Gli "idioti" rispondono

Risposta a Saviano dagli studenti napoletani

17 / 12 / 2010

Tante saranno le risposte che arriveranno e che già sono arrivate da più parti dopo l'odiosissima lettera che Robero Saviano ha scritto su Repubblica. Tante saranno le reazioni, le polemiche, gli assensi, e le corali forme di approvazione che la lunga missiva genererà entro l'originale panorama dell'opinione pubblica del paese. Noi arriviamo già con un giorno di ritardo, ma proviamo a determinare un punto di vista anche se dilazionato come frutto di una condivisione e di una relazione. Noi scriviamo perché la nostra è una risposta collettiva. La nostra riposta ha la coralità che spaventa ogni tentativo di sfilacciare un tessuto sociale compatto ed eterogeneo; ha il potere di smentire il disperato tentativo di tracciare una cortina tra pacifici rappresentanti dell'istanza di un paese migliore nonché democratico e i pochi “imbecilli” bardati e incappucciati, addestrati alla violenza urbana e portatori di disordini per professione. L'essere collettiva della nostra risposta ha il potere di smentire anche gli eroi di carta, perchè racconta le voci di una storia vera e non le suggestioni di una paranoia. Questa lettera, che viene dalle facoltà occupate, che esce dai luoghi della formazione, dagli stessi luoghi che per anni hanno provato a resistere costantemente alle politiche di smantellamento del futuro di una intera generazione che di anno in anno aumenta le sue reclute, si assume una risposta ferma alle accuse di Saviano, accuse che provano una delegittimazione arrogante e una descrizione strumentale di una giornata davvero complessa e la cui descrizione sta certamente fuori della corsa all'estemporaneo.

La celerità, in generale, è un modo spettacolare di stare sulla cronaca. La celerità non è il dispositivo ermeneutico che doveva essere messo in campo soprattutto in forme non televisive, ma scritte e dunque pretestuosamente razionali e ragionevoli. La volontà di sconfessare ogni legame con una piazza infiammata a costo di non capire nulla delle fiamme che in essa bruciavano è un errore che oggi denunciamo noi, ma che riteniamo che il futuro prossimo venturo finirà per sconfessare apertamente a tutti quanti si sono assunti la fretta prima dell'analisi. Saviano è tra questi. Saviano è tra coloro i quali hanno provato a differenziare i momenti,a segnare un dentro e a dividerlo da un fuori,a cercare i buoni e i cattivi, mettendo in opera un meccanismo incredibilmente obsoleto e profondamente inadeguato all'interpretazione dei fatti del 14 Dicembre.

Saviano ha commesso errori di valutazione certamente per noi eclatanti, ma ha pure distorto alcuni fatti obiettivi e non passibili di interpretazione. Non esiste una storia interottasi il 13 Dicembre ed una nuova e violenta cominciata ed apertasi con il 14.

La piazza del 14 Dicembre infatti non era diversa da quella che ha ospitato i “cortei pacifici e democratici” che Saviano ha citato come contraltare all' ingestibilità della giornata di martedì, essa è stata casomai una spontanea prosecuzione di quei momenti di rappresentazione del conflitto che non avevano inciso sufficientemente, non essendo in grado a soggettivare la generazione zero, precaria, intermittente, senza futuro e a renderla protagonista della risposta che questo paese deve dare dal basso alla gestione della crisi. Gli stessi corpi e le stesse vite di precari, studenti e lavoratori intermittenti o quasi spenti che occupavano le strade della capitale martedì avevano composto le mobilitazioni sparse nel paese il giorno dell'approvazione del ddl Gelmini, un esercito di corpi e vite forse messe ancor più valore dall'imposizione massiccia della gioventù precarissima del popolo dei diciottenni, e che accoglieva al suo interno anche gli abitanti di Terzigno, i Comitati di Chiaiano e Giugliano, i cittadini dell'Aquila, i migranti di Rosarno, e tutte le pluralità sociali che hanno fatto della propria esistenza una lotta quotidiana all' l'illegalità, al malcostume, all'arroganza e la prepotenza del Comando, alla sua intromissione violenta, quella sì, nelle vite e nei territori. La piazza di martedì ha subito nella storia della sua composizione la violenza dell'imposizione del silenzio dei propri drammi e il sopruso di meccanismi di appropriazione e schiacciamento che si esemplificano nel dramma del terremoto e della mancata ricostruzione de L'Aquila, nell'apertura delle discariche che devastano territori e ammalano le comunità, nel diritto all'esistenza negata ai migranti di Rosarno, e in tutte le storie di vita sottratta anche alla sopravvivenza che il nostro paese produce ogni giorno . La piazza di martedì era quella che ogni parte politica ha coccolato e “giustificato” nei giorni precedenti la grande manifestazione, ed è la stessa piazza che alla notizia della fiducia ottenuta dall'imperatore per tre voti comprati, ha sentito collettivamente l'istanza di attraversamento della zona rossa, della fossa di pescecani scavata dal Governo a difesa del castello dei”venduti” ,dei “mafiosi”. Il livello di saturazione della sopportazione raggiunto dalla generazione precaria e dai senza futuro vittime della crisi e della sua austerity strumentale, ha composto l'eccedenza di quella piazza . Il suo riscontro è fuor di retorica, nella composizione della pluralità che ha provato l'oltrepassamento della zona interdetta al corteo e dimostra una composizione di giovani e giovanissimi, determinati a raggiungere il Parlamento, non violenti di professione ma autori di un necessario uso sociale della forza , per niente soli, per niente diversi dagli altri, anzi supportati dagli applausi ininterrotti di chi gli stava dietro. Crediamo, dopo aver attraversato quella piazza, dopo averla riempita della nostra rabbia e della nostra necessità di insurrezione e di rivolta, che il paradigma di classica contrapposizione tra violenza e non-violenza sia insufficiente particolarmente se riferito a Piazza del Popolo. Crediamo fermamente che la gestione dei poteri di questo paese, la trama sottilissima dei malgoverni, abbia espresso soprattutto negli ultimi anni un volto di efferata violenza e di brutale chiusura degli spazi di democrazia.

Crediamo fermamente che alle sottrazioni messe in atto dal Governo e dai governi di questo paese sia necessario rispondere con altre ed opposte sottrazioni, rivendicazioni dal basso, affermazioni di esistenza che prevedano anche forzature. Crediamo che l'irrapresentabilità del popolo di Piazza del Popolo esiga quantomeno la capacità di capire cosa e chi ha mosso le gesta di chi si è sottratto al divieto. Esigiamo che chi crede di poter prendere parola in nome di un punto di vista intellettuale lo faccia senza utilizzare appellativi fuori luogo, senza provare a ridurre lo scontro in piazza ad una dimensione ludica o magari ad un videogame. Lo esigiamo perchè di ludico non c'è nulla. Quello di cui parliamo ha un dato di serietà fortissimo e non ammette nessuno spazio alla marginalizzazione o alla volontà di sminuirne il valore.

Sappiamo che l'esistenza di tutti i giorni non è un gioco per nessuno di quelli che erano a Roma il 14 Dicembre, caro Saviano. Sappiamo che la presenza massiccia per quelle strade era determinata ad esprimere sfiducia al governo Berlusconi sì , ma pure dissenso verso l'insopportabile ipotesi dell'avvento di un nuovo manipolo di affaristi pronti a proseguire l'operato reazionario di questo governo, pronti ancora a tagliare sulla spesa pubblica, pronti ancora ad invadere i nostri territori in nome della modernizzazione o dell'emergenza, pronti ancora a lasciare inascoltate tutte le voci dell'alterità. Ecco perchè non accettiamo che si provi strumentalmente ad attribuire a quella piazza la fiducia ad un governo illegale ed illegittimo, perchè in piedi grazie alla compravendita vergognosa dei voti dell'opposizione. Ecco perchè non accettiamo di essere strumentalizzati come eventuali artefici della stagnazione politica di questo governo e di questo paese e troviamo politicamente e culturalmente meschina l'operazione di Roberto Saviano. Noi stiamo dall'altra parte. Noi siamo la contraddizione. Noi ervamo a Roma per sfiduciare. Non dovremmo dire queste cose e non dovremmo neanche scriverle. Dovrebbe accadere che si dia spontaneamente l'assioma formulato solo dalla stampa estera, che recita: Berlusconi, fiducia in parlamento, sfiducia nella piazza. Invece le diciamo e le scriviamo per provare a contrastare il dilagare di una moda della presa di distanza e della condanna, per provare a dare voce e volto ad una giornata che non può essere gettata in pasto alle semplificazioni ed al narcisismo intellettuale di chi ha probabilmente la vista annebbiata dalla fama per far luce sulla limpidezza dell'unica interpretazione possibile, quella della apertura di una scena rivendicativa che sposta finalmente l'attenzione sull'emergenza sociale del paese.

Studenti Napoletani