Cultura e Indipendenza

Riapre il TPO

Apriamo il nostro spazio con una lettera alla città

1 / 10 / 2009

Care/i,

siamo pronti per riaprire il Tpo per una nuova stagione che come sempre sarà ricca di eventi, intreccerà generi diversi, arti differenti e proporrà linguaggi trasversali. Quest'anno vogliamo aprire l'anno condividendo alcune riflessioni maturate negli ultimi anni, soprattutto da quando siamo migrati nei nuovi spazi di Via Casarini. Considerazioni che partono dalla sperimentazione e dalle contaminazioni che abbiamo vissuto, dai laboratori musicali, di hip-hop, di danza e teatro, dagli incontri con i musicisti, le compagnie teatrali, gli scrittori, i fumettisti che ci hanno attraversato e che abbiamo conosciuto. Un ragionamento che ha in se alcune domande che vogliamo rivolgere, alla città e a chi come noi, con determinazione e coraggio in questi anni ha cercato di portare avanti percorsi culturali e artistici indipendenti in questa città.

Il mondo della cultura in generale sta subendo un attacco diretto su più fronti. Pensiamo ai consistenti tagli di finanziamenti e alle farneticanti dichiarazioni sul “ciarpame culturale e parassitario” che siamo costretti ad ascoltare da Ministri del nostro governo. Siamo di fronte a un'evidente operazione di “de-valorizzazione” artistica e culturale che non coinvolge solo la classe politica attualmente al governo, ma che si riproduce nello svuotamento dei percorsi formativi dalle scuole primarie all'Università, nello svilimento delle figure professionali che si muovono attorno alla cultura, nei dispositivi che cercano in tutti i modi di limitare la circolazione dei saperi, nelle grandi Istituzioni dell'arte che a volte si trovano a dover risanare deficit spaventosi usando modelli di business importati direttamente dalle multinazionali.
Questa operazione di de-valorizzazione coinvolge tutti, dai precari del mondo dello spettacolo, passando per le maestre, fino ad arrivare a chi condivide e distribuisce saperi usando la rete in modo libero e gratuito. Un processo di normazione e de-valorizzazione artistica, che si inserisce nel più ampio contesto di una “fabbrica culturale” che trasforma la creazione artistica in esclusiva produzione, sottraendole tutta la spinta propulsiva e sovversiva. E' per questo che la creatività diventa fondamentale ma solo a condizione che sia ammaestrata, controllata e monitorata.

Le industrie culturali, da una parte stroncano sul nascere nuovi approcci alla cultura tramite  “l'educazione” al successo, al format, al prodotto costruito a tavolino, al brand. Punta dell'iceberg di questo atteggiamento sono il proliferare di fenomeni televisivi fondati sull'arrivare alla celebrità per forza, da  XFactor ad Amici. Dall'altra, con il ricatto, il terrore e l'abbondante somministrazione di paurE tendono a reprimere chi dissente, chi sperimenta, chi aggira e smonta gli atrofizzati  meccanismi del mercato dell'arte.

Su questi due assi si sviluppa la rappresaglia, l'espropriazione dei contenuti e della creatività ad opera della “fabbrica della cultura” che, allo stesso modo, si nutre e genera precarietà diffusa nel mondo della cultura e della formazione. Precarietà economica, ma soprattutto precarietà che si declina dentro e fuori il “mondo della cultura”: nei rapporti di relazione, di socialità e di condivisione. Si crea allora una “guerra” tra soggettività, che divengono individualiste e atomizzate, che pur di conquistare un pezzo di mercato, di attenzione, di visibilità, danno un prezzo alla loro libertà e al loro spazio di azione.
Il mondo dell'arte ci sembra sempre più permeato da tutto questo, in un momento di estrema complessità e difficoltà. La crisi economica che ha impattato i nostri territori, la paura per le diversità che s'insinua e che immobilizza, la difficoltà nel far sentire voci differenti. Tutto questo ha un peso che immediatamente si ripercuote sul profilo culturale dei nostri territori.
La nostra città, capace da sempre di creare immaginario di innovazione, sperimentazione e pratiche nuove e potenti, in questi anni si sta addormentando nella routine. Ci troviamo di fronte ad un'élite culturale che forse ha poca voglia di mettersi in gioco, certa di vivere ancora nei fasti di quello che fu.
 
Per costruire una prospettiva comune, e qui sta la difficoltà e allo stesso tempo il fascino della nostra sfida, pensiamo che sia il momento di ricominciare a cogliere la frammentazione e le differenze soggettive. Non una somma che annulli tali differenze, ma un processo di condivisione che le metta a valore, conferendogli potenza d'azione e pratiche di rottura contro lo schema onnivoro che ci sta inglobando. Un crocevia di sogni, corpi, arti e strumenti che costruisca cooperazione in maniera autonoma, che con la condivisione e circolazione dei saperi e della conoscenza strappi e conquisti libertà individuali e collettive. Che immagini e sperimenti forme di organizzazione e produzione indipendenti.

Noi abbiamo colto questa sfida trasformando il nostro spazio in un laboratorio di sperimentazione di pratiche e di linguaggi. Crediamo che questo percorso riguardi tutti/e noi e che sia arrivato il momento di rimettersi in gioco insieme.


TPO, settembre 2009