Più siamo e più ci divertiamo

Utente: chicca
26 / 8 / 2013

Apro la porta al suono del campanello. Volevo fingere di non essere in casa, ma la paura che fossero sbirri pronti a sfondare la porta mi ha vinto. Ho sempre paura che siano gli sbirri. Anche al citofono. Quando trilla mi vengono i brividi. E’ per questo che non metto mai il nome nella targhetta. O sull’elenco. Spero sempre di scappare prima che scoprano il mio indirizzo.

Non che sia una paura fondata. Finché non diventeranno reato i pensieri osceni sono in una botte di ferro. Però non si può ragionare con le paure irrazionali. Ci sono e basta. Un mio amico è messo peggio di me, ha paura dei piccioni e i piccioni non vanno in giro con il manganello.

Il tizio ha occhiali spessi e barba folta. Sembra nervoso. Saltella da un piede all’altro rimbalzando sul ballatoio. Abito in una casa di ringhiera, il ballatoio è il mio pezzo privato di corridoio condominale. Ci metto i sacchetti dei rifiuti e le scarpe.

Non è uno sbirro. Mi rincuoro e infastidisco allo stesso tempo. - Desidera? – Chiedo col tono più antipatico possibile.

Il tipo con la barba smette di saltellare. – Ciao Sandrone. Non mi riconosci, vero?

- Dovrei?

Annuisce stile presa per il culo. - Dovresti. Guardami meglio e sforza il cervellino.

Lo guardo meglio. – Sei un buddista. – I buddisti sono la mia seconda paura irrazionale. Chi può fidarsi di tizi pelati che vogliono la pace nel mondo? – Nel caso, non compro il vostro giornale. L’idea di reincarnarmi in un estraneo mi fa schifo.

Sbuffa. – E in chi ti vorresti reincarnare, in un conoscente? Ma tu pensa. – Mi appoggia una mano sul petto e mi spinge dentro. Richiude la porta dietro di sé. - Così va meglio. Non è il caso che ci vedano assieme.

Boccheggio. Un’aggressione. Prima o poi doveva capitare. Milano è una città violenta, le masse dei diseredati premono alle porte, gli esacerbati del traffico e degli affitti stellari. Il tipo mi porterà via il computer e il televisore. Mi possiederà carnalmente. Arretro sino a toccare il muro con le spalle. - Aspetta un attimo, cerchiamo di ragionare. – Gracchio.

- Aspetta tu, deficiente. - Mi volta di forza verso lo specchio dell’ingresso. Ho una bella inquadratura dei miei occhi spiritati. – Guarda. – Dice. – Stai guardando?

– Certo. Dimmi tu quando devo smettere.

- Ma sei proprio tarato. - Ha uno scatto di nervi, mi afferra la faccia e se la mette vicina alla sua. – Lo vedi che siamo uguali?

- Piano con le parole... – Però ha ragione. Sembriamo due gemelli. Di più, abbiamo anche lo stesso taglio di barba. – E’ un problema?

Il mio gemello sembra confuso. – Ma non ti sembra strano?

- Al momento mi sembra strano tutto.

Il mio gemello scuote la testa. – Vedrai tra un po’. – Preme l’indice sul vetro dello specchio, lasciando un’impronta nitida. – Adesso fallo tu. – Eseguo. Anche le impronte sembrano uguali.

- Strano. – Stavolta sono un po’ interessato, nonostante la strizza. Passi l’aggressione, ma un gemello che non sapevi di avere apre infinite possibilità. – Davvero strano.

– Infatti. – Il tipo comincia a rilassarsi. - Siamo identici in tutto. Ho le tue stesse impronte digitali, retiniche, il tuo stesso numero di nei e di pori sulla pelle. Siamo identici sino all’ultima istruzione del DNA. – Alza le spalle. – Te la faccio breve. Sono il tuo clone.

- Ah! Capisco. Il mio clone. – Mi spalmo di nuovo contro il muro. Non solo il tipo è violento, ma è un pazzo pericoloso. – Bè, se ne vedono di cose, eh…

- Non mi credi.

Cerco di sorridere. – Non ti irritare, ma una volta ho scritto un racconto su un clone e non me l’hanno mai pubblicato. Troppo una cazzata.

- Eppure sono qui.

- Eh già.

Un attimo di silenzio. Il pazzo si guarda attorno, poi cammina verso la cucina. E si siede al tavolo. A quel punto potrei scappare, ma l’idea di lasciarlo in casa mia, con tutto quello che possiedo mi trattiene. Potrebbe rubarmi i Dvd di Buffy l’Ammazzavampiri o pisciarmi nella vasca.

Rimango indeciso nell’atrio.

Il tipo mi fa un gesto amichevole. – Vieni a sederti che ne parliamo. – Dice in tono stanco. – Non pensavo che sarebbe stato così difficile. E abbiamo anche poco tempo, cazzo.

Esito. Poi mi trascino sino all’altra parte del tavolo e mi siedo di fronte a lui.

Mi guarda. – Cosa posso dire per convincerti?

– Devi convincermi per forza?

- Già. E’ abbastanza importante. E tu sei un tale testone…

Allargo le braccia. – Non è che sono un testone. Lo sanno tutti che fanno già fatica a clonare una pecora. Figurati a duplicare essere umano.

- Pensi che te lo verrebbero a dire se lo facessero?

- Si saprebbe.

Il mio gemello fa una smorfia di disprezzo. - Ma davvero? Ti capita mai di girare per Internet?

- Su internet trovi gente che crede a tutto. Anche alla fusione fredda e agli Ufo, se è per questo.

Il tipo sorride. Un sorriso fastidiosamente simile al mio, adesso che ci bado. – Di Ufo non so niente, ma la fusione fredda la fanno dal 1975. Evitano di renderla pubblica per via delle lobby del petrolio. C’è un accordo in proposito.

- E c’è un accordo anche sui cloni?

Annuisce. - Bravo. Si fa ma non si dice. Dal 1960, per l’esattezza.

- E chi è che lo farebbe?

- Il tuo governo. O meglio, tutto il patto Nato. I primi cloni funzionavano un po’ a cazzo. Ti ricordi Ford che cascava dall’aereo?

- Il presidente Ford era un clone?

- Mica solo lui. Metà della Casa Bianca si è fatta clonare. L’America ha lo stesso presidente da un bel pezzo. Gli cambiano un po’ la faccia, così tanto per essere sicuri che la gente non se ne accorga.

- Quindi Obama e Bush sono la stessa persona?

- Anche Reagan e Nixon. Vengono tutti dalle cellule staminali di Kennedy. Quello originario, intendo, mica quello che hanno ammazzato a Dallas. Quello era un altro clone. Funzionava un po’ male e l’hanno ritirato.

Non so perché ma la conversazione comincia a confondermi. – Questo spiegherebbe un sacco di cose, devo ammetterlo.

- Ma non ti basta.

- Vorrei vedere te al posto mio.

Si prende la testa tra le mani. – Va bene, speravo di non doverlo fare… Dove sono i coltelli?

Balzo in piedi. – Ehi, amico. Stavo scherzando, certo che ti credo. Volevo solo esserne sicuro, ma adesso…

Il tizio sta già frugando nel cassetto della credenza. – Non ti preoccupare. Non è per te. Farà male, mi sa. – Toglie dal cassetto il coltello di ceramica per il sushi. – Raffinato, eh.

- Guarda che è fragile. – Ansimo, strisciando verso l’uscita.

Il tipo mi fissa da dietro gli occhiali. – Lo so. L’importante è non beccare l’osso.

Appoggia la mano sul tavolo e se la trancia con un colpo secco. – Cazzo. Fa davvero male.

2

Sono passati venti minuti. Sono tornato a sedere mentre il tipo, il clone, si rifaceva crescere la mano. La mano staccata è scomparsa quasi subito. E’ diventata una pozza di liquido appiccicoso color pomodoro. Cellule staminali, ha detto il clone. Il polso ha smesso di sanguinare quasi subito. Poi si è gonfiato ed è spuntata come una vescica dal taglio. Una vescica a palla, che si è aperta come un fiore in cinque dita sottili e bianchicce.

Adesso le dita si sono asciugate e indurite. La mano nuova è indistinguibile dalla precedente.

Il clone mi guarda un po’ incazzato. – Ti basta o devo tagliarmi qualcos’altro?

- Ti prego, no. – Dico. I due whisky che mi sono bevuto non sono riusciti a farmi star meglio. – Allora è tutto vero.

- Ma guarda... Per fortuna sono appena fatto. Crescita accelerata e non ancora stabilizzato.

- I cloni, la fusione fredda… Tutto vero.

- Già.

- Quindi i ricchi non muoiono davvero.

- E’ una questione di alta filosofia. Se io muoio e mi faccio clonare, sono ancora io o è un altro essere identico a me?

- Gradirei non provare. Già, ma ormai è troppo… - Il pensiero mi fulmina. – Ma io sono morto?

- Ti senti morto?

- No, ma potreste avermi cancellato la memoria. Avermi manipolato… Forse anch’io sono un clone. – Ansimo.

Il clone scuote la testa. – Tranquillo. Non sei morto. E non sei abbastanza importante per subire il trattamento. L’unico scrittore clonato che mi risulti è Moccia. Ci hanno provato con Hemingway ma c’era troppo alcool in circolo. Eh eh. - Ghigna.

- E allora che è successo?

Il clone sembra imbarazzato. – Un piccolo errore.

- Chiamalo piccolo.

- Non fare il piangina. Ti ricordi la settimana scorsa, al Blu Notte?

- Sì. – Il Blu Notte è un locale dove suonano Jazz e si mangia. Abbastanza caro per fare bella figura e non abbastanza per essere frequentato dai residuali della Milano da bere. Ci avevo portato Susy, una modella spagnola che avevo conosciuto a un reading, sperando che l’atmosfera fosse quella giusta per intortarmela. Errore. Le modelle non amano i posti dove si chiacchiera a bassa voce e devi stare seduto, invece di passeggiare ancheggiando. E poi, di che vuoi chiacchierare con un modella? Cinema zero, politica zero, libri zero. A parte quello di Faletti. E le era piaciuto pure. I miei non le interessavano punto, per quanto cercassi di farli scivolare nella conversazione.

- Il Blu Notte in realtà è una copertura. – Prosegue il clone. - Qualche decina di metri sotto terra c’è un laboratorio con le vasche di crescita per i cloni. L’impianto è dotato di numerosi controlli per evitare gli incidenti, ma a un certo punto…

- Il black-out. – Ricordo. La sera del Blu Notte era andata via la luce per qualche minuto.

- Giusto. Colpa del caldo. Un sovraccarico e puff. – Agita le mani. –Sovraccarico elettrico, tutto a puttane. I cloni nelle vasche si sono disfatti. Ancora peggio, una delle sonde di prelievo è schizzata lungo i condotti dell’aria e si è messa a rotolare per tutto il locale. Fortuna che era buio. Però si è avvicinata a un cliente e lo ha punto sul culo. Indovina chi era il cliente?

Ho già indovinato. - Pensavo fosse una zanzara tigre. – Dico mesto.

- Invece era l’ago della sonda. Le tue cellule sono state trasportate in laboratorio. Il computer centrale era ancora in vacca e il sistema ha cominciato a clonarti. A raffica. Adesso riusciamo a farli crescere in fretta. In due ore c’erano dieci cloni tuoi pronti all’azione, in quattro cinquanta.

- Cinquanta… - Mi manca il fiato.

- In teoria un’emergenza facilmente recuperabile. Il personale umano doveva mettere tutto a posto e, diciamo, ritirare le tue copie. – Ghigna. - Ma uno dei tuoi cloni la pensava diversamente. Ha ammazzato i tecnici e ha preso il controllo della struttura. Non so perché. Normalmente i cloni appena nati sono tranquilli, il tuo aveva qualcosa che lo spingeva, un’ossessione, un’idea fissa. Ne sai qualcosa?

- Come ti viene in mente?

- Sarà. – Non sembra convinto. - Adesso i tuoi cloni sono quasi un migliaio e continuano a moltiplicarsi. Il Clone Supremo, come si fa chiamare, ha deciso di clonarsi all’infinito. C’è una parte di te piuttosto megalomane. – Muove la mano nuova, come a testarne l’efficienza. - Stai per diventare l’uomo più conosciuto del pianeta, un presenzialista selvaggio.

- Non c’è un sistema di sicurezza?

- In effetti sì. Sono io. Il Sistema Guardiano

Mi verso un altro bicchierino, le orecchie mi fischiano. – Comincio a perdermi.

- Il corpo è il tuo, ma qui… - si picchietta la testa con un dito – ci sono io. Sono una specie di software. Quando i tuoi cloni hanno preso il controllo mi sono proiettato nel cervello di uno appena fatto. Poi sono venuto a cercarti.

- Grazie del pensiero.

- Non avevo molto da scegliere. Ho bisogno del tuo aiuto per rimettere tutto a posto.

- Se sei il Sistema Guardiano perché non ti arrangi da solo?

Alza le spalle. - Non posso. L’unico modo per riprendere il controllo è quello di spegnere il computer principale e resettare, ma la mia programmazione me lo vieta. Io sono stato creato per tenere tutto acceso. Una specie di Direttiva Primaria, come quella di Star Trek. I capi ci tengono che l’apparecchiatura rimanga intatta, costa un sacco di soldi.

- Allora chiamali e lascia che se ne occupino loro.

- Non è così facile. - Il Guardiano fa la faccia triste. – Un casino di questo tipo è imbarazzante. Dovrebbero risponderne a altri. Sai, ruote dentro ruote dentro ruote. Capisci?

- No.

Sbuffa. - Anche i capi hanno capi, testone. Non ci tengono a fare una figura di merda. Se li avvisassi, farebbero di tutto per ripulire l’ambiente e cancellare le tracce.

- Non è quello che vogliamo?

- Eh eh. Non esattamente. – Si guarda la punta delle scarpe. - Il loro modo per coprire le tracce di solito è provocare un bell’incidente mortale. Poi direbbero che è stata una bombola del gas o un attentato di Bin Laden. Cosa pensi ci fosse nelle Torri Gemelle? O in Irak? Avresti qualche morto sulla coscienza, diciamo qualche migliaio.

- Fammi pensare. – Mi concentro per qualche istante. – La mia coscienza sopporterà il lutto. Arrangiatevi.

– Va bene. Peccato per il mondo. Dovrà fare a meno di uno scrittore di gialli.

Sento un brivido. – Prego?

- Sai, come si dice nei film, ormai sai troppe cose… Finirai nella prima discarica dei rifiuti delle vicinanze.

Ho un flash di comprensione e lo afferro per il colletto della camicia. - Sei tu quello che ha paura di finire nella discarica dei rifiuti! Sei stato inefficiente e ti cancellerebbero, giusto?

- Non posso negarlo. Sono solo un programma senziente, ma anch’io ci tengo alla sopravvivenza. - Sorride di nuovo, senza togliersi dalla mia presa. - Ma che differenza fa? Ormai ci sei dentro.

- Un cazzo! Ne parlerò, ne parlerò con...

- Al mondo ci sono solo due categorie di persone, per te. – Dice il Guardiano, tranquillo. - Quelli che non ti crederebbero, e ti metterebbero in manicomio, e quelli che sanno, e che ti farebbero la pelle. Poi ci sono io, il tuo unico….

SBRANG

Il rumore che viene dal cortile sembra quello di un cassonetto del vetro rovesciato.

Il Guardiano si tira in piedi. – Ah, dimenticavo. Poi ci sono loro. I tuoi cloni.

Un altro SBRANG, più forte.

- Avendo accesso al mio database, sanno che sei l’unico che potrebbe fermarli e ti vogliono eliminare prima. Allora? Con me o con loro?

Il terzo SBRANG questa volta è accompagnato da grida distanti. Mi sporgo cautamente dalla finestra. In cortile un mostro di tre metri sta sollevando una moto e la usa per percuotere il muro della casa. E’ vagamente umano, soprattutto per gli occhiali e la barba con un ciuffo bianco al centro, anche se il dorso delle mani sfiora il pavimento quando cammina ingobbito.

- Anche quello sarebbe un mio clone? - Chiedo ritirando precipitosamente la testa.

- Certo.

- Avete sbagliato le misure.

- Basta manipolare un po’ i geni. Non ti preoccupare troppo, però. Conosco il modello: è forte ma poco sveglio. Spacca tutto solo perché fatica a orientarsi. Abbiamo qualche minuto per uscire, magari saltando dalla finestra dei vicini, al piano terra.

Mi irrigidisco -. Neanche per idea. - Dal cortile proviene un aaurgh gutturale. – Ripensandoci…

3

E’ meglio tacere sulla faccenda della mia vicina, quando io e il Guardiano l’abbiamo travolta per saltare tra i suoi gerani. Lei non voleva farci entrare, il Guardiano l’ha colpita con un vaso. Appena in tempo, credo. Il bestione aveva trovato le scale.

Io e il Guardiano ci ficchiamo nella fermata della metropolitana di Porta Genova e prendiamo il primo treno in direzione Blu Notte. Secondo il Guardiano, i miei cloni sono ancora lì a fare comunella. E’ il giorno di chiusura del locale, perfetto per una riunione in tranquillità.

Appeso al corrimano riprendo fiato per un paio di stazioni. Quando l’adrenalina mi scende, comincio a notare lo sguardo della gente. Colpa del mio look. Ho aperto la porta in canottiera e pantaloni del pigiama, non ho fatto in tempo a cambiarmi. Quel che è peggio, per me, ho indosso le ciabattine infradito. Questo significa che mostro i piedi in pubblico, e io odio mostrare i piedi in pubblico. I piedi sono brutti. L’uomo dovrebbe terminare alle caviglie, magari con due comode ventose per arrampicarsi sui muri.

Mi siedo e nascondo i piedi sotto il sedile. Do di gomito al mio rapitore.

- Guardiano?

- Sì? - Seduto a occhi chiusi sembra perso dietro ai suoi calcoli. Come pensa un software? A numerini?

- Non ho capito una cosa: quando siamo lì cosa dovrò fare?

- Mah, vedremo.- Risponde distratto.

- Mi piace questo piano d’azione.

- Scusa, ma questa non è una situazione tipo.- Riapre gli occhi.- E diventa sempre più un casino. Comunque, basterà che tu scassi un po’ del computer centrale. E’ abbastanza delicato. La parte di me che è rimasta dentro, il software originale diciamo, potrà sovrintendere alle riparazioni e rimettere a posto tutto.

- E i cloni?

- I cloni per alcune ore non saranno stabili. Come la mia mano, hai presente?

Annuisco.

- Di più, sono tutti collegati al Clone Supremo. Se riesci a fare andare in blocco il sistema, il feedback dovrebbe far sì che degenerino rapidamente.

- Ne sei sicuro?

- Bè, tentare non costa niente.

- C’è la mia pelle di mezzo.

- Eh già. Povero cocco.

Smetto di parlargli, anche perché insieme all’adrenalina mi è scemato anche l’effetto dell’alcool. Ho di nuovo paura, una paura fottuta. Cloni, mostri, il mondo dominato da una cricca superpotente e malvagia. Bé, almeno quest’ultima parte non è una novità.

A due fermate dalla nostra destinazione il treno si ferma di colpo, tra i mormorii dei pochi passeggeri.

Il Guardiano si riscuote dall’immobilità. - Sono loro. - Dice.

- Come?

- Stavo monitorando, prima. La mia coscienza è in contatto con il sistema. Ci hanno individuato. Dobbiamo uscire dalla carrozza.

- Stai scherzando? - Fuori dal vagone si vedono solo tenebre. - Siamo nel mezzo di una galleria.

- Non fa niente. Non possiamo stare qui. - Si alza e si avvicina all’uscita. Poi ruota la maniglia di emergenza tra le occhiate perplesse dei nostri compagni di viaggio. Le porte si socchiudono. Infila le mani nella fessura e comincia a tirare.

- Non potete scendere. E’ pericoloso. - Un pendolare sulla cinquantina si avvicina al Guardiano e lo afferra per un braccio.- Cerchi di stare calmo e vedrà che tra poco ripartiamo.

Il Guardiano gli tira un cazzotto in testa, poi spalanca del tutto le porte e si volta a guardarmi. - Vieni. – Dice. Salta nel buio e comincia a correre lungo la banchina.

Lo raggiungo ansimando, cercando di non badare alle urla inferocite dei passeggeri rimasti sul vagone. - Non puoi andare in giro con la mia faccia a picchiare la gente. Mi farai passare dei guai.

- Se non ci sbrighiamo, avrai altri problemi. Dai un occhio dietro di te.

Mi volto. In fondo al buio tremolano delle luci in movimento.

- Forse sono gli operai della metropolitana - dico speranzoso.

- Come no. – Il Guardiano sembra vederci al buio. - Non ti consiglio di fermarti ad appurarlo.

Corriamo lungo la banchina illuminata a tratti da luci d‘emergenza. Le scritte sui muri avvisano che la stazione più vicina dista 1000 metri, poi 800. A 500 sento dei passi che si avvicinano, uno scalpiccio leggero, di molti piedi. Rapido.

- Ci stanno raggiungendo. - Dico.

Il Sistema non si volta. - Che udito fine! Muovi il culo.

Non faccio in tempo. Qualcosa mi afferra una caviglia e cado disteso. - Aiuto! Mi hanno preso!- Grido e mi rotolo scalciando. Incredibilmente, la presa molla. Vedo un piccolo corpo staccarsi dalla mia gamba e finire sui binari.

Cerco di tirarmi in piedi, ma arrivano altri piccoli corpi che mi saltano addosso da tutte le parti. Sembrano gnomi, ma sotto i caschi da minatori dotati di luce, sbucano barbe e occhiali familiari. E denti aguzzi, che mordono con forza cercando di arrivare alla gola.

- Ahia, piccoli bastardi. - Li lancio via a manate. Il Guardiano, tornato a recuperarmi, li fa rimbalzare sui binari usando uno di loro come clava.

Me ne ritrovo tre per piede, mentre altri mi saltano sul petto. Finisco di nuovo lungo. Un nanerottolo cerca di cavarmi gli occhi, lo tengo distante a braccia tese fino a quando il Guardiano non me ne libera a pedate.

Alla fine riprendo la corsa, zoppicando. Ho perso anche le ciabatte. I pantaloni penzolano strappati. Sanguino dal naso e da una serie di morsi su tutto il corpo. Tutto.

- Era solo l’avanguardia, non rallentare. – Il Guardiano non ha neanche il fiatone.

- Ho paura a chiederlo, ma perché così piccoli?

- Il Clone Supremo sembra avere una strategia originale. Quella era la squadra di infiltrazione nel sottosuolo. Li ha fatti di taglia ridotta per permettergli di strisciare nei tombini.

- E adesso cosa ci aspettano? Uomini topo, uomini serpente, microbi, giganti, centauri?

Il Guardiano mi da occhiata cupa da sopra la spalla. - Non è che mi stai diventando isterico, vero?

4

Sbuchiamo sulla banchina della stazione, sporchi di polvere e di sangue. Uno spettacolo abbastanza singolare, i Favolosi Due Gemelli Luridi, ma a Milano si vede di tutto e nessuno ci impedisce di arrivare tranquillamente in strada. Sono le dieci di sera, il buio ci favorisce. Devo solo abituarmi alle facce identiche alla mia che sbucano da ogni angolo. Nessuno di loro si dimostra aggressivo, però.

- Non hanno modo di sapere chi siamo.- Mi spiega il Guardiano. - Solo il Clone Supremo può distinguerti dagli altri, ma siamo riusciti a fargli perdere le tracce Ah. Eccoci arrivati.

Il Blu Notte, di fronte a noi. Sembra una sala da ballo, con le porte e le finestre sbarrate.

- Sei sicuro che siano qui? - Chiedo.

- Sicurissimo. Ho una percezione abbastanza chiara di quanto succede attorno alle macchine. C’è un ingresso sul retro, ma non mi fido: entriamo da là. - Indica una finestra semiaperta del primo piano. - Basta che ci arrampichiamo su quel palo. Non ci vede nessuno, è il momento buono.

Lo trattengo per un braccio. - Aspetta un attimo, non mi sento pronto. Sono vecchio, stanco e dolorante. Facciamo così. Vai avanti tu, li ammazzi tutti, poi entro io e stacco tutte le spine che ci sono.

- Non posso farcela da solo.

- Non hai neanche un raggio disintegratore, qualche trucchetto utile?

Ghigna. – Non ti pare che l’avrei già usato, testone? Il mio è un laboratorio civile. Ma è una fortuna per tutti. Pensa che bella scena: tanti cloni con la tua faccia che vanno in giro sparacchiando con i disintegratori.

Ci penso e sudo freddo.

- Fidati di me ancora per un po’. – Aggiunge.

- Non mi sono mai fidato di te.

- Come vuoi. - Sorride ancora.- Possiamo sederci qui e aspettare i miei padroni. Non saranno contenti del casino. Forse, a pensarci, io me la caverò, magari su qualche computer secondario. Tu, invece...

Mi arrampico sul palo. Dentro la finestra troviamo una stanza vuota ingombra di vecchi mobili. Scendiamo con cautela le scale buie fino alla sala centrale.

Trattengo il fiato. Mi ero preparato psicologicamente, ma quello che vedo è troppo. Nella sala ci sono almeno cinquecento persone, e sono tutte una mia versione.

Ci sono sandroni mori, sandroni rossi, sandroni biondi, sandroni calvi, sandroni riccioli, sandroni a spazzola, sandroni alti, sandroni bassi, sandroni magri, sandroni grassi, sandroni nani, sandroni giganti, sandroni pelosi, sandroni glabri, sandroni con una gamba sola, sandroni con tre occhi, sandroni con quattro orecchie, sandroni con capelli sino al pavimento, sandroni solo torso, sandroni a polipo, sandroni a stella, sandroni a palla, sandroni a cubo, sandroni piatti, sandroni biscia, sandroni cane, sandroni gatto, sandroni piatti, sandroni foglio, sandroni vecchi, sandroni giovani, sandroni sandroni. Ci sono sandroni che parlano, sandroni che ridono, sandroni che piangono, sandroni che ruttano, sandroni che dormono, sandroni che giocano, sandroni che corrono, sandroni che saltano, sandroni che litigano, sandroni che leggono, sandroni che si masturbano (e questa è tosta), sandroni che scopano (e questa è ancora più tosta), sandroni che scrivono, sandroni che pensano, sandroni che strisciano, sandroni che ansimano, sandroni nudi e sandroni vestiti.

Mi sento male.

Il Guardiano mi scuote e indica il piccolo palco in fondo alla sala, chiuso da un sipario da teatro. – Il computer è stato portato là, dietro il tendone. Lo percepisco chiaramente. Datti da fare.

- Ovvero?

- Vai là e spacca tutto. Dai, testone, prima che si accorgano che qualcosa non va.

Troppo tardi. Il sipario si apre e spunta l’ennesimo clone. Questo è identico a me, con un lungo mantello nero avvolto sulle spalle e una corona di latta sulla testa che sembra ricavata da una scatola di pomodori, di quelle da cinque chili. Dalla nuca gli partono alcuni filamenti che brillano di luce cremisi sparendo nel buio dietro di lui.

- E’ il Clone Supremo? – Chiedo al Guardiano.

- Che intuito. – Risponde. - E’ attaccato direttamente al computer centrale.

Il Supremo allarga le braccia. La sala si azzittisce.

Prende il fiato poi urla. – DATEMI UNA ESSE.

E tutti i sandroni gridano: ESSE!

- DATEMI UNA A!

E tutti i sandroni: A!

E poi: ENNE, DI, ERRE, O, ENNE, E.

Alla fine Clone supremo urla: SANDRONE!

Tutti ripetono il nome e applaudono.

Io, schiacciato dietro il mio angolo, sudo dalla vergogna.

Il Clone Supremo prosegue. – Fratelli! Manca poco al giorno della nostra vittoria. Tutti voi avete condiviso con me le umiliazioni, la sofferenza della nostra vita! Ma adesso, tutto finirà. Quanta fatica abbiamo fatto per mostrare il nostro genio al mondo! Eppure, il nostro genio E’ stato riconosciuto?

I Sandromi mormorano: NO.

- NON HO CAPITO! – Grida il Supremo.

E i sandroni: NO!

- - Ti posso consigliare un buon analista, quanto tutto sarà finito. Lo arricchirai. - Mi sussurra il Guardiano.

- Quello non sono io. – Mormoro.

- Ma davvero? Sicuro di non averle mai pensate ‘ste cose?

Il Supremo continua. – Per tutta la vita abbiamo cercato di far riconoscere la nostra arte. Eppure, i critici e il pubblico ci hanno sempre voltato le spalle. Tutti parlano di impegno, di giallo sociale, ma qualcuno ha riconosciuto la nostra capacita di narrare? Qualcuno ha capito quanto siamo bravi? Ci hanno fatto diventare ricchi?

E i sandroni: NOOO!

- Infatti. Il pubblico, i critici, LE DONNE, preferiscono gli imbrattacarte, i giallisti della domenica. E loro vanno in classifica, diventano dei bestseller. E sapete perché?

E i sandroni: DICCELO DICCELO

Il Supremo prende un bel respiro. – Perché loro scrivono di SERIAL KILLER!

E i sandroni: ORRORE ORRORE!

- Qualcuno di loro ha mai provato a fare un giallo con gli albanesi? Qualcuno di loro ha mai fatto un giallo con i punkabestia?

E i sandroni: NOOO!

Il Guardiano mi tira una gomitata. – Hai davvero scritto un giallo con i punkabbestia?

- Mi sembrava una buona idea. – Gemo.

  • Trovati anche un buon agente, oltre che l’analista. Comunque, almeno adesso conosciamo le tue idee fisse. Tutto questo casino perché non ti piacciono i serial killer.

  • Non è che non mi piacciono è che rappresentano… - Penso alle lunghe discussioni fatte in passato e mi affloscio. Non ho mai convinto nessuno. - Ma che te lo spiego a fare.

  • Infatti, lasciami sentire.

- Noi abbiamo cercato strade nuove, abbiamo cercato di parlare della società, di politica, di problemi moderni. – Prosegue il Supremo. - Pensate che a qualcuno fregasse?

E i sandroni: NOOO!

- Infatti. Il pubblico vuole. – Fa la bocca a culo di gallina. - I Serial Killer!

E i sandroni: ORRORE ORRORE .

Il Guardiano mi ritira una gomitata. - E perché non scrivi anche tu di serial killer?

- Senti, non sono capace, va bene? Due cose so scrivere e due cose scrivo, ed è già tanto. E poi, non me ne è mai fregato niente della fama e dei soldi.

- Magari ci credi anche.

- Diciamo che fingo bene. Ma andrà avanti per molto?

- Speriamo di no. - Il Guardiano fa una smorfia. – Ci rimane poco tempo, ormai.

- MA ADESSO TUTTO CAMBIERA’ -, il Supremo si asciuga la bava. – E SAPETE PERCHE’?

E i sandroni: DICCELO DICCELO.

- PERCHE’ SAREMO NOI IL PUBBLICO, PERCHE’ SAREMO NOI I CRITICI. NON CI SARA’ NESSUN ALTRO SULLA TERRA CHE NOI. NOI SCRIVEREMO E NOI LEGGEREMO.

Non riesco più a trattenermi. – E sai che palle! – Grido.

Mormorii, brusii. Le varie paia di occhi si girano a guardarmi.

- Ci vogliamo dare un taglio a questa puttanata? – Comincio a zoppicare verso il palco tenendomi i pantaloni stracciati con le mani. – Ho impiegato una vita a costruirmi un immagine politically correct e adesso me la stai mandando in merda!

Silenzio. Il Supremo mi fissa dal palco. – Sapevo che saresti venuto qui, Originale. Ma è troppo tardi. – Dice. Poi, agli altri. – FRATELLI! PRENDETELO! E’ L’ULTIMO OSTACOLO ALLA NOSTRA VITTORIA FINALE!

Alè, parte il gran bordello, proprio quando capisco di aver fatto la cazzata. Decine di corpi mi circondano e volano botte. Stranamente, nessuna mi prende. Quasi subito capisco perché. Ci somigliamo tutti, e il Guardiano fa di tutto per aumentare la confusione colpendo nel mucchio. Decine di occhiali volano in aria frantumati, barbe vengono strappate, abiti neri lacerati. Vedo un Sandrone modello biondo prendere a calci un Sandrone modello calvo, mentre un modello ciccione torce il collo di un modello nano. Cinque alti un metro e cinquanta cercano di mordersi la gola a vicenda mentre nel centro della sala, tra due file di poltroncine, un mucchio di almeno trenta cloni è avvinghiato in una mischia furibonda.

Intanto, nel frastuono, il capo continua a sbraitare dal palco, cercando di farsi dare retta.

- No, idioti. Deficenti. E' la’, dietro, quello vicino alla tenda. No, non quello. Quell‘altro. Ma non capite niente!

Mi sposto di continuo, cercando di evitare le zuffe più cruente fino ad arrivare al palco. Mi arrampico, ignorando il dolore delle ferite. Mi trovo faccia a faccia con il Supremo.

- Adesso te lo do io il serial killer! - Grido saltandogli addosso. Non funziona molto bene. E’ identico a me, ma più forte e cattivo. Mi tira un calcio tra le gambe facendomi piegare, poi mi sgomita la testa. Cado di schiena, il Supremo si puntella con le ginocchia sul mi petto e mi afferra le orecchie.

- Sono io quello vero, hai capito -, ringhia, e sottolinea il concetto sbattendomi ritmicamente la nuca sul pavimento - Io, non tu. Tu sei un incidente genetico, e adesso ti spazzo via. Per sempre.

Gli ficco due dita sotto gli occhiali e premo sui bulbi finché non molla. Rotolo via e mentre il clone si sfrega gli occhi lo prendo a calci in testa. Sviene.

- Ce l’hai fatta - sento una voce dietro di me. - Hai visto che è stato facile?

- Facile un corno – rispondo senza fiato. Ormai ho imparato a distinguere il Guardiano. Ha un brillio negli occhi tutto particolare. Gli sanguina il naso, ma per il resto sembra stia meglio di me. - Adesso stacco tutto e che sia finita.

Mi avvicino ai filamenti che penzolano dalla testa del Supremo. Arrivavano fino a un affare di metallo alto tre metri, con parecchie fessure aperte che si contraggono ed espandono. Non ce l’hanno contata giusta neanche sui computer. Altro che Windows Vista.

Da una delle fessure penzola una sorta di sacco trasparente che contiene un corpo mezzo formato, con barba e occhiali. Quasi non ci bado, a questo punto sono abituato alle schifezze. Afferro una manciata di fili. Prima che possa strapparli il Guardiano mi si lancia addosso. Volo a faccia in giù sbattendo il mento sul corpo disteso del Supremo.

- Sei diventato scemo?- Mugolo mentre le mani del Guardiano mi stringono la gola.

Lui ridacchia. - Scusa, Sandrone. Non posso farci niente. E' la Direttiva Primaria. Sapendo che stai per fare dei danni al computer centrale devo cercare di fermarti.

- Cazzo, ma se me l’hai chiesto tu, - annaspo, mentre cerco di strisciare sul pavimento.

- Lo so, testone, ma un programma non ammette deroghe. Sto cercando di strangolarti lentamente, fai qualcosa.

Le sue dita affondavano sempre di più nel collo e la vista mi si annebbia. Non vedo più niente, mi muovo a tentoni. La mia mano destra incontra qualcosa di metallico. I filamenti. Afferro e tiro. Non succede nulla. Tiro di nuovo usando l’ultimo fiato per bestemmiare. Strap.

Di colpo i filamenti perdono tensione. C’è uno sfrigolio, poi l’aria torna a entrarmi nei polmoni. Il Guardiano molla la presa.

- Ce l‘hai fatta. - Dice. - Sento che qualcosa sta succedendo. Il sistema è andato in blocco. – Scende dalla mia schiena.

Quando riesco a girarmi lo vedo seduto, sorridente come suo solito. Il sorriso si allarga sempre di più finché la mascella si stacca e cade sul pavimento. Poi comincia a sciogliersi.

Come il Supremo: è già una pozza di cellule.

Striscio sino al limite del palco. Tutti i sandroni si stanno trasformando in salsa di pomodoro.

Quando riesco a tirarmi in piedi non rimane altro che liquido lattiginoso ovunque, odore di ammoniaca e qualche occhiale che galleggia qua e là. Per andarmene, mi tocca guadare un laghetto piuttosto repellente.

5

Dieci giorni dopo la mia casa è tornata quasi normale. Il clone hulk si era limitato a spaccare la porta d‘ingresso e a piazzarsi nel soggiorno, in attesa di istruzioni. Poi si era sciolto insieme con gli altri. Ho dovuto gettare il divano.

Un mio vicino ha visto tutto, ma al suo racconto non ha dato credito nessuno, come a quello dei pochi testimoni che hanno assistito agli scioglimenti in giro per la città.

Sto cercando di abituarmi al mio nuovo look che comprende una rasatura integrale, lenti a contatto e vestiti sgargianti. Così conciato, quando giro per la strada almeno non mi capita più di venire fissato.

Suonano alla porta. Il brivido. La polizia. Hanno scoperto tutto, mi butteranno in galera. Penso di nascondermi, apro come il solito.

Sul ballatoio c’è la donna più bella che abbia avuto la ventura di conoscere. - Susy! Che sorpresa! – Grido. – Avevo proprio voglia di…

Mi interrompo di fronte a un sorriso che conosco bene.

- Cazzo! –Dico.

Susy ancheggia. – Dai testone. Lo sai chi sono. Avevo in memoria anche l’impronta della tua amica. Come mi trovi?.

- Guardiano?

- Esatto! Hai vinto un premio. - Si appoggia con una mano allo stipite facendo sporgere i seni. - Sai, stiamo per trasferire baracca e burattini. Per sicurezza ci mandano tutti in Sardegna, tra le scorie radioattive.

- E allora che accidenti vuoi?

- Non fare l’acidonzolo. – Mi carezza la punta del naso con un’unghia laccata di rosso. – Prima di andare là dove nessun uomo è mai giunto prima volevo passare a salutarti. E rassicurarti. Tutto cancellato, non verrai gettato nella prima discarica.

Barcollo. – Perché, c’era ancora questo rischio?

- MMM. – La sua boccuccia si arriccia. - Sai com’è, con i capi non si può mai sapere. Non ero sicuro di mettere tutto in ordine. Invece, ci sono riuscito. Sei contento?

- Una pasqua.

- E volevo anche scusarmi per aver cercato di strangolarti. Sei stato bravo, sai?

- Grazie. Bastava un colpo di telefono.

Mi strizza l’occhione azzurro. - Detto tra noi ci ho preso gusto ai corpi. Mi sa che ogni tanto mi farò un giro. Off records, naturalmente. E volevo approfittarne per farti un regalino.

La guardo sospettoso - Cioè?

- Eddai, testone. Lo so cosa ti piace. Certo, non sono l‘originale, ma ti assicuro che non mi manca niente. - Il suo sorriso muta, diventando sottilmente seducente. Non è la Susy vera, ma di colpo ai miei ormoni non importa. - Sempre meglio che i film porno, comunque.

- Stai scherzando?

- Nonono. Allora, posso entrare?

Esito per circa mezzo secondo. - Uhm, certo. Come no. Accomodati; scusa c’è ancora un po’ di casino...

- Aspetta. Già che c’ero ho pensato in grande.- Volta la testa verso il ballatoio. - Dai ragazze, forza! - chiama.

Sono in dodici, tutte variazioni del tipo Susy. Le faccio entrare e chiudo la porta con una mano, mentre con l’altra comincio a sfilarmi i pantaloni.

Ragazzi, sarà DAVVERO una festa memorabile!