Metti una sera Taranto al Teatro

"Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti. Il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dove ci sono dei vuoti... è lì che qualcuno ha bisogno di stare ad ascoltare qualcosa che qualcun altro ha da dire a lui." - Jacques Copeau

10 / 4 / 2013

Taranto fino agli anni ‘60 era la città del mare e della campagna, l’intera economia familiare era basata su quelle risorse, e sull’Arsenale Militare, che ancora oggi possiede le strutture, le coste e le isole tra le più belle della città. Era il 1961 quando l’ex Italsider spalancò le sue porte alla città. Migliaia di lavoratori fecero il loro ingresso, felici di aver acquisito una dignità, perlomeno lavorativa, nella struttura più all’avanguardia dell’intero paese. Una nuova fabbrica, una nuova vita, una casa nuova e forse anche una macchina, sicuramente tante speranze.

“U'Tata pinzece tu” è un’espressione dialettale tarantina, allude ad una richiesta di aiuto, una “mano dall’alto” nel momento di bisogno, ma è anche il titolo di un laboratorio teatrale, urbano, dal basso, ideato e messo in pratica nella cornice naturale del quartiere Tamburi di Taranto, polmone nero d’Italia. Un laboratorio, un esperimento più che altro, fatto da donne, uomini, bambini, gente trovata un po’ per caso, con la voglia di mettersi in gioco e soprattutto di raccontare storie vere, una storia vera, quella di una città. Lo spettacolo ha visto la sua “prima” nelle stesse strade del Quartiere Tamburi il 20 di marzo, divenendo uno spazio pubblico di parola, per far sì che diventi un processo costituente di realtà, soggetti e soggettività che vivono, operano e costituiscono il territorio. Le strade e le piazze si son riempite di attrici e attori che in maniera folkloristica, popolare, hanno ripercorso la storia del quartiere e della comunità tutta, evoluzioni e involuzioni, attraverso il mezzo del teatro, Arte tra le Arti tra le più antiche e virtuose dell’umanità.

La composizione di questo laboratorio è fatto da gente comune, “debuttanti”, oltre a qualche veterano della scena, e probabilmente la potenza e talvolta anche pathos, di questo spettacolo sono dettati proprio da coloro che mai prima di allora avevano calcato un palco teatrale. Improvvisazione, spontaneità, sintesi di esperienze e immaginario. Ma anche imbarazzo difronte alla gremita platea, e la vergogna della piccola Annina, la più giovane delle attrici, nove anni, nel momento del generale applauso, meritatissimo, tutto per lei. In poco meno di due ore, si ripercorrono vite, storie, emozioni, paure, di una città apparentemente liberata dal suo essere spudoratamente meridionale, grazie all’avvento del siderurgico, del progresso, del lavoro, della stabilità.

La rappresentazione è composta da storie di vita, di mogli e madri preoccupate per il futuro dei propri mariti e dei propri figli; giovani disoccupati con poca voglia di lavorare, soprattutto nella fabbrica dell’acciaio. All’epoca c’era già qualcuno che sapeva che quella era l’industria dei veleni, e i tempi erano non sospetti; pescatori dopo un’intera vita da “lupi di mare” ritrovatisi catapultati nel lavoro di otto ore al giorno, sporchi di minerale e coi polmoni saturi di polveri. E le conseguenze non tardano ad arrivare. Sullo sfondo del buio palcoscenico si vedono entrare figure in tuta bianca, che si muovono prima piano, poi veloce, poi ancora piano. Automi, è questo che sono, è questo che la fabbrica più inquinata di Europa fa’ diventare, automi. Mimano una catena di montaggio, poi qualcuno di loro cade a terra, tramortito, probabilmente morto, e non è una metafora. Qui si muore veramente, all’improvviso.

Taranto è una città maledetta. Una parallelismo mitologico la paragona alla figura di Persefone, figlia di Demetra e Zeus, sposa di Ade, rapita da quest’ultimo e relegata per sempre negli inferi. Ed è così che vive Taranto. Negli inferi di una città meravigliosa, ricca di storia e di risorse. Vittima delle sbagliate scelte politiche, economiche, culturali, sociali che hanno portato al devastamento del territorio e di chi, quel territorio lo ama e lo difende, in nome del profitto di pochi, anzi pochissimi.

Ma Taranto non è solo questo. In città si respira voglia di cambiamento e di riscatto, voglia di riappropriarsi di quello che è stato tolto. Il teatro è “semplicemente” un mezzo, tra i più romantici, nobili e raffinati in assoluto, che diviene un terreno capace di generare connessioni tra vite, esigenze, lotte, molto diverse, moltiplicando spazi di confronto e piani del conflitto. Perché siamo tutti sotto lo stesso cielo, nero più che mai.

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