Riflessioni materiali su una querelle astratta

Quali finanziamenti per quale cultura?

di Simone Addessi, UniRiot Bologna

16 / 3 / 2009

Fervono le pagine di Repubblica in questi giorni, provocazioni, proposte, risposte, risposte alle risposte. Alessandro Barricco ha chiuso un dibattito sui finanziamenti alla cultura più o meno con la stessa perentorietà e assertività con cui lo ha aperto. Le sue limpide tesi andrebbero però problematizzate più a fondo di quanto sia stato fatto. “Spostare l'attenzione (..) su scuola e televisione nella battaglia sulla difesa della cultura” dice.
Dobbiamo però intenderci su un paio di termini. Se pensiamo la cultura e il sapere non come qualcosa di dato, da trasmettere sempre uguale a sè stesso, ma sperimentiamo come continuamente vengano prodotti, in momenti storici determinati, e come non siano mai un fatto individuale; allora il discorso sulla produzione culturale non può essere posto in una prospettiva neutra di imposizione e apprendimento, progressiva e progressista, di “accrescimento” del livello di intelletto generale. Anzi, se la creazione di sapere sta nel pensare e immaginare forme nuove di articolazione delle discipline, che sappiano eccederle e rideterminarle costantemente, diviene essa stessa un campo di battaglia. Non per la tutela dell'esistente, ma per la difesa di cio' che di nuovo si sta costruendo.
Sia nel mondo della formazione, con gli importanti percorsi di Autoriforma, che nel campo della cultura. A Bologna per esempio, durante i mesi di mobilitazione contro i tagli del governo, alcuni orchestrali del Teatro Comunale hanno fatto assemblee e si sono esibiti all'università, si sono connessi con l'Onda. In un'aula universitaria stracolma di persone commosse (tra cui i musicisti stessi) che si relazionavano alla musica classica scrollandosi di dosso gli odiosi formalismi che la ingabbiano, si sono aperti una serie di incontri itineranti nelle diverse facoltà che ancora continuano con un'altissima partecipazione.
Il sovrintendente del Comunale che da anni prova con scarsi risultati (e lasciatemi dire con scarso impegno) ad avvicinare il “Teatro” ai “Giovani”, come se fossero entrambe entità astratte, ha dovuto piegare il normale corso dell'attività alle reali esigenze di chi esprime un incomprimibile desiderio di cultura, a chi ha smesso di sentirsi un'otre pronta da riempire ma una potenza in grado di inondare e sovvertire le stantie coordinate di una società in crisi. Hanno dovuto, su pressione dell'Onda e dei musicisti, aprire le prove generali al pubblico, al prezzo ridotto di 5$, includendo la colazione nel biglietto! Alla “prima” dei sei appuntamenti che ci saranno, hanno assistito più di 200 ragazzi e ragazze. Inoltre, non senza conflitti, la serie di manifesti e locandine sono state pensate e prodotte da un gruppo di studenti dell'accademia: un primo passo per riuscire ad accedere a circuiti importanti senza dover sottostare allo strapotere degli artisti-baroni che gestiscono come cosa propria il mercato dell'arte, a Bologna e non solo.
“Colazione a concerto”, questo il nome dell'iniziativa, è frutto delle lotte, della capacità autonoma di affermare nuovi stili di vita. Ma torniamo a Baricco e all'altra sua proposta: un nuovo virtuosismo tra investimento pubblico e iniziativa privata. Nello scenario in cui si colloca questa esperienza parziale, ma a mio avviso non isolata e riproducibile, non ha più senso la già debole dialettica pubblico-privato che si vorrebbe rilanciare e di cui non si assume fino in fondo la crisi drammatica, anche nelle sue forme più “virtuose”. Bisogna provare a pensare e costruire le istituzioni come organizzazione di processi sempre aperti alla materialità delle vite, come produzione costante di quell'intelletto generale che si vorrebbe amministrato e ammaestrato, esterno e subordinato al piano della decisione politica, ma che è invece la carne viva della produzione sociale e che lotta per riappropriarsi della ricchezza che produce.
Rilanciare il finanziamento, se così vogliamo chiamarlo, verso chi con estrema difficoltà è sottoposto al ricatto continuo della precarietà e produce arte e cultura nei territori, in forme autonome e in una relazione osmotica e innovativa tra ambiti produttivi e formazione, sembra allora l'unica soluzione praticabile. Il comune emerge con forza nei conflitti di chi vuole esprimersi e intende farlo in forme cooperative, libere dal controllo capitalistico che impone continuamente larghi sentieri e stretti obbiettivi, rivendicando il diritto ad un reddito garantito che glielo permetta. Con tutto questo, al tempo della crisi, dovrebbe fare i conti anche Baricco e con lui tutti quegli intellettuali italiani che, incapaci di leggere il presente, si compiacciono della reciproca impossibilità di analisi e governo della moltitudine.