OltrEconomia Festival 2019 - Occupa e rigenera. Ogni spazio maltrattato funziona meglio come spazio occupato

Viaggio all’interno di esperienze resistenti in lotta contro il logoramento del capitale e riappropriarsi dei propri territori.

1 / 6 / 2019

La trasformazione sociale, culturale, economica e materiale della società in cui viviamo e degli spazi urbani (e non) è uno dei cambiamenti più importanti in atto in questi decenni.

Nella giornata di sabato 1 giugno si è tenuto un incontro con realtà diverse in termini geografici, di vertenze e battaglie portate avanti ma incredibilmente accomunate dal fatto di essere dei piccoli grandi “Davide” che muovono le proprie esistenze all’interno delle città fratturate da due essenze contrapposte: da un lato i movimenti motori propulsivi di forme di resistenza e innovazione, dall’altro i Golia ossia le "vetrine" dietro le quali si nascondono i meccanismi di riproduzione del capitale che speculano e sfruttano le vite altrui. 

Viviamo in un momento storico caratterizzato da forti e aggressivi attacchi alle esperienze resistenti e di lotta come non si vedeva da anni. Sebbene le politiche portate avanti in questi mesi dall’esecutivo gialloverde e da Salvini in particolar modo siano le più eclatanti, in realtà il tentativo di smantellamento dei movimenti e degli spazi sociali si sono susseguite gradualmente e chirurgicamente già nei precedenti ministeri: dall’art. 5 del piano casa di Renzi-Lupi al fu decreto e attuale legge Minniti. L'obiettivo è chiaro: escludere dalla sfera cittadina i soggetti scomodi  non graditi alla governance e al decoro urbano.

La domanda è parsa immediatamente spontanea: è possibile porre un argine, riacquistare terreno ed essere determinanti nel sovvertimento di quello che paurosamente sta divenendo “normalità”?

L’OltrEconomia Festival, e questa edizione in particolare, ci indica una direzione: “Terre di Disobbedienza”: disobbedire per resistere, disobbedire per invertire la rotta. Costruire spazi di pensiero critico e pratiche militanti ragionando ed agendo in costruttivo dissenso contro le politiche dell’esclusione, della violenza e della repressione. La conferenza di sabato ci ha dato alcune risposte ma ci ha lasciato anche domande e numerosi spunti di riflessione e azione. In un dibattito incentrato sulla rigenerazione e riappropriazione degli spazi - dalle case, agli edifici abbandonati, alle fabbriche, alle terre, alle università - ma anche delle nostre vite come pratica conseguente di ripensamento e trasformazione delle città, non a settori stagni ma nella sua interezza. 

Esperienze come Ri-Maflow e Metropolis nascono per rispondere a necessità primarie impellenti, dall’emergenza lavorativa a quella abitativa. Persone dalle storie più diverse a partire dal bisogno materiale più impellente riescono a costruire comunità meticce e solidali aperte riappropriandosi di porzioni di città degradate e abbandonate da tutti i punti di vista. Dove si soffoca nel cemento colato dai signori della speculazioni le occupazioni diventano soluzioni come tanti e numerosi Davide che si organizzano resistendo alle aggressioni del gigante Golia.

Riuscire a resistere di fronte ai colossi del capitale italiano non è semplice ma non è impossibile. Le difficoltà ma anche i tentativi di resistenza e la capacità di rinascere dalle proprie ceneri quando la resistenza non è sufficiente ci è stato ben spiegato dagli ospiti della giornata.

Nella capitale romana che, vede 57.000 nuclei familiari in emergenza abitativa, l’esperienza di Metropolis nasce con l’occupazione di un ex salumificio abbandonato da anni e passato in mano agli speculatori edilizi Salini nella zona di Roma est, già pesantemente colonizzata dai complessi industriali agro alimentari. Nel 2009, l’anno di inizio della crisi permanente, viene occupata: immaginare un’ex fabbrica come spazio abitativo non è di certo semplice, ma di fatto e nonostante tutto vi è stato un lavoro imponente dal basso di progettazione e realizzazione, tra cui la bonifica dell’amianto circostante.

L’occupazione non fa fronte esclusivamente al bisogno abitativo ma contribuisce anche in questo caso a porre un freno ai Golia della speculazione. La repressione, neanche in questo caso si dimostra latitante: la prassi è la stessa, scientifica, aggressiva, intimidatoria da parte di padroni e istituzioni abbracciati nel loro valzer speculativo.

La volontà politica nel portare avanti attacchi repressivi è palese anche quando non può mostrarsi tale: è il caso della comunità di Ri-Maflow. L’identikit dell’occupante si discosta dall’immaginario classico: abbiamo una porzione di società civile prevalentemente composta da lavoratori di mezza età e, almeno inizialmente, privi di una coscienza politica e di classe; personaggi di per sé non facilmente denigrabili attraverso i classici dispositivi. Poco importa: dove la politica non arriva compensano i tecnici della legalità, sempre e solo strumentale al mantenimento del potere e della disuguaglianza sociale.

I processi che implicano un percorso di autogestione e democrazia esercitata dal basso possono essere applicati in ogni ambito: nel caso di Genuino Amiatino si sviluppa attraverso la necessità di sostenere e praticare sovranità alimentare, tutelare e custodire la biodiversità a partire dai nostri territori, presupposti che fanno mettere in atto pratiche di cooperazione e progettualità alternative.

Ripensare lo spazio-tempo della zona del monte Amiata anche in questo caso è stata una sfida: una zona che per molti anni è stata caratterizzata dall’estrazione del mercurio e sfruttamento lavorativo e territoriale necessitava una trasformazione radicale riuscendo a fare insieme quello che da soli non si riuscirebbe mai a fare, immaginando un mondo diverso, dando valore al tempo, attraverso la rivalutazione delle modalità produttive: praticare autonomia condivisa, scardinare il concetto di legalità e giustizia come binomio indissolubile, coinvolgere le soggettività più diverse pur mantenendo una base di azione comune orientata alla difesa del territorio in ogni suo aspetto.

Ma i bisogni a cui è necessario rispondere non riguardano solamente gli aspetti più “urgenti” della nostra vita. L’esperienza di Lume (Laboratorio Universitario Metropolitano) di Milano ci insegna la necessità e la possibilità di sviluppare le nostre “eccedenze” anche nelle città dove lo sviluppo delle dinamiche del capitale e di gentrification si trovano in stadi più avanzati.

Attraverso la capacità di saper mettere in relazione lo spazio di città metropolitana con la composizione di classe che lo compone, la pratica dell’occupazione e dell’autogestione riescono a trovare una risposta pratica in cui si mette a valore la nostra esistenza, le nostre vite e la cultura che essa produce al di fuori degli affannosi tentativi di mercificazione della stessa.

Nella Milano del 2019 i processi di rigenerazioni dal basso trovano non pochi ostacoli. Ma come una fenice, nonostante i diversi sgomberi e continui attacchi Lume rinasce dalle proprie ceneri portando al contempo a nuova vita spazi lasciati totalmente al degrado e alla speculazione.

La riappropriazione del sapere e della cultura avviene anche attraverso la critica del paradigma università-azienda che, ben inserito nel contesto neoliberista del modello Milano- Expo, contribuisce a compromettere anche l’instaurazione dei rapporti umani più semplici e basilari lasciando dietro di sé uno strascico composto da sentimenti di alienazione e abbandono.

La testimonianza di Vito Saccomandi è eloquente: “Ho cominciato davvero a vivere solo all’interno degli spazi occupati, non solo la città ma anche me stesso e gli altri”.

L’esperienze resistenti di questo tipo si ben collegano alla nostra città. Il Centro Sociale Bruno è sotto attacco. A pochi giorni dal previsto sfratto ci troviamo a mettere in atto pratiche di resistenza contro i nostri “Golia” locali. 

Le centinaia di persone che hanno raggiunto il Centro Sociale in occasione dell’assemblea pubblica “Bruno non si caccia” hanno già dato un primo segnale di un pezzo di società in movimento che si unisce e reagisce. La scelta da parte della giunta provinciale di sfrattare il Bruno si può tranquillamente considerare come un altro esempio di come le attuali politiche fascio-leghiste vogliano colpire la libertà e il dissenso sociale presente nel corpo vivo della società attraverso il costante tentativo di restringimento degli spazi di libertà e di autorganizzazione.

Lo fa con viltà, inventandosi pretesti come un’ipotetica riqualificazione dell’area Italcementi. Ma è ormai chiaro che su quell’area non ci sono progetti di alcuni tipo. 

Nella nostra “Terra di Disobbedienza” se le opzioni che ci sono sul piatto sono legalità e giustizia è necessario scegliere la seconda. L’appuntamento per tutti e tutte lanciato dal palco dell'Oef è per sabato 8 giugno ad ore 12.00 in Lungadige S.Nicolò 4.