un libro importante per una nuova memoria

Sconfiggere Hitler

Avraham Burg e l'"altro giudaismo"

27 / 1 / 2010

L'«enfant terrible» dell'establishment israeliano, Avraham Burg, non smette di scandalizzare o di affascinare, in ogni caso di stupire gli uni e gli altri. Non molto tempo fa, membro dirigente del partito laburista, dirigente del movimento sionista o presidente del Parlamento, esprimeva opinioni che contrastavano con le convinzioni della maggior parte dei suoi concittadini. Disperando di riuscire ad influenzare i governanti, nel 2004 ha finito col rinunciare alla vita politica.

Le riflessioni che si concede nel suo ultimo libro, Vaincre Hitler, sorprenderanno per la loro brutale franchezza. Riguardo all'occupazione dei territori palestinesi, ricorda: «Per anni, ho moderato le mie posizioni per evitare di lacerare la società israeliana. (...) Oggi, pongo la domanda: [tutti gli ebrei] sono veramente miei fratelli?

E rispondo: no! (...) Per me, a partire dalla Shoah, non esiste più giudaismo genetico, ma solo un giudaismo di valori (...). I cattivi, gli occupanti non sono miei fratelli, anche se sono circoncisi, rispettano lo shabbat e i comandamenti religiosi».

Nel libro, oppone il «giudaismo del ghetto» al «giudaismo universale» a cui si richiama, il «razzismo» del primo all'«umanesimo» del secondo.

Contraddicendo il Vecchio testamento, sostiene che il popolo ebreo non è l'«eletto» del Signore, che sarebbe come dire che le altre nazioni appartengono a «razze inferiori». «Il cancro del razzismo ci divora», dichiarava nel 2003 a Yediot Aharonot, un quotidiano israeliano di grande tiratura. L'atroce tragedia della Shoah, scrive ancora, ha peraltro dimostrato che Jehovah non era il protettore del «popolo eletto», proprio come non è responsabile delle sue disgrazie.

L'autore di Vaincre Hitler crede in un Dio che ha trasmesso all'uomo la capacità di decidere, rendendolo responsabile dei suoi atti. Figlio di un rabbino unanimemente rispettato, che fu capo del partito nazional-religioso e suo rappresentante in quasi tutti i governi fin dalla creazione d'Israele, Burg - lui stesso educato in una yechiva (scuola dedita allo studio dei testi rabbinici) - cita abbondantemente la Torah e il Talmud, per dimostrare che alcuni sacri testi sono stati incompresi, mal interpretati, deformati, e che sono in ogni caso anacronistici.

Burg rimprovera ai dirigenti sionisti di essersi «appropriati» della Shoah - una tragedia che riguarda certo gli ebrei, ma anche l'insieme dell'umanità - e di utilizzarla a fini spesso inconfessabili. Li accusa di averne fatto una componente fondamentale dell'identità ebrea, riducendo questa alle persecuzioni subite nel passato, e nascondendo secoli di pace e di buona intesa con gli altri popoli.

E Burg ricorda la sollecitudine del persiano Ciro il Grande per i suoi sudditi ebrei, le relazioni feconde che quest'ultimi mantenevano con i loro compatrioti musulmani nell'Europa medievale, in Aragona, Castiglia e Andalusia, la secolare convivenza giudaico-tedesca prima dell'avvento del nazismo, la situazione privilegiata degli ebrei nelle Americhe e in molti paesi. Egli ritiene che gli ebrei ben integrati nelle loro patrie rispettive e che si astengono dall'emigrare in Israele non dovrebbero essere stigmatizzati, tanto più che la diaspora è un fattore di fecondità della civiltà universale.

Burg è contrario alla scelta della stessa parola Shoah («catastrofe»), che dà all'olocausto hitleriano un carattere unico, incomparabile con i genocidi subiti da altri popoli. Questo esclusivismo, secondo lui, attenta alla necessaria compassione o solidarietà verso le vittime non ebree. Alimenta inoltre una paranoia malsana, che perpetua il dogma sionista secondo cui l'antisemitismo è un fenomeno mondiale ed eterno: «il mondo intero è coalizzato contro gli ebrei».

I responsabili sionisti hanno utilizzato la Shoah a diverso titolo.

Serve, tra l'altro, a praticare un «ricatto affettivo», redditizio finanziariamente e politicamente; ricorda ai tedeschi la loro colpa criminale, agli americani e agli europei la loro passività nel salvataggio degli ebrei sottoposti al giogo nazista. Così, le autorità israeliane si garantiscono dall'impunità, quale che siano le loro violazioni dell'etica e della legislazione internazionale, così come dei diritti dell'uomo, e i loro crimini di guerra, tra cui gli «assassinii mirati» di palestinesi.

L'autore di Vaincre Hitler se la prende con i libri scolastici israeliani, che ignorano tutti i genocidi diversi da quello subìto dagli ebrei; e anche con le leggi, che sanzionano unicamente i crimini contro il popolo ebreo, il negazionismo del loro martirio. Si ribella alla concessione automatica della cittadinanza israeliana agli immigrati ebrei sulla base di criteri religiosi. Sostenitore di una piena laicità, denuncia anche i «fondamentalisti religiosi», che non smettono di farsi gioco della sovranità nazionale. Constatando che i suoi compatrioti si offrono spesso quali dirigenti dei generali dell'esercito e dei servizi segreti, avverte che «uno stato dei rabbini e dei generali non è un incubo impossibile».

Perciò raccomanda che ebrei ed israeliani si liberino di quello della Shoah, di cui «bisognerà, certo, ricordarsi eternamente, pur smettendo di rotolarsi nella polvere», perché «bisogna smetterla con lo stato di Auschwitz e la cultura del trauma e del terrore». Burg non si considera antisionista, salvo quando i princìpi dettati da Theodor Herzl e i valori della dichiarazione d'indipendenza sono «traditi». Ad esempio, quando si trasforma Israele in «uno stato coloniale, diretto da una cricca immorale di fuorilegge corrotti».

E lamenta, sempre nella stessa intervista a Yediot Aharonot: «La fine del sionismo è prossima (...), può essere che uno stato ebraico sopravviva, ma sarà uno stato di altro genere, spaventoso perché estraneo ai nostri valori».

L'autore di Vaincre Hitler ha naturalmente suscitato una levata di scudi in Israele, ma anche il sostegno di uomini e donne che aspirano ad una profonda riforma del loro stato. Burg, sulla cinquantina, può sperare che il suo sogno diventi realtà. In ogni caso, è a suo modo testimone di una società in piena mutazione, proprio come l'ondata d'iconoclasti che attraversa l'intellighenzia israeliana, i «nuovi storici» in testa.

E.R.

(tratto da Le Monde Diplomatique)

Avraham Burg. Sconfiggere Hitler. Per un nuovo universalismo e umanesimo ebraico. Neri Pozza editore