Sull'energia e sulla crisi di GMDP

Capitolo terzo common e-book "Verso Cancun: cambiare il sistema non il clima - Teorie e pratiche per la giustizia climatica"

15 / 9 / 2010

Secrets hide their lies/ inside hidden allibies.
Don't let it take the fight outta you

(B. Harper)

Toothpaste and soap will make our oceans a bubble bath/ So let's avoid an ecologic aftermath

(The Beach Boys)

Non possiamo produrre frigoriferi, automobili o aerei a reazione migliori e più grandi

senza produrre anche rifiuti migliori e più grandi

(N. Georgescu-Roegen)

Chiunque di noi quando apre un giornale, lancia Mozilla, sfoglia una rivista, insomma comunica e vive nei flussi di vita contemporanei ha la sensazione di essere sospeso tra un non più ed un non ancora. É una sensazione complessa che deriva dalla difficoltà di fare sintesi degli input che riceviamo. La realtà appare davvero effervescente, ma anche tremenda e feroce, ricca di conflitti e di lotte, spesso non in accordo con una prospettiva progressista o rivoluzionaria, che si intersecano tra loro.

Così, a chi cerca il nuovo punto di applicazione della forza, il punto di appoggio della leva per cambiare lo stato di cose presenti, a chi si si immerge nel presente senza rifiutarlo, allora, a colui che fa questo, le vecchie regole e modelli appaiono un bel po' spuntati.

E davvero poco utili, a volte veri e propri pesanti fardelli e non agili grimaldelli da portare con sé in un'efficace cassetta degli attrezzi per sovvertire il contemporaneo.

Ma se questo è, allora spetta a tutti noi buttarsi a capofitto nel presente, nel contemporaneo; immergersi insomma, come nuovi curiosi ricercatori nelle linee di tendenza del capitalismo post democratico, ovvero del nuovo regime di accumulazione capitalistica che, nella sua crisi globale e tremenda, tende al superamento del suo rapporto preferenziale con la forma stato borghese liberale1. Nuovi paradigmi ci aspettano, tendenze nelle quali le vecchie leggi del valore, dell'equilibrio, della formazione dei prezzi non sono aggiornabili, i modelli sulla circolazione e le equazioni classiche sono inefficaci, le previsioni meccanicisticamente derivate da una sorta di fede nelle idee – quanto di più distante vi possa essere dal materialismo- sono senza icone.

L'obiettivo di questo scritto è di ritornare sulla “caduta delle leggi classiche” e dei relativi modelli predittivi – e prescrittivi-, portando ad evidenza il legame profondo che lavoro ed energia hanno avuto nella letteratura classica e quali grandi spazi di movimento abitino la crisi dello sviluppo capitalistico.

Inoltre, cercheremo, per quanto nelle nostre possibilità e nei limiti dello spazio che abbiamo, di tracciare alcune linee di ricerca sui nuovi paradigmi che sembrano affermarsi non solo nel frenetico ed egemone Far East, ma anche alle latitudini del vecchio Western World.

La corrispondenza classica tra gestione dell'energia ed organizzazione del lavoro.

Non può esistere nessuna macchina che produca lavoro senza consumare energia.

Una simile macchina, se esistesse, produrrebbe infatti il cosiddetto moto perpetuo di prima specie

(Primo principio della termodinamica)

E' impossibile costruire una macchina ciclica che operi producendo lavoro a spese del calore sottratto a una sola sorgente. Quest'ultima limitazione nega la possibilità di realizzare il cosiddetto moto perpetuo di seconda specie.

(Secondo principio della termodinamica nell'enunciato di Lord Kelvin)

Lavoro ed energia sono stati trattati dai classici in modo simile.

Si pensi, ad esempio, che essi si misurano a partire da una stessa unità: il joule2che equivale al lavoro richiesto per sollevare una massa di 102 grammi per un metro, opponendosi alla forza di gravità terrestre. Il joule, dunque, è l’equivalente generale delle categorie enegia3, lavoro e calore.

Allo stesso modo, si ammise la convertibilità dell'uno nell'altro e dell'altro nell'uno. Non solo: se ne assume la perfetta conservazione in un sistema chiuso, ovvero laddove si isoli il sistema, là, ciò che viene lavorato, viene accumulato in energia o goduto in calore.

In modo diverso, ma convergente, i classici derivano dai loro postulati il teorema della conservazione dell'energia, secondo il quale non si può produrre energia, ma solo trasformarla da un tipo, con una qualità, ad un altro, con una qualità differente.

Come lemma si ottenne, da un lato, che la quantità totale di energia di un sistema isolato è una costante, dall'altro, l’equivalenzacioèla fisica classica assunse l’equivalenza di lavoro (i.e. fatica, lavoro vivo) ed energia (i.e. fatica accumulata, energia potenziale)4.

Questa reversibilità è perfetta: dell’uno verso l’altro e viceversa, pertanto il lavoro – ma anche l'energia- è senza storia5. Non è poco, anzi. Nella seconda metà del XX secolo l'economista Georgescu- Roegen6 fece osservare che anche leggi economiche, di cui poi parleremo, escludono l'irreversibilità del tempo, ignorando, al pari della fisica, l'irreversibilità delle trasformazioni energetiche e della materia. Similarmente ad una trasformazione che avvenga all'interno della biosfera, infatti, il processo economico è di natura entropica ed è unidirezionale, cioè non reversibile e quindi per sé stesso limitato, finito, non grande a piacere.

Torniamo al filo iniziale del nostro ragionamento; e' interessante ripercorrere l'euristica che sta alla base del comandamento universale della perfetta conservazione e reversibilità e dalle implicazioni politiche enormi, la cui importanza è tale da condizionare tutti gli impianti industriali e di trasformazione dell'energia moderna, ma anche l'organizzazione del lavoro e l'economia politica come cercheremo di evidenziare nei prossimi paragrafi.

L'assunto cruciale è descrivere un mondo nel quale ogni elemento esterno alla legge razionale è accidente. Questo accidente lo troverete chiamato attrito, dispersione del calore, sistema non perfettamente chiuso ed isolato, ma nella sostanza per la nostra osservazione cambia poco; ciò che avviene è che nella formulazione delle legge classiche della meccanica e della termodinamica viene costruito un perfetto meccanismo teorico, organico e congruente al suo interno e che ha l'enorme potenza di essere predittivo (e prescrittivo) dei sistemi, cioè in grado di diventare l'abbecedario di ogni perito, ingegnere, capitano d'industria nella seconda rivoluzione industriale.

Potremmo azzardare che la formidabile potenza del sistema di leggi classico della termodinamica è dovuto anche alla loro capacità di essere il castello teorico del capitalismo industriale7.

Leggi chiare, equilibri generali, modelli predittivi in un mondo chiaro ed evidente alla razionalità collettiva di parte capitalistica. Chi si oppone è un arretrato conservatore romantico o un delinquente anarchico8. Questa tendenza all'idealismo, alla produzione di un iperuranio di leggi perfette e tra loro armoniche è la cifra di questo classicismo.

Facciamo un salto in un altro campo del sapere. Intorno alla fine del XIX Alfred Marshall mette a sistema in maniera coerente i concetti di domanda e offerta, utilità marginale e costo della produzione applicando al mercato gli studi di Smith, Ricardo e dei fondamentali dell'economia classica, ricavandone le leggi dell'equilibrio e del comportamento economico.

Anche in questo caso viene utilizzato il metodo euristico di astrazione del modello dalla contingenza materiale, dalla storicità determinata dell'analisi: ogni elemento concreto che si oppone con evidenza alla riduzione del modello (neo)classico marshalliano viene deriso9 o (politicamente) occultato in accidente fino ad arrivare ad un teorema generale la cui capacità predittiva sull'impianto industriale è cruciale.

Se si utilizza il “sapere progettare” termodinamico ed il “saper predire” economico si ha, in nuce, tutto quanto serve per progettare, costruire e far funzionare un impianto industriale moderno, nella concezione che fu chiamata più tardi “fordista”.

Questo mondo perfetto e dalle legge armoniche, dalle quali ogni limite o incongruenza fu espulsa come primitiva ed ostile allo spirito civilizzatore “positivista”, è diventato intanto il modello dominante in tutto in mondo capitalistico: grandi impianti industriali che mirano al costo unitario minimo all'interno di una rete di distribuzione mirata di risorsa energetica, trasformata in grandi centrali termo ed idroelettriche collocate baricentricamente rispetto all'esigenza industriale.

Si persegue l'economia di scala, la pianificazione a lungo termine nella quale lo scenario è linearizzato e l'incertezza sono abolite a priori.

La dorsale energetica ricalca l'organizzazione dei plants industriali e viene organizzata secondo un modello hub & spoke: una centrale unica contiene l'intelligenza del piano e coordina i nodi produttivi o distributivi territoriali vicini alle esigenze industriali.

La democrazia industriale? C'è nei termini che il miglior punto di funzionamento degli impianti è matematicamente predicibile autonomamente all'interno del modello; colui -e solo colui- che ne conosce le regole, può avocare a sé il bastone del comando e setta le regole.

La democrazia è quella del lavoro salariato, dell'operaio che diviene massa; come avvenne per impianto realizzato dal Conte Volpi in Venezia, solo chi ha le chiavi del modello può governare l'interesse generale.

Come, dove e perchè realizzare Porto Marghera prescinde ed astrae dalla socializzazione della discussione ed è avocato a sé dal padrone del vapore.

Gli impianti industriali ed energetici vivono con leggi comuni e sono amministrati con metodi comuni: sono le due facce di una scienza che è diventata fino in fondo economica, “coperta ed

allineata” all'accumulazione di capitale.

Per quasi un secolo il Western World seguirà questo paradigma.

Per una critica contemporanea alla issue energetica

Il limite, ovvero l'impossibilità del sistema sempre più ampio

We're not scaremongering. This is really happening

(Radiohead)

Tutti coloro che, a sinistra, si rifiutano di affrontare la questione di una equità senza crescita dimostrano che per loro il socialismo è soltanto la continuazione con altri mezzi dei rapporti sociali e della civiltà capitalistici

(A.Gorz)

Ora che abbiamo scorso la genealogia della relazione tra gestione dell'energia ed organizzazione del lavoro, possiamo recuperare l'ex ergo di questa nota.

Anche grazie alla lotta dei trent'anni dell'operaio sociale si è frantumata l'organizzazione del lavoro fordista e si è migrati da un lato verso un nuovo paradigma produttivo che pone al centro l'intelligenza collettiva ed il bios, dall'altro una nuova divisione internazionale del lavoro che annuncia, forse, la fine dell'egemonia occidentale, ed in particolare americana, ed colloca il nuovo baricentro a levante.

Laddove vi fu pianificazione, centralizzazione dell'intelligenza di piano, gerarchia di fabbrica, operaio massa, prevalenza del volume, è seguito il divenire sociale della fabbrica, immaterialità nella produzione di valore, rottura della gerarchia e parziale autonomia del lavoro in rete.

Un cambiamento radicalissimo per contenuti, potenza applicata, tensioni sviluppate.

Le lotte e lo sviluppo

Il ciclo dell'innovazione venne descritta secondo il paradigma della crisi e dello sviluppo10, per il quale ad un ciclo di lotte segue una crisi di parte capitalistica con (con)seguente processo di innovazione che si stabilizza in nuovo punto di equilibrio generale.

Il ciclo è solo apparentemente lineare. Esso invece è elicoidale, per cui ogni nuova torsione comporta un’estensione del perimetro della lotta, della crisi e, infine, della valorizzazione su un insieme più ampio o di qualità più intensa. Da questo movimento dialettico è derivato uno sfruttamento sempre più esteso, fino alla sussunzione totale11 del lavoro al capitale.

La crisi degli anni settanta ha portato allo sfruttamento dell’intera vita ed alla globalizzazione cioè all'estensione complessiva dei processi di accumulazione dal punto di vista geografico.

Se proviamo ad applicare questo modello alla crisi di sviluppo in corso ne vediamo i limiti.

A noi pare che non esista un sistema sempre e comunque più ampio, senza un perimetro esterno ed un limite di compatibilità interno, che permetta l'estensione infinita12 della relazione dialettica tra lotte e sviluppo, che sposti sempre più in avanti il confine della valorizzazione e la sua intensità e, come duale, continui il progressivo percorso di liberazione di classe.

Non è garantita la possibilità di collocarsi su di un insieme comunque più ampio, ma esso è chiuso (i.e. non c’è più un fuori) ed emerge un limite interno, non artificioso13; anche per questo il modello “equilibrio/ lotte/ crisi / innovazione/ equilibrio” non riesce ad interpretare la corrente crisi dello sviluppo capitalista14 e, forse, limita la costruzione dell'immaginario comune di “uscita a sinistra dalla crisi”.

Una comune energia

And you think you have to want more than you need

Until you have it all, you won't be free

Society, you're a crazy breed

(Pearl Jam)

Se osserviamo cosa è avvenuto nel campo dell'energia noteremo che, rispetto a quanto occorso alla forma lavoro, sono occorsi cambiamenti molto più limitati che non hanno mai messo in discussione l'organizzazione della trasformazione energetica e della sua distribuzione.

Forse questo è avvenuto anche perchè i movimenti del XX secolo, anche i più audaci, non misero la questione energetica, e la generale crisi climatica, se non come obbiettivo minore della propria agenda di lotta.

Appare compiuto un disequilibrio tra la nuova forma-lavoro, la sua organizzazione produttiva e la gestione dell'energia, che ci permette di provare ad ipotizzare alcune tendenze di sviluppo, intorno alle quali ci sono importanti spazi per una critica radicale non solo allo sviluppo, ma proprio alla sua crisi ed, evidentemente, grandi opportunità di movimento.

Il punto cardine che vorrei evidenziare è che è finalmente immaginabile un modello decentrato ed indipendente per l'energia.

Intendo con decentrata un'organizzazione in rete, federativa e distribuita della trasformazione energetica e della sua distribuzione, che migri da hub&spoke a peer to peer, laddove questo significhi valorizzazione della vicinanza con le esigenze territoriali, il superamento della dittatura del costo unitario minimo e dell'utilità marginale, il rifiuto del comando astratto dalle esigenze collettive di perseguimento del benessere.

Anzi, la sfida potrebbe essere proprio di portare la determinazione del punto di equilibrio economico al di fuori degli assi cartesiani del mercato capitalistico.

Così come il capitalista collettivo avocò a sé le chiavi del comando, così ora si tratta di riprendersi una professionalità energetica, un savoir fair della sua gestione.

Se osserviamo come viene approcciata l'opzione delle “energie rinnovabili”, possiamo vedere che -quasi sempre e quasi ovunque- vengono progettate mega centrali eoliche, mega centrali solari e nei paesi ad altissimo “sviluppo” come Brasile, Cina ed India mega centrali idro-elettriche o monocolture intensive di biocarburante; l'ordine di grandezza ed i criteri di gestione e di valutazione del massimo utile economico sono molto simili a quelli utilizzati nel ciclo del combustibile fossile.

Per questo, a mio parere e dopo aver assunto che l'era del combustibile fossile deve finire, la critica va rivolta non solo a quale energia trasformare, ma anche a come e perchè e l'autonomia energetica locale può definire l'orizzonte di sperimentazione.

La risposta al sistema capitalistico non è dunque né il ritorno all'economia domestica e all'autarchia del villaggi, né la socializzazione integrale e pianificata di tutte le attività: essa consiste al contrario nel socializzare la sola sfera della necessità al fine di ridurre al minimo, nella vita di ognuno, ciò che è necessario fare, che ci piaccia o meno,

e di estendere al massimo la sfera della libertà,

cioè delle attività autonome, collettive o individuali, che hanno il loro fine in sé stesse.

(A.Gorz)

Da qualche anno la trasformazione termonucleare viene suggerita come l'alternativa al consumo inquinante e limitato del combustibile fossile15.

Nonostante i molteplici gravissimi incidenti le agenzie politiche sono bipartisan nella pianificazione di nuove centrali nucleari, perchè si è raggiunto il peak oil16, si è nel pieno della drammatica crisi climatica e si è obbligati a guardare ad altre fonti energetiche.

A me sembra che essa sia il colpo di coda della vecchia corrispondenza paradigmatica tra (sfruttamento del) lavoro ed (gestione capitalistica della risorsa) energia, che, di fronte alla crisi climatica, prova a ricollocare ad un piano più alto l'equilibrio per mantenerne inalterato l'assetto.

Si vuole difendere l'infrastruttura dell'economia ad alto consumo energetico dei combustibili fossili tentando di preservarla con sostituti quali l'energia nucleare ed i biocarburanti.

Non è questo il contributo adatto per una critica tecnica alla terrificante ipotesi nucleare, ma voglio solo sottolineare che essa non è né un'alternativa pulitaeconomica.

Essa viene presentata come “pulita” perchè non libera anidride carbonica direttamente in atmosfera, ma non è tale, perchè l'estrazione dell'uranio è inquinante, come lo è la sua conversione ed arricchimento, che avviene attraverso composti alogenati, vale a dire gas serra 10.000 volte più potenti dell'anidride carbonica, e la gestione dei suoi residui. Considerando tutti questi fattori la risorsa nucleare è anche antieconomica e solo la sovvenzione pubblica, unita alla falsa contabilità, la rende conveniente.

Laddove si può decentralizzare, autonomizzare, federare, distribuire si propone di semplificare, ordinare, gerarchizzare saperi e pratiche17.

Di tutt'altro esito è avvicinare la gestione dell'energia pensandola come un insieme plurale e comunitario di dispositivi più orizzontali che verticali, nei quali l'indipendenza e la sua gestione come bene comune naturale siano le coordinate di riferimento.

Poco tempo fa Vandana Shiva18 ha scritto che “la soluzione al caos climatico non è il cambiamento delle fonti energetiche, dal combustibile fossile al nucleare, ai biocombustibili e alle grandi centrali idroelettriche. La soluzione è il cambiamento del modello. […] Perseguire la crescita economica mentre l'ecosistema crolla è un segno di stupidità, non di saggezza. La Democrazia della Terra inizia e finisce con le leggi di Gaia: rinnovabilità, conservazione, entropia e diversità. La soluzione al cambiamento climatico inizia con le culture e le comunità che non vi hanno contribuito”.

La definizione di indipendenza non avviene su base territoriale, ma secondo gli interessi liberi dall'esigenza di valorizzazione capitalistica e sopratutto liberi da dispositivi di direzione esogeni ed astratti dal valore d'uso energetico.

Se ci è concesso, le qualità della composizione tecnica di classe contemporanea evocano una gestione dell'energia leggera e furba (lean), non più basata sull'ipertrofia del ferro, del cemento armato e del combustibile fossile.

Secondo questa prospettiva diviene evidente la modernità e la suggestione che possiede la categoria di produzione autonoma19, cioè la gestione autonoma ed indipendente della risorsa energetica, nella quale si riflettano le nuove qualità del lavoro vivo contemporaneo e l'egemonia del comune che appare il tratto fondamentale della composizione politica di classe contemporanea.

Usando le parole di Shiva: “un processo decisionale democratico comunitario è il sistema più opportuno per determinare una combinazione più vantaggiosa tra il fabbisogno energetico e le esigenze dei villaggi”.

Le modalità e le finalità del processo di accumulazione capitalista non variano nelle formule della green economy e se il sistema energivoro resta tale, il fatto che cambi la "fonte energetica", non modifica le regole del gioco.

Si tratta di imporre il system change, come reclamano i movimenti per la giustizia climatica, non solo la moderazione climatica ed energetica, anche perchè è impossibile temperare i consumi rimanendo all'interno delle prospettive dello sviluppo capitalistico.

L'invito è a guardare oltre ed a mettere in opera un percorso di sperimentazione profondissimo e difficile, ma a me sembra che, se stiamo ancorati agli schemi del passato, rischiamo di essere poco efficaci e continueremo ad avere quella sensazione di inadeguatezza da cui prende origine questa nota.

Dovremmo, forse, essere moderni acrobati nella crisi dello sviluppo capitalistico. Ed ogni acrobata è davvero tale se e solo se vola libero e senza rete in un esercizio originale ed autonomo. Rivoluzionario.

1Vogliamo qui riferirci al tendenziale esaurimento della centralità politica del modello occidentale ed anglosassone caratterizzato dal connubio tra economia capitalistica e democrazia parlamentare liberale ed all'emergere, plurale, di nuovi paradigmi governamentali nel western world ed alla stupefacente associazione,di successo, tra democrazia cinese e le performance della sua fabbrica totale. Un esempio, quest'ultimo, cui guardano con interesse di parte anche alcuni leaders delle confederazioni industriali europee.

2James Prescott Joule formulò l'equivalenza meccanica del calore nel XIX secolo.

3Si noti che la parola energia deriva dal greco ergon, capacità di agire.

4Nel Marx del Capitale la "misura immanente" del valore è quella che risulta dal tempo di lavoro socialmente necessario, cioè di lavoro che è necessario per produrre quella merce nelle condizioni tecniche storicamente prevalenti e col grado sociale medio di abilità e intensità. La "misura fenomenica", esterna, del valore è invece quella derivante dal denaro, quale rappresentante (equivalente) generale della ricchezza e del lavoro astratto.

5Questo non vale per Marx, naturalmente, che, nel Capitale, scrive che l'esistenza stessa della forza lavoro ricapitola un'intera storia universale.

6Georgescu-Roegen N., 1998, Energia e miti economici, Bollati Boringhieri.

7Einstein scrive la teoria della relatività ristretta nel 1905 e la generale del 1916, ma esse ebbero il loro enorme impatto solo successivamente ed in campi anche differenti.

8I principi di conservazione e perfetta trasformazione, naturalmente, non sono validi se non in un mondo idealistico. L’equivalenza non è a costo zero e la reversibilità è vera solo a patto di degradare la qualità dell’energia detta anche exergia.

9Si pensi a quando sia difficile da accettare il comportamento economico dell'utilità marginale. O a come si possa obiettare ad un equilibrio economico in cui domanda ed offerta si incontrino placidamente ed armonicamente in uno scenario di perfetta concorrenza e democrazia informativa bidirezionale.

10Sulla categoria di sviluppo andrebbe aperto un intero capitolo a sé, per discuterne la problematicità. Sviluppo è un concetto etnocentrico ed etnocida, che si è imposto attraverso la violenta combinata di colonizzazione ed immaginario imperialista. E, d'altra parte, come scrisse Latouche, “se la crescita producesse automaticamente il benessere, dovremmo vivere in un vero paradiso da tempi immemorabili. E invece e l'inferno che ci minaccia” (Latouche, A., 2008, Breve trattato sulla descrescita serena, Bolllati Boringhieri.

11Fumagalli, A., 2007, Bioeconomia e capitalismo e cognitivo, Carocci

12Letteralmente “senza fine”.

13Già nel 1972 il Club di Roma pubblicò il dibattutissimo “Rapporto sui limiti dello sviluppo” o “Rapporto Meadows” in cui si predisse che la crescita economica non potesse continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta.

14Per inciso la ripresa dalla crisi appare distruttiva con produzione di disoccupazione, di esternalità negative e con una centralità politica della rendita. Emerge con sempre maggiore forza la necessità politica di mettere in discussione la qualità dello sviluppo ed cui prodest.

Serge Latouche scrive: “L'alternativa allo sviluppo, al Sud come al Nord, non può essere dunque un impossibile ritorno indietro né un modello uniforme di acrescita imposto. Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, deve essere necessariamente una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Per affrontare questa sfida, è lecito scommettere sulla grande ricchezza dell'invenzione sociale, una volta che la creatività e l'ingegnosità si siano liberate dalla cappa economicista e produttivista. Il dopo sviluppo, peraltro necessariamente plurale, significa la ricerca di modi di realizzazione collettiva nei quali non viene privilegiato un benessere materiale distruttivo dell'ambiente e dei legami sociali”.

15Varrebbe la pena di ascoltare i cittadini di Three Mile Island, Cernobyl o chi è stato vicino alle decine di siti interessati da incidenti.

I Clash già nel 1979 cantavano “The ice is coming, the sun's zooming in/ Engine stop running, the wheat is growing thin/ A nuclear error, but I have no fear/ 'Cause London is drowing and I, I live by the river”.

16Previsto nel 1966 da Hubbert esso rappresenta il momento in cui il mondo raggiungerà il livello più alto di produzione petrolifera.

17Non credo che esista al mondo un campo del sapere e tecnologie più chiusi e militarizzati del nucleare.

Dove c'è una centrale od un laboratorio di studi, là c'è il militare e la ragione di stato, l'inviolabilità di territori e zone, che divengono “rosse”, compare il segreto ed il copyright.

18Shiva, V., 2009, Ritorno alla terra, La fine dell'ecoimperialismo. Fazieditore.

19Etimologicamente, autònomos, “colui si dà le proprie leggi”.

Terzo capitolo - Sull'energia e sulla crisi - Gianmarco De Pieri