Trento - Welfare e colore

Alcune note sulla demolizione dell'edificio ex Dogana

19 / 4 / 2014

Tra poche settimane verrà abbattuto l'edificio ex Dogana che per sei anni, grazie alla pratica considerata illegale dell'occupazione, è stato riqualificato e divenuto uno spazio sociale autogestito.

Sulle pagine della stampa locale la notizia ha avuto un ampio risalto per due motivi: il primo è che a fianco dell'edificio, tornato inutilizzato da quando il centro sociale Bruno ha conquistato lo spazio a Piedicastello, alcuni senza tetto si sono creati il loro ritrovo quotidiano e il giaciglio dove trascorrere le notti. La povertà, quella vera e più disperata, si è allontanata dagli anfratti delle periferie ed è arrivata in centro, allarmando la vista dei benpensanti della città. Il degrado, così è stato definito, è lì davanti agli occhi di tutti, alla faccia delle fredde statistiche che mettono Trento sempre ai primi posti nelle classifiche italiane per qualità della vita.

La città nell'ultimo decennio è cambiata e, senza addentrarci nell'analisi sulla crisi economica e sociale, le immagini di questo luogo di nuove povertà rivelano anche che l'autonomia trentina e la sua comunità non sono riuscite ad arginare le macerie sociali prodotte da decenni di politiche neoliberiste. In questo l'autonomia trentina, la nostra particolarità speciale, con la quale tutti i politici si riempiono la bocca, sta fallendo perchè non sta servendo allo scopo di costruire una società più equa e solidale.

Vincenzo Passerini, presidente della cooperativa Punto d'Incontro del compianto Don Dante caro amico di Don Gallo, in un lucido editoriale su l'Adige scrive che “quello dei senza dimora è un dramma sottovalutato”. Le cifre, forse 500, delle persone senza dimora dovrebbero impressionare chiunque.

Passerini si rivolge alla comunità trentina, “che ha saputo distinguersi per il Muse e il Mart, gioielli di architettura, di natura e di arte ammirati da folle di turisti”, e chiede di distinguersi anche per l’accoglienza dei più poveri, “perchè la civiltà di una comunità non si misura dai suoi musei, ma da come tratta i più deboli”. Fa appello alle istituzioni e le sprona a non essere passive, invitandole a costituire una regia pubblica su questa emergenza in grado di pianificare degli interventi per i prossimi anni. Conclude con delle verità scomode: alla domanda di diritti elementari e di dignità è possibile rispondere perchè “in Trentino non mancano né gli spazi vuoti né le associazioni competenti, ma ci vuole la volontà politica e anche un po' di soldi”.

Non si può che sostenere e divulgare questo richiamo all'umanità, aggiungendo che l'espandersi del dramma può essere prevenuto e deve essere arginato se si investe nuovamente nel welfare e nei servizi, e nella messa in pratica dei diritti all'abitare e al reddito, che sono l'unica via anche per ridare un senso all'autonomia trentina. I soldi, è bene ricordarlo, se c'è la volontà politica si trovano facilmente, a partire dalla cancellazione degli scandalosi vitalizi e privilegi, fino ad arrivare alla rinuncia di salvare gli speculatori nell'edilizia e realizzare le grandi (inutili) opere.

Il secondo motivo, meno importante, ma altrettanto indice delle passioni tristi di questi tempi, è legato al murales con raffigurato Bruno, l'orso ucciso dalle guardie in Baviera, che grazie ai muralisti Omar Garcia e Jordi Galindo ha dato valore ad una parete altrimenti imbruttita dall'incuria colpevole della provincia che ha lasciato per anni un edificio abbandonato. L'abbattimento dell'ex Dogana cancellerà un'opera d'arte che, nonostante una multa di 3.000 euro affibbiata dal comune di Trento perchè ritenuta abusiva, ha riqualificato dal basso una zona grigia della città.

La provincia sia tranquilla: non si farà nessuna barricata per impedire il suo abbattimento; lasciando perdere il lato emotivo della vicenda, al centro sociale non c'è nessun culto patologico delle icone. C'è invece, sulla spinta dell'immaginario costruito dal murales, la voglia di aprire una campagna con la quale sfidare la burocrazia comunale che impedisce di dare colore alla città e soffoca la creatività artistica.

Il fine è liberare Trento da tutti quei divieti e norme che le impediscono di diventare più vivace e allegra, più bella. Coprire i tanti grigi per fare spazio ad altrettanti murales e molteplici sfumature di colore come avviene in molte città del mondo.

Intrecciare quindi colore e solidarietà, il contrario del grigiore egoistico del palazzo.

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Trento - Senza fissa dimora all'ex dogana