Sherwood Festival - L'eccezione e la regola

Una produzione indipendente che ha voluto approfondire il tema degli abusi in divisa

5 / 7 / 2014

Si è svolta giovedì 3 luglio allo Sherwood Festival la terza serata di trasmissioni indipendenti dedicata agli abusi di polizia. Il titolo dal sapore brechtiano L’eccezione e la regola ha immediatamente posto al centro dell’attenzione il cuore del problema: il luogo comune che vuole sia fatto eccezionale l’abuso poliziesco in chiave di uso della forza, fino a diventare tortura o omicidio, e la perdurante assenza di regole che finisce per costituire un vero e proprio salvacondotto giudiziario non scritto per gli uomini e le donne della nostre quattro polizie nei pochi casi in cui vengano tratti a giudizio per crimini loro attribuiti.

Condotta da Carlo Vitelloni di Sherwood.it e Marco Rigamo di Globalproject.info la trasmissione si è perciò sviluppata attorno a tre punti: l’opacità dell’informazione suddita di uno spirito di corpo che genera impunità; l’assenza di regole sugli ingaggi, l’uso delle armi, l’identificabilità dei poliziotti; l’inderogabilità dell’introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale.

La discussione si è intrecciata con le suggestioni provenienti dalle interviste video del senatore Luigi Manconi, promotore di un disegno di legge sul reato di tortura; di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano; di Patrizia Moretti, madre di Stefano Aldrovandi; di Paolo Cognini, avvocato e attivista; di Martina del Tpo di Bologna, vittima recente della brutalità poliziesca.

A Checchino Antonini di ACAD, Associazione Contro gli Abusi in Divisa, è toccato coprire l’assenza della avvocato Fabio Anselmo, legale di molte delle famiglie in cui un congiunto è stato assassinato da poliziotti, trattenuto a Milano per un’altra sentenza scempio, quella che ha mandato assolti i colpevoli dell’omicidio di Michele Ferrulli, un nome della lunga lista di assassinati. Antonini ne ha dato relazione e documentato l’attività della sua associazione.

L’avvocato Aurora D’Agostino, interagendo anche con le argomentazioni di Paolo Cognini, ha affrontato il tema della disparità di trattamento nei giudizi, tratteggiando una giustizia a due facce e duevelocità a seconda che l’imputato sia un poliziotto, un qualsiasi cittadino, un attivista dei movimenti. Mettendo in evidenza l’evanescenza del concetto stesso di regole allorché le stesse devono riferirsi ai comportamenti delle nostre polizie, che siano o meno in funzione di ordine pubblico, e la tendenza della magistratura a trasformare le ragioni dei conflitti sociali in specifiche aggravanti volte ad appesantire condanne a pene spropositate.

Chiara Marigliano, laureanda con una tesi sul reato di tortura, ne ha raccontato il travagliato iter a partire da una determinazione Onu del lontano 1984 fino ad approdare ad un testo edulcorato ora pendente davanti all’approvazione della Camera e spogliato del suo tratto essenziale: quello che vuole i tutori dell’ordine essere i destinatari esclusivi del dettato normativo.

L’avvocato Giuseppe Romano, affrontata nel profondo la contraddizione che assegna un ruolo bipartisan alle forze politiche davanti al ritardo nell’adozione del reato di tortura, ha avuto modo di ricordare le difficoltà che sistematicamente deve affrontare il difensore allorché nel processo penale mai è dato di registrare un equilibrio tra le parti se tra di esse figura personale delle nostre polizie,che sia in veste di accusato o di accusatore.

La serata, punteggiata dal reading di Grazia Mandruzzato che ha letto alcuni brani da Una sola stella nel firmamento, libro di Patrizia Moretti sulla vicenda di suo figlio Stefano, a dall’ action painting di David Michel Fayek, si è conclusa nella messa a valore dell’azione dei movimenti in ordine ai temi in discussione e nella sottolineatura dell’insanabilità del cortocircuito tra legalità e legittimità che caratterizza la loro azione.