Una proposta dal workshop: "Carcere istituzione, carcere dentro di noi"

Trieste - Marco Cavallo ritorna nelle strade

Verso il Primo Marzo 2010

11 / 2 / 2010

Marco Cavallo, simbolo della lotta contro tutti i manicomi, in un giorno di febbraio del 1973 uscì dal manicomio di San Giovanni nella città di Trieste: lo accompagnava un “volantino” che chiedeva case, lavoro, socialità. Era l'inizio di un lungo percorso di liberazione e riconoscimento dei diritti, mai lineare, che non conosce tregua.

Il cavallo azzurro non è sbiadito, la cartapesta di cui è fatto si è fortificata grazie alle donne e agli uomini che con lui hanno infranto muri, urlato ingiustizie, difeso i più vulnerabili e soprattutto costantemente costruito servizi e concrete alternative a manicomi vecchi e nuovi in tante parti del mondo.

Se i paradigmi stridono, Marco Cavallo nitrisce. Nitrisce d'orrore per la solitudine degli individui, per la sottrazione di diritti, per l'incalzare di ghetti, scatole, depositi di corpi, nuovamente denominati ma uguali per logica di separazione, tutela estrema, negazione di diritti e di parola, annullamento infinito della diversità e delle inevitabili conseguenti contraddizioni: corpo e sangue di una democrazia.

Oggi Marco Cavallo esce nuovamente da San Giovanni e sfonderà con noi muri virtuali e reali, non più cancelli ottocenteschi. Dirigerà tutta la sua potenza a difesa di questa nuova maggioranza deviante di donne e uomini che reclamano il diritto di pensare insieme, di preservare il proprio corpo dalle invasioni di tecniche e scienze che ne esigono il possesso, di affermare il diritto di esser parte vitale di una società che per essere democratica non potrà mai essere solo una somma di individui e dei loro particolari interessi.

Trainato da macchine più potenti di quarant'anni fa, Marco Cavallo va in Piazza dell'Unità per salutare i palazzi e poi a Ponziana, Giarizzole, Melara e via Grego per ricordare che lui è forse già lì, ma che ancora tante cose mancano perché si possa dire che i diritti dei più deboli sono affermati. Saluterà la comunità serba di Largo Barriera. Passando da Barcola, al centro di salute mentale chiederà a tutti quelli che qui e altrove nella città lavorano nella sanità di non dimenticare grazie a chi e come questi servizi sono stati possibili. E di ricordare a tutti, giovani e futuri colleghi, che la questione vera sta nel fare collettivo. Come è accaduto per lui. A Monfalcone passerà del tempo con la comunità di cingalesi e con i precari dell'Italcantieri, poi proseguirà verso le fabbriche chiuse del Friuli e incontrerà i cassaintegrati. E a Udine chiederà ad alcuni preti perché sono così soli nel difendere i più deboli o ai precari dell'università e delle scuole se non è tempo di allearsi con altri. Nel pordenonese incontrerà gli immigrati, si fermerà con le prostitute, forse sorriderà con chi ancora lo riconosce. Al confine con il Veneto, Marco guarderà con affetto una terra che gli è patria, ma con un brivido di rabbia.

Il Cavallo azzurro torna a “casa” e si fermerà a Gradisca. Lì al CPT concluderà questo suo viaggio. Qui Marco Cavallo si vergogna, si indigna e ci sprona. Pensa a Lampedusa e si chiede se quell'isola sarà la nuova Leros, come vent'anni fa è accaduto in Grecia: un deposito di corpi senza nome, scorie, rifiuti di uno sviluppo irrefrenabile che mai si è soffermato sulle amputazioni prodotte.

Marco Cavallo è di nuovo in strada, là dove le cose accadono, dove nulla preserva la sua cartapesta se non la forza, impetuosa, irriverente, irrefrenabile di tutti noi diversi, donne soprattutto e uomini, che vogliamo vivere.