Chi vuole mantenere intatto l'ordine eterosessuale?

Dal talk di Sherwood Festival con Massimo Prearo alla gestazione per altri come reato universale: alcune riflessioni sulla politicizzazione dei movimenti neocattolici.

29 / 7 / 2023

Due mani che si stringono in segno d'intesa finiscono per schiacciare tutto quello che c'è al loro interno. È con questa metafora che potrebbe essere descritta l'attuale situazione politica italiana nei confronti della comunità LGBTQIA+: da un lato, una maggioranza di parlamentari, senatori e senatrici sono schierate contro l'esistenza delle persone che ne fanno parte; dall'altro, il governo Meloni si mostra pronto a dare sempre più supporto alle istanze radicali presentate dai movimenti anti-gender. Questi due lati - le due mani - tengono insieme il coltello della politica dalla parte del manico; agli occhi dei tanti, però, il rapporto che c'è tra partiti e singole personalità politiche con i movimenti neocattolici viene spesso ricondotto alla sfera personale della religione delle singole personalità politiche. Il discorso viene in tal modo depoliticizzato e raccontato come innocuo.

Il talk "La disfatta dell'ordine eterosessuale" che si è tenuto durante Sherwood Festival e a cui ha partecipato Massimo Prearo - ricercatore in Scienza politica presso l’Università degli studi di Verona dove studia i movimenti anti-gender e le politiche anti-LGBTQIA+ - ha permesso di ricollocare all'interno di una riflessione più politica il ruolo che i movimenti neocattolici anti-gender hanno e stanno acquisendo grazie al supporto dei partiti politici di destra e di estrema destra.

Massimo Prearo Sherwood Festival

Conoscere il nemico. Partendo proprio dai movimenti neocattolici, Massimo Prearo sottolinea la differenza che c’è tra questi e i movimenti pro-vita/anti-scelta sorti in opposizione alla legge 194 del 1978 - la quale, ricordiamolo, non riconosce in toto il diritto all’aborto ma depenalizza alcune situazioni in cui esso è possibile. Quelli anti-gender emergono nei primi decenni degli anni Duemila da una compagine più radicale e dissidente dell’attivismo pro-life degli anni ‘80-’90; non soddisfatti dalla modalità con cui veniva portata avanti la “lotta alla libera scelta”, i movimenti neocattolici liberano il discorso anti-choice (che diventerà poi anti-gender) dalla sfera meramente religiosa radicando la propria visione in ambiti trasversali tra loro, allo scopo di inserirlo in un canale più politico e sociale. E’ il caso di Massimo Gandolfini, una figura che racchiude al suo interno un medico chirurgo, un neocatecumenale e un attivista anti-scelta religioso integralista. Fondatore dell'associazione "Scienze e vita", presenta il discorso che si oppone alla norma eterosessuale come scientifico, biologico, filosofico e antropologico; impostato in tale maniera risulta essere pervasivo e convincente. 

L’obiettivo recente - e quasi del tutto raggiunto - dei movimenti neocattolici è portare nell'ambito politico della destra/estrema destra italiana un discorso sulla famiglia e sui rapporti di genere che sia conservatore, attraverso attività di pressione (lobbying) e di movimento sociale. Infatti, alcuni partiti politici della destra e dell’estrema destra italiana si sono resi disponibili ad accogliere le istanze di questi attori connotati religiosamente (e politicamente sempre più rilevanti), permettendo forme di contaminazione neocattolica al loro interno. I movimenti neocattolici sono, quindi, distinti da quelli tradizionali per tre ragioni: hanno occupato uno spazio politico diventando egemonici nell'ambito cattolico di destra; sono diventati portavoce delle istanze di esso; sono stati riconosciuti e integrati all’interno della compagine governativa.

Stare al centro e arrivare al vertice. Nell’attuale governo, alcuni dei protagonisti principali nella lotta contro “l’ideologia gender” e la libertà di scelta in senso ampio, occupano dei ruoli governativi e istituzionali per nulla secondari.

Gandolfini è uno dei leader emersi negli ultimi anni e ha sempre avuto una posizione neutrale rispetto all’attività politica diretta: contemplava altre vie per innalzare il discorso anti-choice/anti-gender ad un livello politico. Nonostante ciò, nell’attuale governo ricopre il ruolo di consulente e di figura esperta nella "lotta contro le droghe e tutte le dipendenze". Alfredo Mantovano, ex dirigente di Alleanza Cattolica e tra i promotori del Family Day, è sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri. Eugenia Roccella, anche lei in prima linea nelle piazze del Family Day, oggi è Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità. Roccella è il ponte tra i movimenti neocattolici e i gruppi del femminismo radicale; incarna questa doppia e distante dimensione di attivismo che a livello teorico si incontra nell’opposizione al superamento dei confini del genere. 

Non solo pochi giganti governativi si oppongono all’esistenza delle persone LGBTQIA+; molte persone elette al parlamento con Fratelli d’Italia hanno sottoscritto il manifesto valoriale dei movimenti del family day; così facendo, la vicinanza a quella visione e a quel progetto politico evidenzia la concordanza che c’è tra la destra/estrema destra con le rivendicazioni neocattoliche. 

Fino a questo mercoledì ancora non c'erano state delle leggi di abrogazione o di contrasto diretto alla comunità LGBTQIA+; il governo Meloni si era distinto fin dall’inizio per il suo atteggiamento di “non-fare”, dimostrando come, ancor prima di esso, gli ostacoli ai diritti e alla giustizia queer erano presenti (e dunque neutrali rispetto al colore politico). Prearo ha elencato, a tal proposito, tre esempi di non-azione coerenti con l’agenda della destra/estrema destra in contingenza con quella neocattolica. 

In relazione all’impugnazione da parte della Procura di Padova degli atti di nascita di 33 bambin* figli* di 33 coppie omogenitoriali, non c’è stata un'azione diretta legislativa; l’intervento della Procura è stato una conseguenza di azioni giudiziarie (in particolare, il riconoscimento della gestazione per altri come reato universale da parte della Corte di Cassazione) che sono state promosse dal Ministero dell’Interno tramite circolare. 

Rispetto alla legge 194, l’idea di abrogarla è stata definitivamente abbandonata. Il contrasto radicale all’aborto continua ad esserci; tuttavia, l’iter di abrogazione della legge sarebbe troppo difficile per essere attuato. Le strade informali, dunque, risultano essere le più convenienti; tra queste vi sono: la previsione e il potenziamento dei programmi di contrasto all'aborto, che puntano ad intercettare chiunque voglia accedere all'IVG e a dissuadere da tale scelta; la formazione offerta dai movimenti neocattolici ad assessori e assessore sulle politiche della difesa della vita. 

Anche la carriera alias è un altro dei target delle piattaforme neocattoliche e di alcuni ambiti del femminismo radicale TERF (acronimo che sta per Trans-Exclusionary Radical Feminist). 

In conclusione, se da un lato è difficile scardinare politiche riconosciute a livello europeo e internazionale - per evitare di compromettere le relazioni strette con l’Unione Europea e con gli altri Stati a livello globale - dall’altro è sempre possibile reprimere e restringere sempre di più il campo di azione delle persone, rendendo difficile la loro vita e finendo per perseguitarle nel proprio quotidiano. 

Qualcosa si è mosso. Abbiamo detto che l'equilibrio del non fare ha proseguito indisturbato fino a mercoledì 26 luglio. In quel giorno la Camera dei deputati ha approvato con 166 voti favorevoli, 109 contrari e 4 astenuti la proposta di legge di Fratelli d’Italia che vuole rendere “reato universale” la gestazione per altri (GPA). La GPA - erroneamente chiamata maternità surrogata - è una forma di procreazione assistita che prevede che una persona porti avanti una gravidanza per conto di altre. C’è da sottolineare che ad accedere a tale forma di riproduzione sono soprattutto coppie eterosessuali con problemi di fertilità, persone singole e coppie di uomini (più raro è il caso di coppie di donne). 

La proposta di legge è stata presentata nel mese di marzo e vuole rendere reato universale - e dunque perseguibile - anche la GPA praticata all’estero (quella perseguita in Italia è sempre stata illegale). Tramite essa viene riportata all’attenzione del parlamento una proposta di legge depositata nel 2018 dalla stessa Giorgia Meloni, con la quale si voleva modificare l’articolo 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, in “materia di perseguibilità del reato di surrogazione di maternità commesso all’estero da cittadino italiano”. L’articolo in questione prevede al comma 6 che “chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro”; non si sta parlando solo di GPA, ma anche di altre tecniche di fecondazione assistita quali quelle eterologhe, per cui una persona con utero porta avanti una gravidanza con l’embrione fecondato con un ovulo o uno spermatozoo (o entrambi) donati. La proposta approvata aggiungerebbe al comma la frase “Le pene stabilite dal presente comma si applicano anche se il fatto è commesso all’estero”, applicando il reato a tutte le pratiche di riproduzione assistita elencate nello stesso, che siano avvenute in Italia o in territorio estero. La modifica fa infatti leva sull’articolo 7 del codice penale, secondo il quale la legge italiana può punire tutti quei reati specificati in apposite disposizioni di legge. 

L’approvazione definitiva della legge è quasi una certezza, visto che anche al Senato la maggioranza parlamentare dei partiti di destra sostiene una posizione di rifiuto e penalizzazione totale delle pratiche di riproduzione assistita. Inoltre, la frammentazione all’interno dei partiti di opposizione non aiuta ad elaborare una riflessione politica interna che possa unitariamente contrastarla. 

Armi di distrazione di massa. Spesso si sente dire che tutte le questioni che riguardano la GPA, la carriera alias, le famiglie arcobaleno (il gender, in pratica) sono armi di distrazione di massa, ossia delle questioni che il governo utilizza per distrarre il “popolo” dalle scarse capacità di attuare politiche nazionali. Pensare che quello che sta agendo il governo Meloni è una mera distrazione dalla sua incapacità politica è un errore: “questo è un progetto politico costruito dalla destra insieme ai movimenti neocattolici, da Lega e Fratelli d'Italia”, ribadisce Prearo. Nel lavoro di defascistizzazione del partito di Meloni, rientra l’elaborazione di un programma politico reazionario e conservatorio sui temi della sessualità e del genere. E’ in tale cornice che Meloni ha intercettato i movimenti organizzatori del family day cosicché potesse dare concretizzazione al progetto politico condiviso. “Quel che si sta cercando di fare è ri-rendere il paese culturalmente di destra” e porsi come alternativa era la strada più veloce per impedire l'esistenza delle persone queer. 

Tra realtà sociali e realtà politiche c’è di mezzo il mare. Anche se per il momento non si sono viste azioni dirette di tipo legislativo, il fatto di avere una maggioranza parlamentare che supporta un discorso politico anti-queer e anti-femminista ci fa intendere che la posizione rispetto a tali lotte è già ben definita. “La popolazione LGBT+ è un neo che è lì, non lo si può eliminare, ma gli si riduce lo spazio di esistenza” dice Massimo Prearo, alludendo al fatto che le persone dissidenti all’ordine eterosessuale “sporcano un'identità definita come nazionale, una comunità etnica razzista, sessista e omofobica”.

Ma chi sono queste persone dissidenti e come agiscono nello spazio sociale e politico?

Nella storia delle lotte di rivendicazione queer c’è sempre stata una divaricazione tra associazionismo e attivismo. L’attivismo ha prodotto e produce pratiche, ma anche teoria che spesso rimane inapplicata; l’associazionismo LGBTQIA+, mentre, è basato sul modello Arcigay, un’associazione composta da un “quartiere generale nazionale” che ha la pretesa di rappresentare non solo la realtà associativa, ma tutto il movimento LGBTQIA+. Tale modello è entrato in crisi dagli anni 2000 in poi a seguito del rafforzamento dell’intervento locale con la creazione di nuove reti, determinando una perdita di forza di agire in Arcigay come governance del movimento. Tale spaccatura tra il nazionale ed il locale si riflette nella lotta contro l’avanzamento delle destre in Italia: da una parte abbiamo un fronte unico e unitario della destra che propone un discorso pseudoscientifico difficile da contrastare; dall'altra parte questa unitarietà non c'è e il discorso risulta frammentato tra voci plurali e diverse. C’è da sottolineare che il fronte unito a destra esiste in quanto nella tradizione verticistica della destra e del modello ecclesiastico non è contemplato il pluralismo, mentre dal lato dei diritti il campo è democratico e plurale. 

A livello partitico, i partiti dell'area "progressista" fanno molta più difficoltà a costruire un discorso che sia sul pezzo e che sia aggiornato “con le pratiche, le teorie e le teorie pratiche che con le persone nell'ambito transfemminista queer produciamo quotidianamente, producendo innovazione continua. Le nostre vite producono innovazione esperienziale, identitaria che butta giù i paletti dell'ordine di genere e sessuale”, ribadisce Prearo. Ma a livello politico, questo livello di consapevolezza non c’è. Le persone della politica non riescono - o non vogliono - andare oltre la mera “questione dei diritti”; quando si parla di generi non conformi, affermazione di genere, GPA, carriera alias, c’è da mettere in discussione tutto un sistema eteronormativo che non contempla l’esistenza di persone al di fuori e al di là di esso.

Prearo consiglia al mondo dell’associazionismo e dell’attivismo di seguire e tenere a mente due linee guida/due pratiche al fine di rendere efficace le istanze di lotta:

- continuare a fare della vita minoritaria una politica: portarla in maniera collettiva per scardinare l'ordine;

- convocare/obbligare i partiti che si pongono nell'area progressista a scendere nella conoscenza precisa di "ciò che siamo, ciò che vogliamo e di ciò che abbiamo bisogno per vivere ed esistere".

La lotta deve essere complessa e teorica. “Facciamo teoria avanzata e il rischio è di non essere comprensibili a coloro che non fanno parte della comunità”. La provocazione più comune che si fa a chi fa teoria non ferma Massimo Prearo nel rispondere. L’ottimismo non lo abbandona quando pensa alla disfatta dell’ordine eterosessuale, nonostante l’Italia sia un paese conservatore e tradizionalista che fa di tutto per impedire le trasformazioni sociali. Se non è la politica è e sarà sempre di più il linguaggio a permettere il cambiamento della percezione del mondo e delle persone. “Vedere le persone cambiando le parole e le desinenze”; così il ricercatore riassume la potenza e la capacità di trasformazione che ha il linguaggio. Basti pensare all'acronimo LGBTQIA+, ormai presente nella stampa, nella televisione e nei telegiornali. Quando esso è nato, la resistenza e lo scetticismo ad utilizzarlo era forte, anche nell'associazionismo LGBT+. E’ solo la pratica nel medio-lungo periodo che ha permesso l’imposizione spontanea e l’estensione dell’uso dell’acronimo. La stessa parabola di “normalizzazione” la stanno attraversando anche l’uso della schwa, della u, dell’asterisco. 

La pratica e il tempo sembrano essere le chiavi di apertura della società verso una maggiore comprensione della lotta queer. La convivenza della complessità con la messa in pratica di essa è possibile e la vediamo quotidianamente nella concretezza del linguaggio: usare l'asterisco implica adottare una posizione empirica molto forte, ossia riconoscere l’esistenza delle persone che sono davanti a noi. Mantenere la complessità del discorso è possibile in quanto essa non è astratta ma incarnata nei corpi delle persone LGBTQIA+. “Non cederei di semplificare la realtà; sarebbe meglio rendere più complicato il discorso. Chi ha una politica di semplificazione è esattamente il fronte che cerchiamo di combattere: il gender è frutto di tale processo” sottolinea Prearo. La semplificazione è controproducente politicamente e rinunciare alla complessità significa abbandonare la possibilità concreta di disfare collettivamente l’ordine eterosessuale dominante.