«On est là- Siamo qua». Gilets jaunes: il movimento tenace della Francia invisibile

Un pamphlet di Enzo Names e Nicolò Molinari che racconta i gilets jaunes dall’interno

27 / 11 / 2019

«On est là, on est là, même si Macron ne veut pas, nous on est là » è il coro più diffuso nelle piazze francesi da un anno a questa parte. «Siamo qua, anche se Macron non vuole» sintetizza al meglio la tenuta di un movimento che ha modificato in continuazione lessico, rivendicazioni e composizione sociale, ma che è stato capace di costruire embrioni di contropotere in tutto il territorio francese. On est là è anche il titolo di un pamphlet scritto da Enzo Names e Nicolò Molinari che racconta il divenire dei gilets jaunes dall’interno, in particolare tra Parigi e Bordeaux.

Note d’oltralpe sui Gilet gialli

On est là

I Gilets Jaunes (GJ) hanno aperto uno squarcio nella sensazione di immobilità, di depressione e di impossibilità che spesso ci portiamo dentro nel guardare le situazioni attuali. Uno squarcio che ci ha permesso di intravedere alternative possibili.

Quello che è successo negli ultimi mesi in Francia ha fatto tremare almeno un po’ il governo e il  suo sistema di governance, l’ha costretto a riorganizzarsi e rendere ancora più esplicito il suo apparato repressivo.

Chi ha vissuto quei momenti, è riuscito, anche se per degli attimi, a liberarsi da quel oppressivo realismo, ha avuto la sensazione e l’intima certezza di poter incidere la realtà, di poterla condizionare, di poter produrre un cambiamento.

Molti tra coloro che sono coinvolti da tempo nelle lotte sociali hanno incrociato e attraversato l’esperienza dei GJ rimanendovi impressionati e respirandone fino in fondo la novità e creatività, ricevendo una boccata d’aria fresca in un contesto altrimenti marcato da repressione.

Anche noi, che abbiamo avuto questa opportunità, abbiamo sentito il bisogno di condividere esperienze, riflessioni e discussioni per chiederci come l’esperienza dei GJ potesse contribuire attivamente anche alle lotte fuori dal perimetro esagonale dove sono nati.

Per questo abbiamo deciso di raccontare pezzetti di quanto abbiamo vissuto e visto. Proponiamo un’analisi “di pancia”, che non ha la pretesa né di essere esaustiva né di essere una teoria politica della ricomposizione antagonista. Il nostro è uno sguardo soggettivo che prova rispondere a delle semplici domande sul movimento: chi sono? Come organizzano le loro lotte? Cosa vogliono?

Si tratta di note, che a qualche mese di distanza dalle incendiarie giornate d’inverno, vogliono alimentare la riflessione sui gilet gialli, non per proporre modelli da seguire, ma per diffondere  degli spunti per un confronto con chi vive nell’urgenza delle lotte sociali.

Perché i Gilets Jaunes sono appunto uno spazio di incontro, convergenza, condivisione e conflitto, che ci dà da riflettere sulle prospettive comuni. Vogliamo raccontare il processo e la novità che i gilet gialli costituiscono e hanno costituito sul panorama nazionale e internazionale, provando a tracciarne una traiettoria e a seguirne l’impatto.

Una rinnovata consapevolezza e determinazione ha coinvolto migliaia di persone che difficilmente rientreranno a casa per continuare a subire le attuali politiche. Queste lotte hanno permesso un’ampia politicizzazione di chi, spesso senza particolari esperienze precedenti, ha scoperto la forza di una lotta magmatica senza linee dettate da organizzazioni verticali e strutturate come partiti o sindacati. Oltre ad una nuova linfa di attivismo e protagonismo politico è avvenuta anche una radicalizzazione di chi in pochi mesi è passato da domandare una democrazia migliore (dove anche i poliziotti fraternizzano con i manifestanti) a invocare nientemeno che la rivoluzione, seppur con prospettive soggettive.

Forme di azione diretta demonizzate fino a poco tempo prima vengono ormai accettate. Questo può inscriversi anche in una maggiore “popolarità” di una coscienza anticapitalista. Politicizzazione, radicalizzazione e spunti di autogestione divengono quindi elementi capaci di indicare una  ricchezza diffusasi attraverso l’esperienza dei GJ.

I Gilets Jaunes sono la prova che i processi di periferizzazione, la frattura sociale creatasi tra centro e periferie è comunque in grado di produrre soggettivazione, di produrre forme di nuove resistenze, ricomposizioni sociali e dinamiche di lotta capaci di rispondere alle trasformazioni del capitalismo contemporaneo.

La periferia non è un luogo in cui “naturalmente” gli sfruttati combattono contro il potere, può essere al contrario un terreno fertile delle peggiori forme di reazione ed intolleranza. Quando, come nel caso dei Gilets Jaunes, un’esplosione di emancipazione, sovversione e intelligenza scoppia in questi contesti ci ricorda però che anche se relegata ai margini delle metropoli, c’è una vitalità e una volontà di riscatto.

I GJ hanno una dimensione destituente rispetto alle strutture classiche del potere, la loro relazione nei confronti dei partiti di governo potrebbe riprendere il “que se vayan todos” che si scandiva nelle strade argentine dopo la crisi del 2001.

Riportare verso l’Italia le considerazioni su questo movimento ci spinge a sottolineare a che punto sia importante l’iscrizione sociale e la presenza attiva (e militante) nei contesti periferici e abbandonati dalle istituzioni. I luoghi della marginalità sociale e dello sfruttamento non possono divenire deserti dove sono rinchiusi parti di popolazione senza che le idee e le aspirazioni di un’emancipazione che passa per la lotta ai responsabili politici ed economici della discriminazione possano esprimersi e organizzarsi. Le contraddizioni fanno parte del gioco e uno sguardo materialista può impegnarsi per contribuire ad allontanare il virus di un ripiegamento identitario. Se in Italia la retorica razzista attecchisce soprattutto tra i quartieri popolari e tra coloro che si sentono minacciati di povertà e disoccupazione è anche – al netto di una recente storia di migrazioni – per la neutralizzazione di un conflitto diretto.

 Siamo qua! Noi non siamo niente, noi vogliamo tutto!

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“On est là”- Siamo qua