Un contributo della redazione di Radio Sherwood sul recente dibattito attorno alla proposta di legge della Lega per istituire l'obbligo di una canzona italiana ogni tre nella programmazione radiofonica
Ci ha molto colpiti la proposta di legge
della Lega che vorrebbe imporre di riservare almeno un terzo della
programmazione delle radio italiane "alla produzione musicale italiana,
opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia".
Noi la musica l'abbiamo sempre intesa libera, libera come la nostra radio, che
dagli anni '70 si propone come "La migliore alternativa",
trasmettendo la musica che più ci piace, a prescindere dalla provenienza, e
sempre con un occhio di riguardo agli emergenti.
Vogliamo quindi creare dibattito su questo tema, rilanciando con una nostra
controproposta: e se invece ogni tre brani mandassimo in onda il coro
"Odio la Lega"?
Segui gli hashtag #musicalibera e #ognitrecanzoniodiolalega ed
aiutaci a far diventare virale questa iniziativa!
Tutto pare sia scaturito dal trionfo di
un italo-egiziano al festival di Sanremo: questo probabilmente a causa delle
presunte lobbies imboscatesi tra la giuria dei giornalisti. La stessa, lontana
e scollata dal sentore popolare che invece aveva cinto d’alloro, a suon di 0,51
cent., un giovane, italiano, con un testo senza alcun neologismo o quantomeno,
per carità, frasi in arabo.
La proposta di legge del Carroccio ha l’intenzione di riprendersi
l’italianità rubata, le canzonette melense, la frangetta della
Carrà, l’ugola ininterrotta di Albano che si sovrappone a decibel indefiniti.
È la nostra lingua che dovrà attraversare le onde sonore attraverso fili,
antenne e casse metalliche.
La Nazione sovrana chiude i porti… Alla musica, dato che alla fin fine, dopo il
precedente pilota d’oggi, non sembrerebbero esserci ripercussioni. La proposta
di legge chiede che le emittenti radiofoniche,
nazionali e private - riservino - almeno un terzo della loro programmazione
giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti
italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante
le 24 ore di programmazione. Ed ancora, una quota pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della
produzione musicale italiana è riservata alle produzioni degli artisti
emergenti. Sempre secondo l'impostazione della proposta la vigilanza sull'applicazione della presente legge è affidata
all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - e l'Autorità, a fronte della
reiterata inosservanza delle disposizioni di cui alla presente legge, può in
ultima distanza disporre la sospensione dell'attività radiofonica da un minimo
di otto ad un massimo di trenta giorni. Una molotov accesa
predisposta ad alzare polveri, macerie e sdegno. E vi spiego come mai. La
musica italiana è riconosciuta ed applaudita a livello internazionale: chiunque
nel mondo ha almeno una volta nella vita sentito parlare di Verdi, Puccini,
Rossini, della lirica, dell’opera, così come gli argentini hanno più volte
riempito i concerti della Pausini ed i russi quelli della coppia Albano-Power.
L’Italia ha scolarizzato a livello musicale
il mondo, ha oltrepassato gli oceani e creato orchestre, ma ad oggi quel che ci si
ritrova tra le mani è seriamente ben poca roba rispetto ai tempi passati.
Bisogna certamente porre il caso esemplare dell’insegnamento musicale
nell’istruzione pubblica. Chiunque tu sia, proprio tu che stai leggendo, avrai
sicuramente impugnato fra le mani un flauto dolce o spinto il fiato in una
diamonica fra le quattro mura della scuola media. Vita grama quella
dell’insegnate di musica delle scuole medie: dopo decenni di studi si ritroverà
a spiegare una materia da un programma immenso ed indefinito in un monte ore
risicato, tra la colonna sonora del Titanic e Silent Night, utili per il
concerto di Natale e la recita di fine anno. Non ci sono buone notizie nemmeno
sul fronte delle scuole superiori. La legge Gelmini istituì il Liceo Musicale
con la ratio di specializzare la materia con sessioni pomeridiane dedicate allo
studio di più strumenti. Ad oggi le famiglie degli studenti iscritti a questi
licei ‘di settore’ son costretti ad elargire il contributo ‘facoltativo’ per
legge, ma obbligatorio di fatto, per il finanziamento degli insegnamenti, costo
che si aggira dai 200 fino ai 500 €. Senza soldi… Non si cantano messe. Per
quanto riguarda i Conservatori, tardiva si è dimostrata la riforma che li ha
riconosciuti e collocati al vertice che prima era un’esclusiva degli studi
universitari, venendo così alla nascita dell’Alta formazione artistica e
musicale (AFAM) – nomen omen. Purtroppo ad oggi l’opinione pubblica (e politica,
se vogliamo) relega la pratica musicale ed artistica ad un aspetto ludico,
hobbistico, tutt’altro che ad una vera e propria formazione professionale.
Basti pensare con quale stregua vengono trattati gli artisti e musicisti di
strada, scacciati o multati, venendo quasi ad una creazione di una concezione
criminogena nei loro confronti.
Eppure, in una tale catastrofe, ci si permette di elevare la musica italiana a
mantra, senza un investimento in termini pragmatici, senza una conoscenza dello
stato dell’arte, per pura e semplice tattica elettoralistica di cavalcare il
momento dei rumors mainstream, mero populismo, nulla di nuovo sui nostri
schermi.
È dal momento in cui tale notizia è rimbalzata ovunque che ho pensato nella mia
testa a quello strano fenomeno dei simil-gruppi italiani che a partire dagli
anni ’60 monopolizzavano la scena dell’Hit Parade: dagli Equipe 84 con la
loro Bang bang! (dall'omonima hit scritta da Sonny Bono
e incisa da Cher), ai Dik Dik con SognandoCalifornia –
nient’altro che California Dreaming dei Mamas
and Papas, o Bobby Solo, L’Elvis Presley dei noialtri… Le influenze musicali
hanno sempre travalicato i confini: dalla Nigeria è nato l’Afro Beat di Fela
Kuti diventando un must, dal viaggio in America Latina di Battisti nacque il disco
monumentale del secolo Anima Latina, fino
al fenomeno Trap dei giorni nostri, direttamente dagli USA. È un dare e
ricevere bilateralmente, senza monopoli, senza censure.
La musica in quanto arte non ha nazionalità né etichette di provenienza, ed un
messaggio dovrebbe andar ben oltre il consueto clamore: vogliamo aver la
possibilità di fare quel che ci pare e piace.
La musica è l’arma, usiamola contro chi tenta di
incatenarla.
La Redazione di Radio Sherwood