tratta da "Taranto Oggi"
Un viaggio nel disastro
ambientale italiano. Lungo la geografia dei fumi e degli scarichi industriali,
dei torrenti di rifiuti tossici che attraversano l’Italia, da Nord a Sud. E’ “Il
paese dei veleni”, per dirla con il titolo del libro, edito da Round Robin, che
è disponibile in tutte le librerie italiane. Un volume che ospita i contributi
di giornalisti che da diversi anni, ormai, si occupano delle tematiche connesse
al diritto alla salute. Amalia De
Simone, Stefania Divertito, Giuseppe Manzo, Nello Trocchia, tra gli altri, esponenti
di quella fucina di giornalisti campani che annovera gli autori delle maggiori
inchieste che sono state fatte, sino ad oggi, sulle questioni ambientali.
Un’opera curata a quattro mani: da Andreina
Baccaro, giornalista, tarantina, lavora per il settimanale Wemag, e da Antonio Musella, napoletano, anche lui,
reporter di Fanpage.it, al suo terzo libro, dopo “Mi Rifiuto” del 2008, e “Chi
Comanda Napoli”, del 2012; l’inchiesta di cui è stato coautore insieme a
Giuseppe Manzo, sui poteri forti a Napoli.
“Ma molto spesso circoscrivere il tema dell’emergenza sanitaria a questa o a
quella regione fa scattare un meccanismo di perimetrazione del problema. Così
nell’eco mediatica, il tema dei morti da inquinamento sembra essere un
esclusivo problema dei napoletani o dei tarantini. Di inquinamento invece si
muore in tutto lo Stivale” scrivono gli autori ( Baccaro e Musella) in uno dei
capitoli introduttivi del libro. Da Gela a Taranto, da Porto Marghera a Perdas
de Fogu, da Brescia a Pianura, si muore di veleni in tutta la Penisola.
All’interno di quelle aree che la Legge Ronchi, la n.22 del 1997, ha
classificato come Sin, acronimo di siti ad interesse nazionale, definiti in
relazione alla quantità e alla pericolosità degli inquinanti presenti,
all’impatto sull’ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed
ecologico, e di pregiudizio per i beni culturali e paesaggistici. Sono 57, i
Sin: le aree industriali di Piombino, La Spezia, Milano, Massa Carrara; le discariche
di Pianura a Napoli, di Pioltello e Rodano, in Lombardia, solo per fare qualche
esempio. Per queste zone gravemente inquinate, - in cui il nesso tra l’aumento
delle malattie tumorali, le malformazioni e le intense attività antropiche è
fin troppo evidente - lo Stato, con la Legge n. 22 che le istituiva, ne aveva
previsto la cura. La cura sarebbe la bonifica. Usa il condizionale, Antonio
Musella, ne “Il sistema delle bonifiche”
il capitolo più corposo del volume, dove si racconta come in questo settore,
finanziato largamente dall’amministrazione statale, sia stato, in realtà, solo
uno strumento per accaparrare soldi pubblici, utilizzati, principalmente, per
consulenze, studi, progetti, perizie tecniche e che sono servite, soltanto, ad
ingrassare le tasche di alcuni burocrati ministeriali. Mentre di bonifica, nei
57 Sin, negli ultimi sedici anni, non c’è neppure l’ombra, se si escludono
Bolzano e Fidenza. Il cosiddetto “metodo Mascazzini” è spiegato, nel dettaglio.
Di Gianfranco Mascazzini, direttore generale del Ministero dell’Ambiente dalla
sua istituzione, il 1989, fino alla pensione, cioè al 2010, vengono riportati i conflitti di interesse, le
vicende giudiziarie in cui è stato coinvolto, i disastri ambientali che avrebbe
contribuito a perpetuare, come alto dirigente del Ministero: nell’area ex Sas
di Milano, nell’area lagunare di Marano e Grado, in Friuli, nell’area ex
Italsider di Bagnoli, e di Giugliano, vicino Napoli, zona gravata dal metodo
criminale nello smaltimento dei rifiuti. Sarà proprio la procura di Napoli a porre
fine al “metodo Mascazzini” mettendo le manette ai polsi dell’uomo che per
trent’anni ha gestito un sistema “che ha distribuito e dissipato denaro al
soddisfacimento di interessi estranei alle finalità ambientali” si legge nelle
carte dei giudici che lo hanno messo a riposo definitivo il 28 gennaio 2011,
dopo soli quattro giorni dalla sua nomina a commissario straordinario per la
rimozione delle macerie del terremoto de L’Aquila, giunta (mentre era già in
pensione ) da parte del governatore
dell’Abruzzo Stefano Chiodi. Mascazzini è accusato di aver autorizzato, quando
era alla direzione tecnica del Ministero, gli smaltimenti illegali del percolato
provenienti dalle discariche della provincia di Napoli, direttamente in mare.
Ne raccoglierà l’eredità Luigi Pelaggi in via Cristoforo Colombo, lui che già
era nel consiglio di amministrazione della Sogesid, società in house del
Ministero incaricata di gestire le bonifiche, che dal 2008 ha già inghiottito
quasi mezzo miliardo di euro, molti dei quali spesi per consulenze e ricche
prebende. Lo stesso Luigi Pelaggi che compare nelle carte dell’inchiesta
sull’Ilva di Taranto; saranno proprio queste vicende a segnarne l’ascesa,
seppur rimane ancora oggi, componente della commissione di valutazione impatto
ambientale del Ministero, con relativo stipendio da dirigente. E’a uomini come
Pelaggi che spettava ( spetta?) di controllare le prescrizioni a cui è
sottoposta l’Ilva. Una fabbrica la cui morfogenesi, dalla nascita al sequestro
del luglio 2012, è puntualmente ricostruita, nel libro, da un ricercatore
tarantino, Alessio Arconzo. Non solo Taranto, comunque. E così leggendo, ci si
imbatte nel viaggio tra i veleni d’amianto della Val di Cecina, - terre famose
finora, soltanto, per il buon vino, il cibo ed il paesaggio - in cui ci conduce
Stefania Divertito. O nel Lazio di “mala e monnezza” raccontato da Nello
Trocchia, giornalista del Fatto Quotidiano.
Nord, Centro, Sud e Isole: l'Italia avvelenata ovunque, non solo a Taranto, dunque. Sono nove milioni, i cittadini che vivono in zone che andrebbero bonificate, da diossine e materiali pesanti. Sono 57 i siti ad alta mortalità. Baccaro e Musella, “documentano in pagine ricche di dati e storie, come sia avvenuto che il Belpaese sia diventato anche il Paese dei Veleni”, scrive Gianfranco Bettin nella prefazione al libro, che contiene, al suo interno due dediche speciali: “agli uomini e alle donne che danno vita ai comitati per i beni comuni, a chi occupa spazi abbandonati, a chi non smette di credere che un altro mondo sia possibile. E a Claudio che era tutte queste cose insieme”.