Per la partecipazione ad “Alexis”, laboratorio in movimento dei Motus

Perchè Creonte è destinato a perdere

19 / 1 / 2012

Alexis è un laboratorio in movimento e per certi -molti- tratti di “versi di movimento” degli amici Motus, che evolve seguendo la traccia dell'inchiesta globale che la compagnia intreccia nelle tappe delle repliche.

Da Rimini a NYC, da Bologna a Parigi, da Venezia ad altrove i Motus incontrano pubblico e soggettività di movimento e dialogano usando anche “Alexis” come traccia comune e pubblica degli accumuli di relazione, esperienze, riflessioni attorno alle tappe dei movimenti globali.

Insomma, invito a vedere questo lavoro, che, a mio parere, contiene tanti linguaggi, molte prospettive di composizione interna, “tante arti”. E moltissima filosofia.

Alexis non è uno spettacolo semplice, nè con un'unica prospettiva di godimento, ma io lo percepisco piuttosto come ricco e complesso.

Ho visto la prima volta questo lavoro diversi mesi fa a Parigi e vi trovai una grande centralità della rivolta greca -intesa come non rivoluzione; ora si è arricchito da -tramite- le esperienze dei movimenti degli indignados e dalle esperienze occupy something.

Ad Agamben si è aggiunta l'esigenza singolare e non individuale di “desiderare la moltitudine”, la gioia che si percepisce quando le città di Antigone sono tante ed in esse gli Antigone e Polinice sono molti e molte (proprio lì – solo lì?- parafrasando il filosofo, “la vita vale la pena di essere vissuta”).

Alla domanda “cosa può il corpo di un'artista?” segue la ricerca della condivisione, della produzione del comune con le soggettività vive nelle nuove Tebe dell'indignazione. Stare sul Palco, essendo pronti a tornarvi su dopo esserne scesi. Non è vero che siamo tutti una stessa cosa con un stesso linguaggio, che ci capiamo naturalmente. Siamo tutt* divers* e viviamo vite divers*, eccentriche. Stare insieme, fare comune, è prima di tutto una scelta – non un dover essere od un ordine naturale delle cose- che apre un progetto di ricerca, di amicizia, che pone la potenza del divenire altro da sé. Artista è politico proprio in quanto non semplifica il proprio lessico, non rinuncia al sè, alla propria unicità e differenza.

Non ci sono scorciatoie. Non ci sono megafoni del popolo, così come il c.d. Politico non è mai separato dall'atto artistico, dalla produzione di nuovo linguaggio, ordine simbolico, passione.

Maledettamente difficile, straordinariamente potente questo intreccio.

Alla Tebe che muore, viene da associare la promessa che l'Europa delle banche non sopravviverà all'uccisione dei sogni di libertà e democrazia delle soggettività del sapere e del lavoro vivo (“i suoi -migliori- giovani”).

Al racconto della rivolta greca si affianca e si affranca la riflessione sulla necessità di ragionare sull'efficacia delle scelte di movimento, sull'importanza di difendere il “bene comune movimento”. Non sfugge come il dibattito successivo agli esiti della manifestazione del 15 ottobre a Roma abbia interessato i Motus.

In ultimo. Creonte lascia una Tebe che non c'è più. Il potere costituito uccidendo la potenza costituente determina la sua morte, nel lungo periodo non c'è vittoria, non c'è possibile autosufficienza del capitale e del comando: non possono vivere senza di noi. Di Tebe non ci sono ora che ruins, capre al pascolo, strade e bambini battezzati in Antigone e migranti (clandestini?) pakistani della nuova divisione globale del lavoro.

Creonte non sopravviverà a sé stesso. L'economia politica del debito, l'ordine della guerra, la democrazia europea non garantisce nulla.

Per questo i moderni Creonte che ora parlano di sacrifici, di rinuncia ai diritti, ai sogni di libertà e giustizia nel nome della difesa della polis mentono sapendo di mentire. Essi non debbono vincere.