Strega, Libri e televisione

Utente: chicca
8 / 7 / 2013

Sono uno dei 590 mila spettatori che, secondo l’Auditel, hanno guardato la premiazione dello "Strega" in televisione. Vi giuro, ho fatto del mio meglio per alzare gli ascolti trascinando altre tre amici davanti allo schermo, ma dopo pochi minuti hanno rinunciato. E lo hanno fatto pur essendo forti lettori, generalmente nottambuli e amanti della compagnia catodica. Dovevate sentire i commenti, andavano da: “che cos’è sta schifezza?”, a “che palle”, e a poco sono servite le mie spiegazioni sull’importanza dell’evento e dei convenuti. Vedete, la diretta dello "Strega" è un singolare paradosso: in un mondo dove gli spettatori sono più dei lettori, lo Strega riesce a ribaltare i numeri: ci sono stati più lettori dei libri dei cinque finalisti – sommando le copie - che spettatori da casa. Volete sapere perché? Semplice: la trasmissione è orrenda. Orrenda perché invece di mostrare la finale del premio più importante della letteratura italiana – lasciamo perdere in questa sede i giudizi di valore sul premio medesimo e sui premi in generale – davanti alla telecamere sembra la sagra del trombone con tutti, o quasi, che si parlano addosso. Orrenda perché non riesce a trasmettere un minimo di tensione sull’esito finale – ce n’è di più aspettando il punteggio del curling – e lo snocciolare di numeri passa sullo sfondo come un brusio. Orrenda perché i presentatori, sembrano interessati solo a carpire l’ultimo pettegolezzo e a fare la conta degli intervenuti illustri. Un po’ come se durante la notte degli Oscar la diretta si fermasse sul Red Carpet, senza vedere quello che accade dentro.

Il risultato è una trasmissione che interessa solo gli addetti ai lavori, che sperano sempre di vedere un collega che fa ciao alla telecamera. O che si strozza con un salatino.

Certo, parlare di libri in televisione è difficile, i due mezzi si elidono un po’ a vicenda. L’unica strada che per ora ha funzionato in Italia è stata quella fondata dal "Maurizio Costanzo Show," poi declinata in versione colta da Fabio Fazio e hipster dalle "Invasioni Barbariche" di Daria Bignardi: più che sul libro si punta sull’autore, che deve essere fortemente personaggio. Tutto ruota perciò attorno a lui, alla sua capacità di intrattenere, di trasformarsi - anche solo per pochi minuti - in un guru o in un caso umano.

La seconda strada è quella dello "Strega": il cinegiornale "Luce" capace di far crescere la barba anche a una palla da bowling.

Ora, siccome i primi funzionano alla grande – ma li guardo poco - mentre lo Strega no – e lo guardo sempre - mi permetto di dare qualche piccolo suggerimento per l’anno prossimo. Sostanzialmente a mio beneficio.

  1. 1) Trovare un conduttore capace di intrattenere davvero, sia il pubblico presente che quello a casa, senza separarli. Questo significa creare un pubblico vero, che ascolta quello che succede, magari trasferendo parte della cerimonia in un teatro. Dove i presenti sentono quelli che parlano - cosa che non accade ovviamente durante la cerimonia al Ninfeo - dove vi può essere uno scambio, un applauso, una battuta. E’ vero, si farebbe spettacolo. Ma lo spettacolo non è sinonimo di idiozia, almeno nel resto del mondo.

  2. 2) Eliminare il padrinaggio, ovvero l’autore che si fa intervistare accompagnato da un venerato critico che dice: questo libro è il migliore, di solito in quattro battute, senza andare a fondo. Serve? A che cosa? A chi? Siamo alle finali, non certo alle eliminatorie. Si da per scontato che il libro che arriva lì sia buono. Meglio una scheda preparata con un filmato allora, con un succo del pensiero del critico sull’opera in questione. E magari un booktrailer o un filmatino. Siamo in televisione, non in un’aula universitaria.

  3. 3) Dare la possibilità a chi guarda da casa di fare domande agli autori: via twitter, email, sms. Magari sono sceme, ma magari sono meno saccenti di quelle di molti intervistatori. Comunque, si possono sempre filtrare.

  4. 4) Se proprio proprio vogliamo tenere le interviste singole, evitare di farle così scaglionate, con gli ultimi che vengono chiamati in causa quando si è alle battute finali della votazione. Se stanno vincendo vorrebbero essere con i loro editori a ballare, se stanno perdendo andrebbero volentieri a farsi un cicchetto, anche perché sanno benissimo che quello che dicono non interessa a nessuno.

  5. 5) Per l’amor di Dio, basta attori che leggono i brani. Anche i migliori, come l’attrice che ha recitato l’ultima volta, riducono tutto a una marmellata enfatica. Gli attori non riescono a leggere mai, e dico mai, la pagina di un libro con l’intonazione corretta, a meno che non si preparino a fondo sul testo e di solito non riescono a farlo.

Insomma, nonostante la polemiche che ci sono ogni anno, non vorrei cambiarne il sistema di votazione o di scelta dello Strega, e nemmeno il comitato che lo gestisce e che fa ovviamente un lavoro egregio da parecchio tempo, e tantomeno abolirlo. Lo Strega – so di andare controcorrente - mi piace. Mi piace che esista e ci sia, mi piace che a mettere il bollo sul libro dell’anno sia il liquore che mettevo sul gelato da bambino, mi piace che alcuni colleghi che rispetto molto lo abbiano vinto e che uno che detesto lo abbia perso. Ma vorrei che avesse un’aria meno da ballo di corte, meno da “siamo tra noi e siamo fighissimi”, meno da club esclusivo. Più popolare, ecco. Come credo dovrebbe essere la letteratura.

Lo so, ho detto un’eresia.

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