Autore: Arundhati Roy Traduzione di Giovanni Garbellini € 13.00 Saggistica Collana: Le fenici rosse In libreria dal: 11 Giugno 2009 Pagg 180
IL LIBRO
L’India di Arundhati Roy,
scrittrice coraggiosa e reporter implacabile, è molto diversa
dall’immagine luccicante offerta dalle fonti ufficiali. In questa nuova
raccolta di saggi ci si trova di fronte ad avvenimenti e situazioni
scottanti: apparati dello Stato deviati che inscenano falsi attentati e
un «11 settembre asiatico», magistrati corrotti e più attenti al bene
delle multinazionali che a quello della giustizia, giornalisti
asserviti ai poteri forti, poliziotti che non esitano a scatenare
pogrom contro le minoranze etniche e religiose, un’intera area — il
Kashmir — dove i diritti civili sono sospesi e la guerra contro il
Pakistan è una minaccia perenne, con ricorrenti scoppi di violenze.
Un quadro cupo e inquietante ma non privo di speranze, perché tanti,
come la Roy, lottano in nome della libertà, della verità, della pace.
Con il suo consueto stile acuto e, allo stesso tempo, venato di una
sottile ironia, Arundhati Roy cerca di guidare il lettore occidentale
nel complesso intrico di politica, religione, società ed economia della
«più grande democrazia del mondo».
I GIUDIZI
"Nelle mani di Arundhati, le parole diventano armi, le armi dei movimenti di massa."
Naomi Klein
UN BRANO
"Ciò di cui abbiamo bisogno oggi,
per la sopravvivenza del pianeta, è un progetto a lungo termine.
Possono i governi democratici, la cui stessa sopravvivenza dipende da
risultati immediati, dallo sfruttamento a breve scadenza, offrire
questo progetto? Non potrebbe darsi che la democrazia, sacra risposta
alle nostre speranze e preghiere a breve termine, baluardo delle nostre
libertà individuali e nutrice dei nostri sogni più avidi, si riveli uno
scacco matto per il genere umano? Non potrebbe darsi che la democrazia
abbia tanto successo tra l’umanità moderna proprio perché ne rispecchia
la più grande pecca: la miopia? La nostra incapacità di vivere nel
presente, e al tempo stesso di guardare molto in là nel futuro, ci
rende strani esseri «di mezzo», né bestie né profeti. La nostra
intelligenza strabiiante sembra averci privato dell’istinto di
sopravvivenza. Saccheggiamo la terra nella speranza di accumulare
surplus materiali che compensino quella cosa profonda e indicibile che
abbiamo perduto."