Quel golpe contro l’Europa

10 / 12 / 2013

Inter­prete ori­gi­nale e tra­dut­tore in Fran­cia a par­tire dagli anni Set­tanta dei testi legati all’operaismo ita­liano, Yann Moulier-Boutang ha pubbli­cato, durante gli anni Ottanta e Novanta, lavori impor­tanti alla nuova con­di­zione migra­to­ria e alla divi­sione inter­na­zio­nale del lavoro. A par­tire dagli anni Due­mila si è inte­res­sato all’analisi del capi­ta­li­smo cogni­tivo e ha dato vigore agli studi di eco­lo­gia poli­tica. Nel 2000 ha fon­dato la rivi­sta «Mul­ti­tu­des», di cui è tutt’ora diret­tore. Tra i suoi titoli più signi­fi­ca­tivi vanno ricor­dati Dalla schia­vitù al lavoro sala­riato (mani­fe­sto­li­bri, 2002) e Le capi­ta­li­sme cogni­tif (Editions d’Amsterdam). Sua è Althus­ser: une bio­gra­phie (Gras­set), men­tre alla fine degli anni Novanta del Nove­cento ha curato, con François Mathe­ron, la pub­bli­ca­zione delle Let­tres à Franca, 1961–1973 di Louis Altu­hes­ser per l’editore Stock-Imec.

La crisi che scuote il mondo non sembra ormai finire più. Il discorso convenzionale pone sul banco degli accusati la separazione progressiva tra una cosiddetta economia reale, buona eproduttiva, euna finanza semplicemente parassitaria. Da parte tua rifiuti ogni distinzione così netta, ritenendo che non ci si possa più limitare ainvocare un fantasmagorico ritorno alreale.…

Bisogna certo distinguere la parte finanziaria dell’economia reale da quella non finanziaria. Tuttavia, entrambe sono pienamente reali. Del credito, che èla sostanza della moneta la cui forma consiste nella più omeno grande liquidità oesigibilità, genera immediatamente possibilità d’investimento, salari, acquisti di beni eservizi. Èperò accaduto che la componente finanziaria dell’economia reale diventa via via più gigantesca mano amano che cresce l’interdipendenza delle singole economia nazionali. Per 150 miliardi di dollari quotidiani di Pil mondiale ealtrettanto di commercio di beni, si hanno 1500 miliardi di transazioni che coprono il rischio di cambio e3700 miliardi di transazioni su delle promesse concernenti il futuro, ifamosi prodotti derivati. Questo era l’ordine di grandezza nel 2009 emalgrado la scomparsa della metà di 2000 hedge funds, l’ordine di grandezza del rapporto tra produzione efinanza èrimasto uguale.

La verità èche affinché ciò che taluni chiamano «l’economia reale» diventi realtà bisogna che la finanza attivi questo armamentario impressionante. La domanda da farsi èperò: l’economia funzionerebbe meglio senza una finanza che tanti asinistra descrivono come un parassita inutile che si potrebbe appendere atesta in giù? Diffido del sofisma già denunciato da Kant secondo il quale la colomba volerebbe meglio nel vuoto. Ciò che merita di essere pensato epesato sono le trasformazioni dell’economia in blocco (sfera finanziaria enon finanziaria). Innumerevoli analisi sulla finanziarizzazione dell’economia nella globalizzazione considerano soltanto un lato del problema: le ripercussioni (negative) della crescita della sfera finanziaria sulla cosiddetta economia reale, spesso ridotta aun settore industriale promosso al rango di realtà unica creatrice di ricchezza.

Questa ipertrofia della finanza corrisponde al passaggio dalla produzione di ricchezza centrata sullo sfruttamento della forzalavoro manifatturiera esubordinata alivello salariale allo sfruttamento immediatamente sociale, globale ecomplesso della forza inventiva edell’intelligenza collettiva in rete, ciò che chiamo la «pollinizzazione umana dell’interazione». Questa nuova sfera dell’economia dei complessi immateriali (non codificabili in diritti di proprietà intellettuale) èmille volte più produttiva (in senso realmente economico) della vecchia sfera dell’economia politica. Questo nuovo continente di esternalità positive della cooperazione umana èoggetto di un’abile captazione da parte di ciò che denomino il capitalismo cognitivo, il quale deve creare piattaforme di «pollinizzazione» (le reti sociali, imotori di ricerca, la cloud di dati einformazioni) per rivelare gli immateriali più profittevoli ed estrarre (datamining, datamapping) innovazione.

La crisi attuale, dunque, non decreta la fine di un capitalismo cognitivo…

La crisi attuale eil suo svolgimento costituiscono una delle mute del drago capitalistico attraverso la quale il capitalismo cognitivo regola senza pietà isuoi conti con il suo vecchio avatar industriale. Ènella egrazie alla crisi dei subprimes che le imprese giganti dell’immateriale hanno conquistato la vetta del capitalismo borsistico mondiale tenendo l’automobile sempre più adistanza. Il declassamento radicale del capitalismo industriale èstato innanzitutto nutrito dalla sua ingovernabilità sociale nelle fabbriche, poi dall’emergenza dell’economia dell’immateriale einfine dall’urgenza della transizione ecologica. Ora, il capitalismo si gioca tutto su quest’ultimo punto (come la nuova dinastia cinese): osi dimostra capace di fornire risposte intelligenti alla sfida ecologica oppure sbatterà veramente contro il muro. Equi la Cina èparadigmatica: questo paese ha risposto alla sfida dell’uscita dalla povertà diventando la fabbrica del mondo ed effettuando in 35 anni ciò che il capitalismo industriale ha impiegato due secoli emezzo per realizzare nei paesi sviluppati. Ora però si trova di fronte auna sfida temibile: iproblemi ecologici raggiungono ormai dimensioni tali per cui l’avvelenamento alimentare, la rarefazione dell’acqua, l’erosione dei suoli, l’inquinamento chimico, la secca impossibilità di perseguire itassi di motorizzazione occidentali, la speculazione immobiliare, la bulimia energetica, lo sfruttamento forsennato del carbone, rappresentano le minacce più serie al «mandato dal cielo» attribuito al partito comunista. In fin dei conti la Cina offre una sintesi straordinaria dei problemi universali del pianeta.

Torniamo all’Europa. Se si potesse magicamente piazzare Keynes aBruxelles, quale New Deal potremmo escogitare per il presente? Quali forme potrebbe allora assumere un keynesismo dell’immateriale, un keynesismo verde? Un keynesismo nel quale ilimiti naturali ele dimensioni di razza, genere eclasse giochino un ruolo più importante rispetto al semplice volume della produzione?

Avevo proposto negli anni Ottanta, quando ero un giovane assistente di economia di JeanPaul Fitoussi, la formula «Keynes aBruxelles». L’intuizione era corretta, anche se la Bce non esisteva ancora come bastione borbonico da assalire. Più che mai una politica di crescita intelligente presuppone, prima ancora che ci si metta adiscutere del suo contenuto edi un programma keynesiano, la definizione di una forma istituzionale capace di sorreggerla. Credo che un programma keynesiano aBruxelles abbia bisogno di appoggiarsi su un salto istituzionale. Tuttavia, abbiamo già una resistibile ascesa dello spettro (benvenuto) di Keynes con ciò che chiamo il trionfo del federalismo rampante, il quale sta battendo sia l’ipotesi confederalista che quella sovranista dell’Unione europea.

La crisi del debito sovrano degli Stati, conseguenza del salvataggio del sistema finanziario dal tracollo dei prodotti finanziari come isubprimes, ha segnato una tappa decisiva nella via del federalismo rampante euna sorta di colpo di Stato, un vero eproprio 18 Brumaio: la Bce, di fronte all’incapacità degli Stati del Consiglio di prendere rapidamente contromisure forti di sostegno agli Stati membri in difficoltà, in quanto istituzione federale, ha preso il potere. Si ècioè affrancata dalla tutela «nazionale» (francese e/o tedesca), delineando velocemente una posizione comune; ha aggirato ipoteri formali che le erano stati attribuiti dai trattati, giustificando il ricorso ametodi «non convenzionali» acausa di una situazione «eccezionale»; e, infine, ha operato una svolta acentottanta gradi per quanto concerne la sostanza della sua politica.

Quando uno stato di eccezione dura più di sei anni, ci si trova però di fronte aun cambiamento di régime provocato da un colpo di Stato. L’istituzione federale concepita come custode del tempio monetarista, incarnazione di un virulento polo antikeynesiano, si èmangiata il suo cappello «friedmaniano» iniettando un volume di liquidità semplicemente impensabile fino aquel momento. Èintervenuta prima sulla solvibilità delle banche, poi su quella degli Stati per salvare l’euro, accompagnando ogni provvedimento con un messaggio inequivocabile da parte del banchiere centrale. Di fronte ai piccoli passi in avanti, seguiti da altrettanti passi indietro, da parte del Consiglio edella Commissione, la Bce ha varcato il Rubicone riacquistando sul mercato secondario ibuoni del tesoro emessi dagli Stati in difficoltà, onde evitare la palese violazione dei trattati. Ora, la Bce di Mario Draghi ha abbassato il tasso di base allo 0,25% eha invocato esattamente la stessa giustificazione: lo stato d’eccezione durerà fino aquando vigerà il rischio di deflazione edi un livello di disoccupazione troppo elevato. Siamo così passati in dieci anni da una Bce «tedesca» auna Bce quasi keynesiana.

Il reddito di base potrebbe stabilizzare il capitalismo cognitivo ericonciliarlo con un’economia fondata sulla conoscenza?

Contrariamente aciò che pensano alcuni colleghi economisti — per gli italiani penso aAndrea Fumagalli eStefano Lucarelli — non vedo una contraddizione tra un elevato reddito di base incondizionato (900 euro atesta in Francia) — che permetterebbe di ripensare lo Stato Provvidenza (la disoccupazione, le pensioni, la protezione sociale) — elo sviluppo del capitalismo cognitivo. Affinché quest’ultimo capti facilmente una parte importante delle esternalità positive della rete edell’interazione umana intercettate da dispositivi digitali eaffinché faccia lavorare durevolmente la forza inventiva di geeks, hackers ealtri precari delle classi creative, sono necessarie piattaforme di «pollinizzazione»: in altri termini serve un’apeeconomia, un’economia dell’ambiente, altrimenti finisce col trasformarsi in un parassita oin un vampiro dei nuovi beni comuni digitali.

Per difendere la costituzione di beni comuni digitali, di dati pubblici, la loro protezione, l’«open source» costituisce una falsa soluzione, la quale si base su un principio di terra nullius dove le imprese possono saccheggiare l’inventività sociale eumana alla stregua di quelle case farmaceutiche odi quelle multinazionali dei sementi che praticano una biopirateria sfrenata degli ecosistemi complessi. Ora, una delle acquisizioni della teoria postcoloniale edelle recenti sollevazioni dei popoli indigeni consiste nell’aver ottenuto dalle corti costituzionali della maggior parte dei paesi di colonizzazione la ricusa del principio di terra nullius el’apertura della via aun indennizzo delle grandi spoliazioni delle loro terre comunitarie.

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