Se crolla il petrolio difendiamo la vita: reddito universale nella crisi sistemica

L'intervento di Francesca Coin (University of Lancaster) al webinar "Reddito universale contro la crisi sistemica".

30 / 5 / 2020

Proverò qui a dare degli elementi spero utili per capire la fase in cui siamo, cosa che non è banale a causa dell'insieme di crisi che si stanno rendendo manifeste. Comincio con il dato del crollo del prezzo del petrolio. Infatti, per la prima volta nella storia, in questi giorni (fine aprile ndr) abbiamo visto che il prezzo del petrolio è sceso sino a raggiungere i -37 $ al barile. Se consideriamo i prezzi come indicatori di processi storici e quindi materiali, vediamo che è accaduto qualche cosa di inusuale, senza precedenti: i produttori stavano pagando pur di eliminare le scorte di petrolio, affinché chi acquista il contratto se lo portasse via. Questo è avvenuto a causa dei costi di stoccaggio, in forte aumento per la saturazione dei magazzini, e quindi per la necessità di liberarsi delle scorte.

Facendo un passo indietro, tuttavia, il crollo del prezzo del petrolio ci dice anche che il ritmo di produzione e vendita su cui di solito l'economia reale lavora e a cui siamo abituati d'un tratto è venuto meno, simbolo questo di un’economia che d'un tratto si è fermata. È un processo che non ha precedenti storici, tantomeno per un periodo protratto di tempo e in un'economia complessa, cosa che ci dà anche la misura di quanto stiamo vivendo una fase difficile da decifrare.

Un altro modo di visualizzare le cause del crollo del prezzo del petrolio è guardare ai dati sull’impiego, per esempio in Europa e negli Stati Uniti. La differenza evidente tra Europa e Stati Uniti sta nei livelli di tutele del posto di lavoro. Negli Stati Uniti, il numero dei disoccupati è salito vertiginosamente, nella prima settimana circa 3,3 milioni di persone hanno fatto domanda per il sussidio di disoccupazione, la settimana successiva erano diventate 6 milioni e oggi siamo a circa 30 milioni di persone che si sono trovate disoccupate in un mese.

Ciò è sintomo di un mercato del lavoro completamente precario, senza alcuna tutela, in cui da un giorno all’altro se calano i profitti sei a casa. Faccio riferimento agli Stati Uniti perché ci danno una misura più immediata di quello che sta accadendo. Un fenomeno simile accadrà anche in Italia e in Europa, anche se per ora c'è stato un cuscinetto di cassa integrazione per quanto ovviamente parziale e limitato ai lavoratori dipendenti. Tuttavia, in molti paesi, soprattutto i lavoratori non dipendenti, i lavoratori autonomi e freelance, per non parlare di chi galleggiava tra economia formale e informale, si sono già trovati senza alcuna tutela.

Di per sé questi due dati sono sufficienti per mostrare la complessità della crisi attuale, una crisi che interseca la crisi economica, la crisi sanitaria e probabilmente la crisi politica. È quindi necessario mettere in relazione le tendenze riguardanti l’occupazione con le previsioni epidemiologiche, ed entrambe con il mercato del lavoro e con quanto avviene in Europa. Premettendo che non ci sono certezze, le analisi che mi convincono di più sono quelle che fanno un parallelismo tra il COVID-19 e l’influenza spagnola del 1918. Anche l’influenza spagnola è cominciata in primavera e ha avuto una prima ondata relativamente “moderata”, per poi scatenare il vero problema nel corso dell’autunno successivo con un grande innalzamento della curva dei contagi. Se pensiamo al rallentamento della produzione, al crollo assoluto della domanda e a ciò che potrebbe avvenire in autunno, dobbiamo concludere che i fallimenti e le chiusure delle imprese aumenteranno in modo significativo nei prossimi mesi.

Veniamo dunque all’Europa. Abbiamo visto che all’ultimo Consiglio Europeo non è stata presa una decisione definitiva sulle misure anticrisi e c’è stato un rinvio della responsabilità alla Commissione Europea. Il ragionamento che Conte aveva fatto sugli Eurobond è stato gradualmente archiviato mentre la proposta spagnola di un recovery fund è stata sostanzialmente rivista dalla Germania. I temi ora in discussione riguardano l’entità e le modalità del finanziamento del recovery fund - come queste risorse sarebbero trasferite agli stati e quando.

Tutte le crisi che vediamo potrebbero essere tamponate se ci fosse la disponibilità politica a un piano di assunzioni, a una tutela attraverso il reddito universale, all’estensione della cassa integrazione per i lavoratori dipendenti, ecc. Probabilmente tutto ciò non accadrà o accadrà molto poco, in particolare perché sembra che questo recovery fund, discusso in parallelo alla creazione del fondo SURE per la cassa integrazione e concesso dai Trattati, funzionerà più attraverso prestiti che attraverso grants (finanziamenti a fondo perduto). Ciò fa prevedere un nuovo processo di indebitamento, non solo in Italia - circa cento paesi nelle ultime settimane hanno già richiesto prestiti al Fondo monetario internazionale - ma che toccherà molto l’Italia. La scorsa settimana l'agenzia di rating Fitch ha declassato il debito italiano a BBB-, cioè a un passo dal livello spazzatura che aveva inaugurato la crisi in Grecia. Fitch prevede una contrazione del Pil dell’8% nel corso del 2020 e una crescita del debito tale da portarlo al 156%. L'outlook negativo tiene conto dei duplici effetti derivanti da un aumento del deficit vicino al 10% del Pil e dal deterioramento del bilancio, ma è evidente che al fondo vi sono anche le incertezze circa la continua fragilità europea. In questo momento, di fatto, tutti gli occhi sono puntati sul debito pubblico italiano perché è molto elevato, perché l’emergenza sanitaria ha avuto un forte impatto sull’Italia e perché, nonostante le aperture della Bce, i rischi di speculazione sono fortissimi.

Tutto quello che sta accadendo è indicativo di un'economia che ha vissuto negli ultimi 40 anni su un modello just in time: salari bassi, rapporti di lavoro precari, lavoratori assunti e licenziati a seconda delle esigenze del mercato, nazionalismo economico come perno stesso del modello neoliberale. Quindi non ci dobbiamo illudere che questa crisi rovescerà le sorti dell'epoca neoliberale, anzi dobbiamo attenderci un deterioramento delle condizioni di lavoro e di vita e un'ondata gigantesca di scioperi e mobilitazioni sociali durissime. Nei prossimi mesi, la sfida è secondo me quella di mantenere operative le rivendicazioni da un lato di reddito e tutele sul lavoro e dall’altro lato di protezione della salute. Come ci indica il femminismo, la cura dev’essere messa al centro, anche nella distanza fisica, che non significa affatto distanza sociale. Bisogna pensare modi di riarticolare le lotte dentro le precauzioni richieste da questa fase e dentro un concetto di cura che va ricalibrato a protezione degli anziani e dei più vulnerabili, a protezione dei migranti che stanno venendo reclutati in modo estremamente violento per lavorare in condizioni di assoluta segregazione nei settori essenziali come l’agricoltura. Ricalibrare in termini femministi che cosa significa lottare in questa fase sarà la nostra sfida, per tutelare i diritti del lavoro e la soddisfazione dei bisogni essenziali, per rivendicare un reddito universale, per impedire che la crisi politica apra la strada a un governo di estrema destra.

In conclusione, la crisi ha anche mostrato che il valore del lavoro vivo è così basso perché la vita stessa ha poco valore, per Confindustria e per il capitale in generale. Bisogna quindi usare questo svelamento per delegittimare lo stato di cose attuale, per ribadire un altro ordine di valori. Si tratta di uno svelamento prezioso, che possiamo usare politicamente.