Storie dentro e oltre i muri

Il report del quarto appuntamento di Sherwood Open Minds allo Sherwood Festival

24 / 6 / 2018

«Coltivavo patate e ora coltivo migranti. E' molto più remunerativo». Perché questo sono i profughi: una merce. Una merce come tante altre. Raffaello Rossini, documentarista e regista, tra le altre cose, del documentario dal significativo titolo La merce siamo noi, ricorda così le testimonianze dei contadini della valle della Bekaa, a una trentina di chilometri da Beirut, che affittano i loro terreni alle famiglie siriane che fuggono dalla guerra.

«La valle è coperta di tendopoli dove i profughi siriani, nell'indifferenza più completa del governo libanese, si sforzano di tenere una vita il più possibile normale. Pagano affitti altissimi sia per la terra che occupano che per le tende e i materiali che utilizzano. Sono anche una forza lavoro non indifferente perché, per non essere sfrattati, finiscono per lavorare a bassissimo costo nei campi che circondano le loro tendopoli. Nessuno può dire quanti sono perché il governo libanese ha vietato altri censimento da parte dell'Unhcr, dopo aver raggiunto la cifra di un milione e mezzo di rifugiati, un paio di anni fa. Nessuno dà loro nulla, né assistenza sanitaria, né scuole. E' gente che non esiste. Gente che non altro futuro se non non quello di morire in silenzio, coltivando il sogno, sempre più impossibile, di ritornare un giorno nella loro terra distrutta».

Raffaello Rossini ha portato la sua testimonianza all'incontro di Sherwood Open Minds, svoltosi giovedì 21 giugno aSherwood Festival. Il tema dell'incontro era "Storie dentro e oltre i muri. Sui sentieri dei migranti verso l'Europa e gli Stati Uniti". Un titolo che ben riassume il percorso che movimenti e associazioni hanno intrapreso qualche anno fa, con le prime carovane in Ungheria. Un lungo viaggio che è stato chiamato OverTheFortress, oltre la fortezza. Un lungo viaggio ancora tutto da concludere che ha l'obiettivo di raccogliere storie e costruire narrazioni migranti, per non rassegnarsi ai linguaggi dell'odio e della disinformazione oggi imperanti, per costruire campagne e iniziative di sostegno, e per "mettere benzina" nei motori di tutti i movimenti che, in Italia come all'estero, continuano a lottare per i diritti umani, contro un capitalismo che, ogni giorno che passa, somiglia sempre di più a una rapina a mano armata.

Al dibattito, coordinato da chi scrive, è intervenuta Marta Peradotto, portavoce di Carovane Migranti, che ha raccontato degli incontri in Tunisia, in occasione della quarta carovana per i diritti dei migranti, con le madri e dei padri degli scomparsi in mare. «Impossibile non tracciare un parallelo tra i migranti dispersi nel Mediterraneo con i migranti che scompaiono, o meglio, che sono fatti scomparire, nella frontiera tra Usa e Messico. Abbiamo assistito a vari incontri tra le madri centroamericane e quelle tunisine. Tutte hanno ribadito che è venuto il momento di passare dalla lacrime alla lotta, perché non accada ai figli di altre madri quello che è successo ai loro figli».

A chiudere l'incontro, Matteo De Checchi del collettivo Mamadou che costruisce spazi comuni in una zona di vera frontiera con la legalità come Rosarno. Matteo ha parlato del muro invisibile che abbiamo a casa nostra. Quel muro che vorrebbe impedirci e, soprattutto, di farci indignare per lo sfruttamento cui sono sottoposti i migrati, schiavizzati come braccianti a pochi ero l'ora. «Una responsabilità che non può essere limitata ai padroni dei campi o al caporalato, ma che si interseca anche con la grande distribuzione e coinvolge direttamente le amministrazioni e la politica». Quella stessa politica che preferisce nutrirsi di insulti e di richiami a emergenze che non ci sono, per distrarre l'opinione pubblica su questioni assai più pericolose come le infiltrazioni mafiose nei Comuni e nelle amministrazioni regionali. Quella stessa politica che ha fatto dei migranti una merce e che ha innalzato quei muri che non saranno né un freno né una soluzione, quanto piuttosto una concausa del problema.