In libreria "Il paese dei veleni", Biocidio viaggio nell'Italia contaminata

Viaggio nell'Italia contaminata

di Gaetano De Monte

1 / 10 / 2013

tratta da "Taranto Oggi"

Un viaggio nel disastro ambientale italiano. Lungo la geografia dei fumi e degli scarichi industriali, dei torrenti di rifiuti tossici che attraversano l’Italia, da Nord a Sud. E’ “Il paese dei veleni”, per dirla con il titolo del libro, edito da Round Robin, che è disponibile in tutte le librerie italiane. Un volume che ospita i contributi di giornalisti che da diversi anni, ormai, si occupano delle tematiche connesse al diritto alla salute. Amalia De Simone, Stefania Divertito, Giuseppe Manzo, Nello Trocchia, tra gli altri, esponenti di quella fucina di giornalisti campani che annovera gli autori delle maggiori inchieste che sono state fatte, sino ad oggi, sulle questioni ambientali. Un’opera curata a quattro mani: da Andreina Baccaro, giornalista, tarantina, lavora per il settimanale Wemag, e da Antonio Musella, napoletano, anche lui, reporter di Fanpage.it, al suo terzo libro, dopo “Mi Rifiuto” del 2008, e “Chi Comanda Napoli”, del 2012;  l’inchiesta di cui è stato coautore insieme a Giuseppe Manzo, sui poteri forti a Napoli.
“Ma molto spesso circoscrivere il tema dell’emergenza sanitaria a questa o a quella regione fa scattare un meccanismo di perimetrazione del problema. Così nell’eco mediatica, il tema dei morti da inquinamento sembra essere un esclusivo problema dei napoletani o dei tarantini. Di inquinamento invece si muore in tutto lo Stivale” scrivono gli autori ( Baccaro e Musella) in uno dei capitoli introduttivi del libro. Da Gela a Taranto, da Porto Marghera a Perdas de Fogu, da Brescia a Pianura, si muore di veleni in tutta la Penisola. All’interno di quelle aree che la Legge Ronchi, la n.22 del 1997, ha classificato come Sin, acronimo di siti ad interesse nazionale, definiti in relazione alla quantità e alla pericolosità degli inquinanti presenti, all’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, e di pregiudizio per i beni culturali e paesaggistici. Sono 57, i Sin: le aree industriali di Piombino, La Spezia, Milano, Massa Carrara; le discariche di Pianura a Napoli, di Pioltello e Rodano, in Lombardia, solo per fare qualche esempio. Per queste zone gravemente inquinate, - in cui il nesso tra l’aumento delle malattie tumorali, le malformazioni e le intense attività antropiche è fin troppo evidente - lo Stato, con la Legge n. 22 che le istituiva, ne aveva previsto la cura. La cura sarebbe la bonifica. Usa il condizionale, Antonio Musella, ne “Il sistema delle bonifiche” il capitolo più corposo del volume, dove si racconta come in questo settore, finanziato largamente dall’amministrazione statale, sia stato, in realtà, solo uno strumento per accaparrare soldi pubblici, utilizzati, principalmente, per consulenze, studi, progetti, perizie tecniche e che sono servite, soltanto, ad ingrassare le tasche di alcuni burocrati ministeriali. Mentre di bonifica, nei 57 Sin, negli ultimi sedici anni, non c’è neppure l’ombra, se si escludono Bolzano e Fidenza. Il cosiddetto “metodo Mascazzini” è spiegato, nel dettaglio. Di Gianfranco Mascazzini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente dalla sua istituzione, il 1989, fino alla pensione, cioè al 2010,  vengono riportati i conflitti di interesse, le vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto, i disastri ambientali che avrebbe contribuito a perpetuare, come alto dirigente del Ministero: nell’area ex Sas di Milano, nell’area lagunare di Marano e Grado, in Friuli, nell’area ex Italsider di Bagnoli, e di Giugliano, vicino Napoli, zona gravata dal metodo criminale nello smaltimento dei rifiuti. Sarà proprio la procura di Napoli a porre fine al “metodo Mascazzini” mettendo le manette ai polsi dell’uomo che per trent’anni ha gestito un sistema “che ha distribuito e dissipato denaro al soddisfacimento di interessi estranei alle finalità ambientali” si legge nelle carte dei giudici che lo hanno messo a riposo definitivo il 28 gennaio 2011, dopo soli quattro giorni dalla sua nomina a commissario straordinario per la rimozione delle macerie del terremoto de L’Aquila, giunta (mentre era già in pensione ) da parte  del governatore dell’Abruzzo Stefano Chiodi. Mascazzini è accusato di aver autorizzato, quando era alla direzione tecnica del Ministero, gli smaltimenti illegali del percolato provenienti dalle discariche della provincia di Napoli, direttamente in mare. Ne raccoglierà l’eredità Luigi Pelaggi in via Cristoforo Colombo, lui che già era nel consiglio di amministrazione della Sogesid, società in house del Ministero incaricata di gestire le bonifiche, che dal 2008 ha già inghiottito quasi mezzo miliardo di euro, molti dei quali spesi per consulenze e ricche prebende. Lo stesso Luigi Pelaggi che compare nelle carte dell’inchiesta sull’Ilva di Taranto; saranno proprio queste vicende a segnarne l’ascesa, seppur rimane ancora oggi, componente della commissione di valutazione impatto ambientale del Ministero, con relativo stipendio da dirigente. E’a uomini come Pelaggi che spettava ( spetta?) di controllare le prescrizioni a cui è sottoposta l’Ilva. Una fabbrica la cui morfogenesi, dalla nascita al sequestro del luglio 2012, è puntualmente ricostruita, nel libro, da un ricercatore tarantino, Alessio Arconzo. Non solo Taranto, comunque. E così leggendo, ci si imbatte nel viaggio tra i veleni d’amianto della Val di Cecina, - terre famose finora, soltanto, per il buon vino, il cibo ed il paesaggio - in cui ci conduce Stefania Divertito. O nel Lazio di “mala e monnezza” raccontato da Nello Trocchia, giornalista del Fatto Quotidiano.

Nord, Centro, Sud e Isole: l'Italia avvelenata ovunque, non solo a Taranto, dunque. Sono nove milioni, i cittadini che vivono in zone che andrebbero bonificate, da diossine e materiali pesanti. Sono 57 i siti ad alta mortalità. Baccaro e Musella, “documentano in pagine ricche di dati e storie, come sia avvenuto che il Belpaese sia diventato anche il Paese dei Veleni”, scrive Gianfranco Bettin nella prefazione al libro, che contiene, al suo interno due dediche speciali: “agli uomini e alle donne che danno vita ai comitati per i beni comuni, a chi occupa spazi abbandonati, a chi non smette di credere che un altro mondo sia possibile. E a Claudio che era tutte queste cose insieme”.