Sherwood Festival - Riconversione ecologica del modello di sviluppo: in Veneto è possibile?

10 / 6 / 2011

Critical Book and Wine

in collaborazione con Associazione Ya Basta e BlowBook

propongono

* giovedì 23 giugno ore 21 *

Riconversione ecologica del modello di sviluppo: in Veneto è possibile?

Ne discutono con Gianfranco Bettin e Guido Viale, a partire dal suo libro "La conversione ecologica": Matteo Ceruti (Legale Comitati Porto Tolle), Francesco Miazzi (Lasciateci Respirare – Monselice), Valter Bonan (Comitato Acqua Bene Comune - Belluno, Sandro Sabiucciu (Coordinatore SEL Mestre), Luana Zanella (Costituente ecologista).

Sono invitati attiviste/i dei comitati che difendono i beni comuni in Veneto

Riconversione ecologica del modello di sviluppo: in Veneto è possibile?

Le risorse sul Pianeta non sono inesauribili ed è quindi necessario riprogettare produzione e consumi. Questo deve avvenire però in stretto rapporto con i principi della democrazia ed il rispetto dei diritti dei lavoratori. Solo così possiamo ripensare ad una società che sia luogo di virtuosa sostenibilità.

Guido Viale nel suo saggio “La conversione ecologica”, sostiene che questa conversione debba partire direttamente dai luoghi di produzione dei beni.

Le battaglie per la difesa della salute e dell’ambiente, contro produzioni nocive ed inquinanti devono passare attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti, prospettando e ricercando in forma comune le proposte alternative.

Il liberismo e le scelte del grande capitale si dimostrano incapaci di bloccare la disastrosa deriva dei cambiamenti climatici, i limiti e la scarsa applicazione della Green Economy possono trovare la loro esemplificazione nelle devastazioni ambientali e nello sfruttamento del lavoro connessi alla produzione di bio- ovvero “agro-carburanti”.

Questo c’impone di ricercare modelli di autogoverno, come ad esempio possono essere i GAS (gruppi di acquisto solidale), che attraverso il radicamento nel territorio e la condivisione di beni, si sono dimostrati capaci di affrontare la crisi, garantendo lavoro, giusto prezzo e pari diritti. Saremo capaci di estendere e massificare queste forme di “federalismo ecologico”?

Nel dibattito dal titolo: “Riconversione ecologica del modello di sviluppo: in Veneto è possibile?” che si svolgerà giovedì 23 giugno alle ore 21 al Sherwood Festival (Critical Book and Wine - in collaborazione con Associazione Ya Basta e BlowBook ), ne discuteranno con Gianfranco Bettin e Guido Viale: Valter Bonan (Comitati Acqua bene comune), Matteo Ceruti (legale dei Comitati di Porto Tolle), Francesco Miazzi (Lasciateci Respirare – Monselice), Sandro Sabiucciu (Coordinatore SEL Mestre), Luana Zanella (Costituente ecologista).

Si partirà da una foto impietosa dei frutti prodotti dal “Modello Veneto”, dal suo polo chimico ai tassi d’inquinamento e mortalità, dalle grandi opere alla devastazione del territorio, dalla cementificazione all’installazione di centinaia di impianti a forte impatto ambientale. Ricorderemo l’alluvione dello scorso novembre che ben condensa questi aspetti con gli effetti dei cambiamenti climatici, collegati con l’incuria, la scarsa manutenzione di pompe e chiuse, il mancato escavo di fiumi e canali.

Sono infatti 161 i comuni del Veneto in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, individuati dal Ministero dell'Ambiente e dall'Unione delle Province Italiane già nel 2003, ma a peggiorare le cose ci pensa una gestione irresponsabile del territorio. Nella sola provincia di Vicenza, in 50 anni la "macchia" urbanizzata è aumentata del 342%, con un incremento di popolazione limitato al 32%. In pratica i volumi urbani della città diffusa, sono passati da 8.647 ettari a oltre 28 mila: la cementificazione è quindi quadruplicata.

Nel dossier pubblicato da Legambiente nel 2009, dal titolo "Veneto: cancellare il paesaggio", possiamo leggere: "Nel 2004, con la nuova legge regionale urbanistica, i Comuni autorizzano 38 milioni di metri cubi di nuovi capannoni commerciali e 18 milioni di volumetrie residenziali, superando la media di 40 milioni di nuovi fabbricati realizzati annualmente nel Veneto dal 2001 a oggi". Per Tiziano Tempesta, del Dipartimento territorio e sistemi agroforestali dell'Università di Padova: "Le abitazioni costruite dal 2000 al 2004 sono in grado di alloggiare 600 mila nuovi abitanti. Anche se rimanessero costanti i tassi d'incremento demografico alimentati dagli immigrati, ci vorrebbero 15 anni per utilizzare tutte le case". Per i dati Istat, tra 1978 e 1985 ogni anno nel Veneto sono stati edificati quasi 11 milioni di metri cubi di capannoni. Dal 1986 al 1993 sono stati oltre 18 milioni all'anno per poi salire negli anni successivi a oltre 20 milioni. Con un salto dal 2000: 27 milioni nel 2001, 38 nel 2002 e così via. Per le abitazioni, negli anni '80 e '90 venivano rilasciate concessioni edilizie pari a 9-10 milioni di metri cubi anno. Nel 2002 oltre 14, nel 2003 quasi 16, nel 2004 oltre 17. Nel solo Comune di Padova si sono trasformati oltre 4,7 milioni di metri quadri di aree destinate a verde pubblico in aree di perequazione, delegando ai privati le nuove lottizzazioni in cambio di spezzatini verdi. Cinque anni fa in Regione sono state protocollate 1.276 varianti urbanistiche (+220% rispetto alla media degli anni precedenti). Si appoggiavano a 389 piani di riqualificazione urbanistica e ambientale attuati nel biennio 2005-2006: la soluzione più semplice per costruire. In provincia di Padova, in vent'anni la superficie agraria è diminuita del 20%, in quella di Treviso del 30%, in quella di Vicenza, epicentro dell'emergenza, del 40%.

Un esperto ha calcolato che lo scavo e la manutenzione dei nostri fiumi e canali sarebbe costato un miliardo di euro, molto meno dei danni provocati da questo ciclo di alluvioni, che però ora rischiamo si ripetano.

Perché non si è fatto? Purtroppo la costruzione di canali e idrovore non ha lo stesso impatto, sia politico che mediatico, di altre grandi opere. Perché scavare un canale non da visibilità politica. Meglio strade, rotonde e servizi per i centri commerciali. Meglio la camionabile che l'idrovia. Solo in queste occasioni ci accorgiamo di quanto sia indispensabile. Da decenni a questa parte si è dato corda a un ultraliberismo più incline ai profitti di una minoranza che al rispetto del nostro ambiente comune. E su questa strada sembra si intenda continuare, dai progetti di Veneto City nel mirese al cosiddetto Quadrante di Tessera alla folle ipotesi di un nuovo porto nel cuore della laguna in località Giare/Dogaletto.

E' evidente che si registra il bisogno, non da ora, di un cambio d'indirizzo nella gestione dell'ambiente e del territorio, che si rende necessario il passaggio da una cultura del profitto a una cultura dei bisogni della collettività. Bisogni che magari non portano né tangenti né voti, ma di certo possono produrre uno sviluppo in grado di consegnare alle generazioni future un ambiente di qualità, almeno uguale a quello che noi abbiamo ricevuto dalla generazione precedente.

Verranno toccati i punti di maggior contraddizione, balzati nella cronaca nazionale di questi giorni, come la riconversione della centrale di Porto Tolle e il revamping di Italcementi a Monselice, entrambi in area Parco, entrambi con il comun denominatore dell’aspra contraddizione tra ambiente e lavoro, salute e reddito, tra interesse particolare e generale.

Contraddizione che nella vicenda quasi secolare di Porto Marghera ha prodotto forse il punto massimo di conflitto tra ambiente e lavoro e salute umana, da un lato, e modello produttivo, dall'altro, nella nostra regione. Ancora oggi questa contraddizione si sviluppa con gli effetti che un abbandono non guidato del territorio da parte delle grandi imprese, che lo hanno a lungo sfruttato indiscriminatamente, scarica sulla società e sull'economia locali, non meno che su un ambiente lasciato alla mercé della pesante eredità di quel modello. Si pensi all’rrisolta questione delle bonifiche, che la fuga delle aziende e la latitanza delle istituzioni centrali (che a suo tempo si erano arrogate il potere di decidere centralmente sugli interventi nelle aree contaminate) rendono drammatica, generando l'angosciosa illusione che non vi siano alternative possibili. Illusione, infatti, sia pure angosciante, è quella prodotta dalla impossibilità di mostrare la prospettiva della riconversione, in realtà praticabilissima, anche se spesso le stesse organizzazioni sindacali tradizionali non riescono nemmeno a ipotizzarla, se non all'interno della stessa prospettiva legata alla chimica di base che ha portato alla crisi attuale. E' nostro compito urgente mostrare che questa diversa prospettiva si può aprire, impianto per impianto, stabilimento per stabilimento.

Il confronto sarà l’occasione per riaffermare la presenza di una rete consolidata dei GAS, della ricchezza di competenze cresciuta nei comitati e nelle associazioni ambientaliste, della capacità di queste realtà di sforzarsi sempre nella ricerca di soluzioni e percorsi alternativi, ma anche di rappresentare più complessivamente la domanda di cambiamento radicale, partecipato e autodiretto che questi mesi di felici mobilitazioni generali hanno visto alzarsi in tutto il paese e anche nei nostri territori, fino alla vittoria dei referendum.

Cercando di rispondere alla domanda posta nel titolo del dibattito, si metteranno le premesse per affrontare questa sfida alla quale nessuno potrà sottrarsi . Per questo le/gli attiviste/i dei comitati che difendono i beni comuni in Veneto, sono inviate/i a partecipare e a portare il loro contributo alla discussione.

Intervista a Francesco Miazzi

Presentazione libro "La conversione ecologica" di Guido Viale

Sherwood Festival - Intervista con Francesco Miazzi