Diritto all’abitare: crisi e resistenza a Treviso

Decine di poliziotti per sfrattare una coppia di anziani invalidi e una signora di 54 anni, mentre in città ci sono quasi seimila alloggi vuoti. Tafferugli con attiviste e attivisti di Caminantes.

12 / 4 / 2024

Oggi la forza pubblica è stata mobilitata per l’esecuzione di due sfratti a Treviso: una coppia di anziani invalidi e una signora di 54 anni alloggiata in una casa dell’Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale (ATER). Era presente l’Associazione Caminantes, che da anni porta avanti percorsi per il diritto all’abitare in città. Mentre nel primo caso è stata ottenuta una proroga, nel secondo il nutrito dispiegamento di dieci volanti e un blindato ha attaccato la resistenza dei solidali riuscendo a effettuare lo sfratto. In risposta, le attiviste e gli attivisti di Caminantes hanno occupato l’ingresso del Comune di Treviso, indicando come questo vergognoso sfratto – che ha messo una persona per strada – sia parte di una più ampia crisi abitativa che ha precisi responsabili politici dal livello locale a quello nazionale.

In linea con una tendenza più generale, la situazione del diritto all’abitare a Treviso ha visto negli ultimi decenni una tendenza al deterioramento, come lo dimostrano le cifre raccolte da Luigi Calesso di Coalizione Civica per Treviso. In primo luogo, il numero di alloggi vuoti in città è passato da 3.052 nel 2001 a 5.861 nel 2021. Questo raddoppiamento si deve anche a un’espansione irrazionale della costruzione su suolo verde, più profittevole rispetto al recupero di aree già edificate.

A fronte di tale impennata di alloggi vuoti, si registra una diminuzione delle case popolari considerate agibili. Queste ultime sono infatti passate da 3.014 unità nel 2006 a 2.051 unità nel 2022. Questo calo, di ben un terzo, è principalmente dovuto alla politica della Regione Veneto, che ha scelto di allocare all’ATER fondi insufficienti alla manutenzione del proprio patrimonio edilizio. Per sopperire ai costi di manutenzione, e non essendo previste possibilità di ‘auto-recupero’ da parte degli inquilini stessi, ATER ricorre così alla vendita e privatizzazione di una proporzione sempre crescente dei propri alloggi. La giunta regionale preferisce invece dare priorità di spesa a grandi opere inutili e dannose (per quanto lucrative per i costruttori), come la Pedemontana o la pista da bob di Cortina.

Non stupisce dunque il trend all’aumento degli sfratti incolpevoli, registratosi almeno a partire dalla crisi finanziaria del 2007-08. Un mercato del lavoro caratterizzato da elevati livelli di precarietà e da salari reali stagnanti si è infatti scontrato con un declino dell’edilizia popolare, proprio quando ce ne sarebbe più bisogno. Eppure, molti amministratori e amministratrici preferiscono ricorrere a comode paternali che colpevolizzano gli individui per problemi aventi invece una chiara radice politica e socioeconomica.

La signora sfrattata ha fatto esperienza diretta della progressiva trasformazione dell’ATER sotto i colpi dell’austerità: ‘In tutto ho avuto a che fare con l’ATER, tra casa mia e quando vivevo con mio papà e mia mamma, per 40 anni. Gli affitti non sono più come una volta, le case dell’ATER erano le case dei “poaretti”, adesso invece è un lusso abitare in una casa dell’ATER, conviene quasi andare da un privato, perché ogni mese c’è sempre qualcosa in più sugli affitti dell’ATER. Ogni mese che vai avanti ne paghi sempre di più, è come se avessi una morosità ogni volta’.

In parallelo al declino del patrimonio edilizio pubblico, assistiamo a una strisciante finanziarizzazione attraverso le partnership pubblico-private note come ‘social housing’. Abbiamo già trattato l’esempio di Investire SGR a Treviso. In questo caso, abitazioni costruite con finanziamenti regionali sono state affidate a una società di gestione immobiliare di proprietà di Banca Finnat, un fondo legato agli ambienti della finanza vaticana e del post-fascismo romano. Investitori di questo tipo vengono attratti dagli sgravi fiscali di cui beneficia il social housing, salvo poi aumentare i canoni a livelli non particolarmente ‘social’, estraendo così profitto da un patrimonio semi-pubblico.

In provincia di Treviso, nel ciclo di lotte per il diritto all’abitare seguito alla crisi finanziaria del 2007-08 – e in particolare tra il 2012 e il 2014 –, la tipica famiglia che si rivolgeva al movimento per la casa locale era migrante e residente in affitto in case private nel territorio provinciale esterno al capoluogo. Si trattava delle fasce della popolazione più colpite dagli impatti della crisi sul mondo del lavoro. Dopo che, nel 2021, è stato sollevato il blocco sugli sfratti entrato in vigore all’inizio della pandemia del COVID-19, si è registrato un forte aumento delle espulsioni dagli immobili ad uso abitativo, complice l’inflazione che ben conosciamo. Oggi, si stima che siano circa 300 le famiglie sotto sfratto nel Comune di Treviso, con una concentrazione in quartieri popolari come Santa Bona, San Paolo e San Liberale. In questa congiuntura, abbiamo visto un aumento delle richieste di solidarietà da parte di persone italiane alloggiate in case popolari e di ‘social housing’ nel perimetro comunale. Qui il fattore principale è la ristrutturazione degli enti preposti all’edilizia popolare in una direzione nettamente orientata al ‘far cassa’, in un contesto in cui l’indebitamento dei nuclei abitativi in difficoltà si aggrava rapidamente a causa degli alti tassi d’interesse vigenti.

Non è sorprendente che le donne siano in prima linea in queste battaglie. Spesso, anche se lavorano come badanti, operatrici sociosanitarie, addette alle pulizie, ecc., il lavoro domestico ricade principalmente su di loro, specie se hanno contratti part-time involontari. Tale lavoro domestico comprende anche l’amministrazione della fitta burocrazia legata all’abitare (bollette, affitti, bandi, sussidi, ecc.) e la gestione di situazioni di crisi. In certi casi, tali crisi sono aggravate dalle fragilità psicologiche e sociali legate anche a una crescente atomizzazione.

La politica abitativa è principalmente di competenza regionale, ma anche il Comune di Treviso è alquanto carente. Segnala Calesso: ‘Nei primi cinque anni di amministrazione Conte sono stati dimezzati i fondi per l’edilizia residenziale pubblica, passati dagli oltre 4 milioni del 2018 agli 1,8 milioni del 2022’. Inoltre, la spesa comunale per il diritto alla casa – ovvero il sostegno al reddito di famiglie residenti in alloggi privati che faticano ad affrontare il costo della vita – è di soli 5,50 euro pro capite. Ciò fa di Treviso il capoluogo veneto che dedica minori risorse a questa voce di spesa, eccezion fatta per Belluno.

Ovviamente, anche il livello nazionale ha importanti responsabilità. È infatti qui che ci sarebbero maggiori strumenti per una politica fiscale più progressiva, in grado di ridurre le disuguaglianze – il cui trend all’aumento continua da decenni – e di espandere l’edilizia popolare in un’ottica di rafforzamento complessivo del welfare e non di mero contenimento della povertà. Un’espansione dell’edilizia popolare, preferibilmente abbinata a una partecipazione comunitaria e dal basso, permetterebbe di coordinare obiettivi sociali ed ecologici in una medesima strategia: recupero delle aree già edificate in decadenza, efficientamento termico ed espansione delle comunità energetiche basate sulle rinnovabili, organizzazione urbanistica tendente a favorire il trasporto pubblico multimodale.

Sebbene queste politiche sarebbero nell’interesse di molti, esse cozzano con quello di grandi costruttori e speculatori edilizi. Di fronte al rimpallo di responsabilità tra i vari livelli amministrativi, Gaia Righetto dell’Associazione Caminantes sottolinea: ‘Mario Conte è della Lega e governa Treviso, l’ATER è amministrata dal leghista Dal Zilio, la Regione è sotto la Lega e al governo c’è la Lega, è quindi difficile nascondere l’assenza di volontà politica dietro schermi burocratici’. Passi avanti in questa direzione possono essere ottenuti solo con interventi politici volti a rafforzare una rigidità del diritto all’abitare di fronte alle esigenze del profitto.