me è fondamentale arrivare con la storia a tutti e a tutte, dunque non solo agli specialisti del settore ma fare breccia sui giovani.

Un archivio Sherwood è anche un archivio di movimento e di battaglie politiche. Quale credi possa essere il contributo al giorno d’oggi di questo materiale?

Luogo vivo dicevamo il centro studi. Luogo di racconto di movimenti e battaglie politiche. Attraversiamo all’interno del nostro Centro studi le battaglie sui diritti degli operai, sul femminismo degli anni ’70, sulle rivendicazioni operaie legate alla sanità, qualcosa che ancora oggi, in modo differente, ritorna a essere focus fondamentale. Il diritto alla cura per tutte e tutti. Il diritto alla casa, che è qualcosa che si è attraversato in in modo costante durante tutti questi anni. Le battaglie ambientali. Il nostro Centro studi è caratterizzato da moltissima documentazione, soprattutto video e scritta, delle battaglie ambientali degli anni ’80-’90, come la lotta contro il nucleare, gli inceneritori, le discariche. Lotte che ancora, in parte purtroppo, portiamo avanti anche oggi e dico purtroppo perché vuol dire che in questi trent’anni non si è riusciti a raggiungere quell’obiettivo minimo di salvaguardia del nostro territorio. Proprio da questi documenti storici si può riuscire a trarre beneficio a capire quelle che erano le modalità con cui svolgevano determinate battaglie. Ma è anche un luogo di sperimentazione in generale perché ad esempio da un punto di vista video si può studiare come è cambiato il modo di comunicare tramite le immagini. Addirittura abbiamo un compagno che si occupa di grafica e che sta studiando come è cambiato il modo di comunicare da un questo punto di vista. Davvero uno studio trasversale.

Cosa ti ha colpito maggiormente del materiale che c’è?

Personalmente la ricchezza della documentazione e soprattutto, sempre per mio interesse, di quella legata alle battaglie degli anni ’70 e legate al filo della repressione. Vedere determinati documenti mi arricchisce e mi fa piacere. Ma mi colpisce che vi siano delle battaglie comuni, che portiamo avanti, e dobbiamo capire come non essere oggi fuori dalla storia, quindi non portare aventi le battaglie femministe allo stesso modo. È cambiata la società e dobbiamo cambiare i linguaggi. Come è accaduto con le tematiche ambientali. Vi è tanta ricchezza. Il nodo dolente è che forse per la fluidità dei movimenti purtroppo molto materiale è andato perso. Non c’è stata la volontà di conservare la nostra storia. È avvenuto all’interno del mondo della radio, è avvenuto nel mondo della documentazione in generale. Per questo agiremo in due modi. Il primo raccogliere, porta a porta, tutta quella che è la documentazione che compagni e compagne che hanno attraversato i movimenti in questi quasi cinquant’anni hanno in casa. La seconda cosa è usare lo strumento audio-video per registrare delle interviste e recuperare il passato grazie alla storia orale. Una metodologia per fare storia che, da parte mia, ritengo altrettanto importante. È una fonte comunque primaria; l’antropologia si basa sulle interviste delle fonti orali ad esempio. Faremo dunque anche tutto questo lavoro.

L’accesso e la fruizione del materiale del Centro, Covid permettendo, come sarà organizzata?

Sarà un accesso non solo all’interno delle quattro mura ma ci sarà anche un lavoro di digitalizzazione per permettere a tutte e tutti da qualsiasi parte del mondo di potere accedere a questa documentazione. Deve essere un luogo non solo dove ricevere ma anche dare, un luogo di confronto continuo attraverso i vari strumenti tecnologici anche. Quindi fare memoria ma continuare ad essere in movimento, usando tutti gli strumenti di comunicazione che abbiamo a disposizione e soprattutto affacciarci al mondo dei giovani e continuare a studiare il nostro passato recente non in modo nostalgico ma in maniera di studio, approfondimento ed elaborazione politica e teorica per l’oggi. Soprattutto per le nuove battaglie che il futuro ci porterà davanti e per le battaglie che abbiamo già qui nel quotidiano.

L’invito dunque è di esserci il prossimo 14 maggio e soprattutto di partecipare alle attività di Open memory - Centro Studi e documentazione Sherwood. Un luogo di memoria e movimento da rendere vivo tramite il contributo e l’utilizzo da parte di tutt*.

 
 

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Tratto da Sherwood Webzine