Tutto tornerà più di prima? Finanza, estrattivismo e grandi infrastrutture nell’economia post-Covid

L'intervento di Elena Gerebizza al webinar "Covid19 e crisi climatica"

27 / 5 / 2020

Il mio intervento cercherà di concentrarsi su quello che sta succedendo a livello europeo per capire se effettivamente, come dicono in molti, “niente sarà più come prima”, o se, come temiamo in tanti, il sistema si sta semplicemente riorganizzando. In questo senso la crisi odierna, unita alla crisi climatica, potrebbe essere un’altra opportunità che il sistema capitalista estrattivista sta utilizzando per rigenerarsi.

La grande paura che condividiamo è quella che, ancora una volta, la cosiddetta emergenza venga utilizzata per definire misure straordinarie che aiutino questa fase di rigenerazione, senza però affrontare quelli che sono i nodi problematici del nostro sistema, quegli stessi nodi che ci hanno portato in questa situazione di crisi.

Se guardiamo alla crisi climatica-ambientale, questa è profondamente collegata alla cosiddetta crisi sanitaria che stiamo vivendo adesso, e anche il tipo di misure che si sono prese sono in qualche modo collegate. Misure che hanno principalmente determinato delle fortissime restrizioni alle libertà individuali, e addirittura tendono a limitare anche la possibilità di incontrarsi a livello comunitario. Vorrei quindi ricollegarmi a quello che diceva Raul, che condivido pienamente: in questi mesi in Italia, molto meno in altri Paesi europei, la dimensione comunitaria è stata profondamente attaccata, quindi l’emergenza è stata utilizzata anche per impedire che la dimensione collettiva potesse avere una sua ragione, e in nome dell’esigenza concreta di affrontare la diffusione del virus, si sono usate delle misure molto estreme, e secondo molti anche discutibili. La grande domanda che tutti ci facciamo adesso riguarda il come ciascuno di noi ritornerà a fruire dei propri spazi di libertà, e se questi verranno mai restituiti, e in che forma.

Dall’altra parte però, perlomeno in Italia, si sta prestando molta attenzione a quello che è stato definito “piano di recovery europeo”. Si tratta degli aiuti finanziari che tutti stanno aspettando, a partire dalle imprese, che sono quelle che hanno sempre la voce più forte, ma anche i milioni di individui che in questi mesi si sono trovati in una situazione drammatica, e sono quasi sempre abbandonati dalle istituzioni.

Se guardiamo al dibattito politico, ancora molto in divenire, ci sono alcuni elementi che si stanno delineando e che per noi rappresentano una fonte di preoccupazione. In primo luogo vediamo che le istituzioni si stanno attivando in una maniera totalmente orientata a offrire un sostegno al settore privato, senza spiegare cosa questo significhi e senza offrire giustificazioni rispetto al perché sia stato scelto il privato e non il pubblico, per esempio. Tra le istituzioni che si sono attivate di più abbiamo la Banca Europea degli Investimenti, una banca privata che concede prestiti a grosse imprese del settore privato e che avrà un ruolo fondamentale non solo nel raccogliere la ricchezza, ma anche nel distribuirla e quindi nello scegliere a chi e come.

Parliamo di pacchetti di investimenti di svariati miliardi. La BEI ha creato un proprio fondo di 40 miliardi di euro che vuole guardare all’emergenza. Poi si è fatta anche promotrice di un’altra iniziativa, che forse è quella che noi vediamo con più preoccupazione, ossia la creazione di un fondo di garanzia di 25 miliardi che dovrebbe essere creato con donazioni dirette dei paesi membri, ma anche da parti terze e investitori vari. Lo stesso budget europeo permetterà alla banca di raccogliere sui mercati finanziari investimenti fino a 200 miliardi di euro.

Si tratta di un meccanismo che vuole di fatto utilizzare le risorse pubbliche per ridurre il rischio di investimenti privati, e tali risorse verranno canalizzate dalla stessa banca attraverso il sistema finanziario, per cui le banche, soprattutto quelle più grosse, saranno le strutture utilizzate per distribuire questi soldi. Questo cosa significa? In primo luogo che queste banche si rafforzeranno, e parliamo di istituzioni finanziare che chiederanno delle commissioni. In Italia ad esempio, stiamo parlando dei gruppi finanziari più grandi, Intesa San Paolo e Unicredit che, fra l’altro, sono considerate quelle più problematiche da un punto di vista ambientale e climatico.

Da poco abbiamo pubblicato un rapporto che si chiama “Finanza fossile” che cerca di fare il punto abbastanza chiaramente sull’impatto che solo queste due istituzioni, unite a Generali, la più grande compagnia assicurativa italiana, hanno effettivamente sul clima. I dati sono ovviamente preoccupanti: parliamo di banche che continuano a investire sul carbone e sui fossili di tutti i tipi, incluse le estrazioni più pericolose da un punto di vista ambientale e climatico.

Quindi in questa fase si individuano già i soggetti che verranno rafforzati. In che maniera verrà implementato oppure no il green deal ovviamente rimane una grossa domanda: vedendo come queste istituzioni saranno rafforzate, capiamo che nel ragionamento primario su come verrà implementato il recovery plan il green deal non è stato assolutamente preso in considerazione.

L’altro settore che ovviamente si rafforzerà è quello dell’industria estrattiva che, nonostante la crisi del petrolio e il settore in difficoltà, ha continuato a funzionare. Abbiamo visto situazioni estreme dove pur di continuare con l’estrazione si sono messe addirittura a rischio la vita e la sicurezza delle comunità che vivono nei luoghi dove queste estrazioni continuano. Pensiamo al caso del Mozambico, di cui abbiamo scritto sul sito di Re:Common, ma ce ne sono moltissimi altri. In Italia, ad esempio, i cantieri per la costruzione del gasdotto TAP hanno continuato a lavorare anche durante la fase di crisi.

Quello che crediamo noi è che se davvero questo momento di rilancio dell’economia dovesse in qualche modo segnare una svolta con il “prima”, questa svolta dovrebbe mettere in discussione completamente alcuni settori produttivi. Tutelando ovviamente i posti di lavoro, perché non devono essere le persone a pagare i costi di questa crisi.

L’altra cosa che volevo segnalare riguarda invece un altro ambito estremamente preoccupante, che è quello della costruzione di mega infrastrutture. La crisi Covid è iniziata in un momento in cui noi si stava delineando proprio la nuova agenda delle grandi infrastrutture, che a livello globale stava riorganizzando l’intera produzione secondo il nuovo mantra del just in time, con la logistica che diventa parte della catena produttiva.

Parliamo quindi di un piano di costruzione di megastrutture che vanno dall’ampliamento dei porti, la costruzione di nuovi porti, la creazione di zone economiche speciali, di poli per la logistica, ma anche di nuovi treni ad alta velocità per il trasporto di sole merci, con lo scopo di ridurre i tempi di percorrenza per le merci tra i vari continenti. Il piano più grande e quello di cui si è parlato di più in Europa è quello della Belt & Road Initiative, il piano di investimento promosso dalla Cina, che in realtà si collega all’agenda europea delle grandi infrastrutture.

Quindi la domanda è questa: in un contesto in cui già l’impatto sull’ambiente e sul clima del sistema è troppo grande e in cui il sistema estrattivo deve assolutamente chiudere, ci chiediamo quanto un rilancio di questa globalizzazione 2.0. possa essere o no compatibile con una ricerca della sostenibilità a livello globale. Secondo noi non lo è. E la grande domanda e la grande preoccupazione è se questo piano di investimenti rimetterà in discussione il rilancio delle grandi infrastrutture a livello globale oppure no. Mi fermo qui e vi lascio con questa domanda.