Re-Biennale a Venezia

5 / 11 / 2008

Un laboratorio con gli studenti per riciclare gli «scarti» della mostra di architettura. E portarli sul territorio.

Si chiamerà Re-Biennale e sarà un grande cantiere, un laboratorio ideato da una rete (da Asc, agenzia sociale per la casa di Venezia, a Casilino 900-Stalker, da Geologika Collettiva a Sale, da Exyzt a 2012 Architecten, da Millegomme a Collettivo sotto tetto e famiglia Bresci) che si è ribattezzata Commons beyond buildings.

L'idea è semplice ed efficace. Molto spesso i grandi eventi culturali come la Biennale di architettura attraversano la città di Venezia in maniera imponente ma difficilmente interagiscono al di fuori del carattere espositivo che le connota. E questo vale sia per i cittadini (abitanti, studenti, lavoratori) che per i professionisti e gli artisti che partecipano alla Biennale. In più c'è il volume di «rifiuti» che viene abbandonato a ogni chiusura della mostra: così i materiali utilizzati per le installazioni e le opere stesse concludono il loro ciclo vitale rappresentando un carattere di insostenibilità ambientale e economica, mostrando scarsa attenzione per le risorse attive della città.

Da queste considerazioni è nata l'idea di riutilizzare i materiali «di scarto» per un progetto condiviso di rigenerazione urbana: una straordinaria occasione per prendersi cura della città come tessuto complesso di relazioni sociali, funzionali e spaziali che può essere progettato da chi la vive, per esplorarla e studiarla, per lavorare trasformandola in un cantiere di idee e di fatto per darle il senso che, scrivono gli ideatori dell'evento, «le istituzioni, incapaci di leggere le dinamiche reali e di investire politicamente nell'abitare, non sanno dare».

La creatività della ricerca e l'ibridazione dei linguaggi possono così garantire la ricchezza del disegno urbano e riscoprire l'importanza dei beni comuni oltre il costruito. Da qui l'idea del commons beyond buildings. È evidente che anche nel nome che la rete si è scelta riecheggiano le esperienze di lotta territoriali che in questi anni hanno attraversato Venezia, e più in generale il Veneto e altre regioni. L'idea di comune, inteso come beni comuni, è la stessa che hanno i vicentini del no Dal Molin, i no Tav della Val di Susa o i no Mose veneziani. 

La «sfida» della rete era anche quella di riuscire a coinvolgere in questo progetto le istituzioni coinvolte, non solo la Biennale ma, per esempio, la facoltà di architettura. Coinvolgimento che entrambe hanno accettato con disponibilità e interesse.

Se si volesse dare un prologo al progetto, si potrebbe riandare all'apertura della Biennale Architettura e in particolare alla mostra del padiglione Italia, significativamente intitolata «L'Italia cerca casa». Il problema della casa, dell'abitare, affrontato sì dal punto di vista economico ma soprattutto per una volta anche dal punto di vista del senso dell'abitare, di che cosa voglia dire abitare. Di quanto sostenibile possa e debba essere l'abitare. Anche qui l'esperienza veneziana è tra le più interessanti, con il progetto di autorecupero di alcune abitazioni da parte di Asc.

Ma al padiglione Italia erano stati invitati anche Casilino 900 e Stalker.

Cioè i rom del campo più grande di Roma che, proprio mentre veniva inaugurata la mostra a Venezia, veniva sgomberato in grande stile, con tanto di retata e arresti di massa. In quell'occasione, all'inaugurazione, la rete aveva presentato «il gioco del mondo», una iniziativa che era il racconto personale di ciascun gruppo che diventava risorsa collettiva, un bene comune da difendere e propagare. I rom «costruttori» della casa sostenibile presentata alla Biennale avevano valutato, girando con un materasso recuperato che appoggiavano di volta in volta nei vari locali, che il materiale utilizzato avrebbe ampiamente risolto il problema abitativo dei rom in Italia.

Operativamente il cantiere-laboratorio aprirà i battenti in concomitanza con la chiusura della Biennale Architettura. Ma fin da metà novembre si effettueranno i sopralluoghi (con gli studenti di architettura che hanno aderito al workshop, per i quali l'università riconoscerà anche crediti formativi).

A partire dai padiglioni coinvolti nel progetto, gli studenti analizzeranno i relativi spazi espositivi elaborando delle schede tecniche di catalogazione e di valutazione dei materiali utilizzati, che saranno la base di partenza dei progetti di autocostruzione. La ricerca è finalizzata a definire le caratteristiche delle materie prime e il loro ciclo di produzione con relativo impatto ambientale. Una volta realizzata la mappatura delle materie prime, si partirà con la seconda fase del progetto, definita «Trasformazioni». Questa parte servirà alla scambio produttivo con le reti di abitanti, entrando in contatto con la «committenza sociale» alla quale sarà destinata la progettazione e l'auto-costruzione.


Vedi anche:
Come nasce l’idea del laboratorio Re-Biennale
Commons Beyond building
Svolgimento workshop