Tempo di rivoluzione: rompere le catene del capitalismo fossile

Report del dibattito tenutosi a Reset-Fest (Vicenza)

14 / 10 / 2022

Sabato 1° ottobre si è tenuto il secondo dibattito al Caracol Olol Jackson di Vicenza il dibattito “Tempo di rivoluzione. Rompere le catene del capitalismo fossile”, inserito all’interno di Reset_Fest. L’attenzione è stata posta sul come disegnare le traiettorie di una transizione ecologica che esorbiti dalle logiche di profitto capitalistiche. Hanno partecipato: in collegamento da New York, Ashley Dawson, professore di Postcolonial Studies al Graduate Center della City University of New York (CUNY), Alice Dal Gobbo, ricercatrice del Dipartimento di Sociologia e Scienza Sociale di Trento e Marco Armiero, dirigente di ricerca dell'Istituto di Studi sul Mediterraneo del CNR e direttore dell'Environmental Humanities Laboratory del KTH di Stoccolma.

Apre il dibattito Andrea Berta, attivista di Rise Up 4 Climate Justice, che ha messo in luce come una transizione ecologica reale sia destinata a scontrarsi con le logiche capitalistiche, perché mette a nudo la questione delle diseguaglianze sociali e dei rapporti di potere.

La parola passa a Dawson che tenta di dare un’esemplificazione dell’ideologia del libero mercato del capitalismo fossile. Lo fa raccontando due casi d’oltreoceano: Texas e Porto Rico. In Texas, la riduzione del numero delle centrali elettriche si è trovata a dover scontrarsi con l’aria gelida dell’inverno 2021, aumentando gli effetti del disastro e lasciando dietro di sé morti per congelamento. congelamento.

L’esempio portoricano, invece, si presenta come un nuovo circolo vizioso di colonialismo: la rete elettrica è stata privatizzata, il sindacato degli elettricisti smantellato. Nel settembre 2022 l’uragano Fiona si è abbattuto sull’isola caraibica e oltre un milione di persone è rimasto senza corrente con l’impossibilità di riparare la rete elettrica a seguito della chiusura del già sopracitato sindacato.

Esempi che portano a due considerazioni che tentano di rispondere alla domanda su che tipo di transizione ecologica sia più appropriata. La prima è che il libero mercato altro non è che un sussidio pubblico per ricchi. Questo è evidente nel modo in cui vengono gestiti i sussidi pubblici per le energie rinnovabili negli Stati Uniti: le agevolazioni fiscali dovrebbero andare alle società che tentano di sviluppare energia rinnovabile, ma quest’ultime non possiedono fondi sufficienti per la costruzione di parchi eolici e quindi si trovano costrette a coinvolgere direttamente le banche e a cedere loro le agevolazioni, mettendo in luce la corruzione che innerva il sistema.

La seconda riflette sulla prassi, ovvero sulla proposta di bloccare la diffusione dell’infrastruttura fossile portando l’energia sotto il controllo pubblico, che garantirebbe l’interesse comune anche sul piano dell’efficienza energetica, e dirigerebbe i soldi verso l’energia pulita e non nelle profonde tasche degli azionisti. A new York “Public Power” si sta muovendo in questa direzione.

Riprende la parola Berta, ringrazia il professore e si focalizza su un particolare criticità emersa dalle parole di Dawson: i costi di questo modello energetico in termini di vite umane. Affermazione che rimanda a che ruolo ha avuto la vita umana nel processo di produzione capitalista, soffermandosi sulla vita umana intesa come forza lavoro-energia. Su questo interviene Alice Dal Gobbo.

Il sistema energetico che abbiamo in eredità è un sistema intrinsecamente coloniale, escludente e devastante dal punto di vista ambientale. Inoltre, nel capitalismo l’energia, come la vita umana, è sempre stata capitalizzata in forza lavoro. Noi rimaniamo merce tanto quanto lo rimane l’energia e persiste l’ottica di sfruttamento sia dei corpi e sia dei territori, che va a braccetto con la storia dello sviluppo dell’energia del capitalismo occidentale che tratta questi due elementi come astratti e intercambiabili, implicando deterritorializzazione e instaurando il diniego del mite nella cornice di un’idea prometeica del progresso.

Una transizione ecologica capitalistica non fa altro che percorrere la stessa via cambiando la materia, quindi la bioenergia, più sostenibile, ma perpetrando la deterritorializzazione e l’esproprio dei terreni. Una risposta a tutto ciò deve in primis riarticolare il tema delle fonti energetiche e deve anche ripensare totalmente il sistema energetico, mettendo in discussione il modo in cui viene concepita l’energia. Una transizione ecologica giusta deve smembrare le logiche di astrazione e decolonizzazione, puntando verso un’energia territorializzata, che ponga al centro la vita non mercificata nella direzione di autodeterminazione dei territori.

Autodeterminazione dei territori che permette a Berta di passare il testimone a Marco Armiero, ponendo l’attenzione sulla costruzione di comunità come lotta al paradigma capitalistico.

Armiero ragiona partendo da una panoramica generale e vedendo come il capitale faccia politica sul disastro, un'altra faccia dello shock dottrine.

I grandi regime neoliberisti pongono la condizione per cui ciascuno di noi è solo davanti alla crisi, solo di fronte alla povertà. Noi apparteniamo al wasteocene, cioè un’era di relazioni di scarto che producono profitti per pochi attraverso estrazione ed alterizzazione. È proprio sul rifiuto di estrazione e alterizzazione che si deve costruire la lotta per una transizione ecologica giusta.

La costruzione di relazioni di commoning è l’alternativa che permette la produzione di cura a dispetto delle relazioni di scarto. Il futuro deve essere immaginato per la comunità umana e non umana in uno spazio non organizzato dal profitto. E la necessità di movimenti che puntino a scardinare il paradigma e avanzano su questa nuova idea di relazione e organizzazione di comunità dimostrano che il capitalismo muore solo e soltanto quando si ha la capacità di organizzarsi e sabotare.

La parte finale del dibattito, nella quale sono stati richiamati in causa tutti e tre gli ospiti, si è concentrata sul ruolo che possono avere i movimenti climatici per “forzare” questa transizione nella direzione più giusta ed equa, al di fuori delle logiche capitaliste.