Ancora manette e catene in aula, negati i domiciliari a Ilaria Salis

29 / 3 / 2024

A nulla sono valse le polemiche che hanno innescato, qualche mese fa, un caso internazionale Italia-Ungheria.

Nonostante la denuncia pubblica (timidamente sostenuta dal Governo Italiano), Ilaria Salis è ritornata nell’aula del tribunale di Budapest, nelle stesse "vesti" del 29 gennaio scorso, legata alla schiena con un guinzaglio e scortata dalle guardie penitenziarie, mentre attraversava l’aula ammanettata mani e piedi. 

Ilaria Salis ha poi consegnato ai giornalisti italiani presenti in aula una lettera di autorizzazione delle sue foto in manette e catene, anche se bisogna specificare come, a livello mediatico, tale immagine non è stata ritenuta – nuovamente – da TG e giornali idonea a suscitare a livello totalizzante gli animi indignati di garantisti e non. 

Ma d’altronde, nel momento in cui qualcosa si ripete, si instaura un messaggio di normalizzazione. “È già successo, quindi l’evento non è meritevole di esser tra le prime notizie del giorno”. Quando in realtà la questione in nuce dovrebbe essere un’altra: proprio perché si ripete, siamo dinanzi ad un problema relativo alla libertà personale (e alla dignità) grande come una casa.

Disgusto a parte per le scene sopra citate, Ilaria Salis, sta scontando una misura cautelare - che ormai si atteggia a pena a tutti gli effetti – da ormai 13 mesi in carcere. L’accusa è quella che la docente milanese di 39 anni abbia aggredito tre militanti di estrema destra durante la partecipazione agli scontri di febbraio 2023 a Budapest con i neonazisti europei, alla vigilia del Tag der Ehre raduno di estremisti di destra. 

All’udienza si sono presentatati oltre alla difesa anche amici di Ilaria oltre che Zerocalcare ed esponenti dei Giuristi Democratici, tutti minacciati ed insultati in ungherese da un gruppo di estremisti di destra lì presenti.

Il giudice Jozsef Sos il 27 marzo 2024 ha respinto la richiesta di arresti domiciliari presentata dalla difesa ritendo Ilaria ‘ancora pericolosa’ e che – nel mentre di tredici mesi, ritenuti dallo stesso giudice “non esagerati” l’impianto non si è modificato, permanendo ancora in atto severe accuse.

Ma la gravità dell’atto d’accusa e quindi dei reati ascritti, non può – da sola – giustificare la decisione della permanenza in misura cautelare, tra l’altro in questo caso, considerata nella peggiore graduazione possibile. 

Assieme ai gravi indizi di colpevolezza, dovrebbero sussistere ulteriori ‘esigenze’, dal rischio di inquinamento delle prove, al rischio di reiterazione del reato sino al rischio di fuga. Mentre le prime due ipotesi richiamate possono ritenersi pacificamente del tutto estranee al caso Salis, per quanto riguarda l’ultimo, nonostante gli ungheresi dichiarino il contrario, la giurisprudenza ha più volte escluso che il pericolo di fuga si possa fondare sul fatto che un indagato prevalentemente viva, abbia residenza o abbia un lavoro in un Paese dell’Unione Europea.

Secondo il giudice Sos, tuttavia, oltre a sussistere concreto pericolo di fuga, la pericolosità di Ilaria Salis potrà essere valutata solo nel seguito del processo, ulteriore assurdità dato che quel giudizio poteva sicuramente accertare (e non presumere) la legittimità o meno della misura e la sostituzione con un’altra meno afflittiva.

Nel mentre che la difesa ha annunciato l’Appello, il padre di Ilaria, Roberto Salis, ha dichiarato che tale rifiuto si atteggia ad un’ennesima prova di forza del governo di Orban, nel mentre che il governo italiano sembra esser sordo alle richieste di riottenimento della dignità, prima di tutto.

Di tutt’altro tenore invece le notizie riguardanti Gabriele Marchesi, il 23enne milanese raggiunto nei mesi scorsi dal mandato d’arresto europeo con l’accusa di aver aggredito due neonazisti a Budapest in concorso con Ilaria. La Corte d’Appello di Milano ha infatti respinto la richiesta di consegna del ragazzo all’Ungheria, motivando il rifiuto per via dei trattamenti disumani e degradanti alla quale rischierebbe di essere sottoposto nelle carceri ungheresi. 

A chiedere che fosse negato il trasferimento, tra l’altro, è stato lo stesso Pubblico Ministero che nell’udienza del 28 marzo 2024 ha ribadito che la Procura Generale stessa si riteneva contraria alla consegna, richiamando una palese violazione del principio di proporzionalità, dato che il processo in Ungheria (proprio come nel caso di Ilaria) potrebbe concludersi con l’irrogazione di una pena assurda: 24 anni di reclusione per un’aggressione che ha provocato pochissimi giorni di prognosi. 

Nel mentre che i giudici italiani appaiono – giustamente - assennati, le dichiarazioni del vicepremier e Ministro degli Esteri Antonio Tajani fanno invece perdere la speranza di una presa di posizione netta ed indistinta da parte del Paese di Spinelli. L’invito alla ‘non politicizzazione’ del caso, è quanto di più assurdo mai sentito. Un caso del genere dovrebbe senza dubbio essere oggetto delle decisioni politiche, bipartisan e unanimi, specie nel momento in cui una “contrattazione” sui diritti di una cittadina si instaura con uno Stato che è da anni sotto la lente dell’Unione Europea in merito alla violazione dei diritti fondamentali, allo sgretolamento dello Stato di diritto, alla mancata indipendenza della magistratura… uno Stato totalitario mascherato in Repubblica.