Il governo Meloni tra svolte "autoritarie" e astensionismo

23 / 2 / 2023

Certo non è semplice dare letture univoche dell’operato del governo più a destra di tutta la storia repubblicana e di FDI, il partito di Giorgia Meloni. Lasciando per il momento da parte la componente nostalgica e filofascista che pure ha un suo peso all’interno di questa forza politica, nonostante i tentativi di rifarsi il look, non si scorgono differenze sostanziali con l’ordine neoliberista dominante a livello globale e in particolare in Europa. Lo stesso ordine che ha dettato la linea per tutti i governi precedenti sostenuti anche dalla “sinistra”, compreso l’ultimo, quello del banchiere Draghi, osannato dal PD e anche da una grossa componente del mondo culturale e associativo che una volta potevamo definire “progressista”.

C’è una continuità nella discontinuità: i padroni della macchina produttiva rimangono sempre gli stessi, le banche, la grande finanza internazionale, le multinazionali. Altro che “sovranismo” o ritorno dello Stato-nazione, armamentario ideologico populista a lungo sbandierato da molte componenti del nuovo governo. Semmai, si tratta di un neoliberismo dai toni marcatamente autoritari, che fa dello stato di eccezione il suo mantra strutturale, vedi l’inasprimento della repressione contro ogni forma di opposizione sociale e contro i movimenti autorganizzati. Si tratta di un tentativo di disciplinamento dall’alto che fa perso sul concetto – assai labile – di “ripristino della legalità”, ma che in realtà investe tutti i piani della vita e della riproduzione: dal reddito, al lavoro, alle istanze di liberazione dei movimenti trans-femministi (in nome della famiglia tradizionale e del patriarcato) e ambientali, per finire con le vergognose vicende - intrise di profondo razzismo e odio di classe - del blocco dei porti per le ong che si battono per salvare le vite dei migranti.

L’elenco delle misure repressive è infinito e il liberismo assume il suo volto più feroce e autoritario dove ordine, sicurezza, polizia diventano centrali mostrando la vocazione “necropolitica” della governance ordo-liberista. Ciò comporta anche una trasformazione della forma- Stato in senso presidenzialista o semipresidenzialista, un accentramento dei poteri nell’esecutivo, uno svuotamento delle funzioni parlamentari “rappresentative”, la fine dello “stato di diritto”. Non è un caso che nel programma di Giorgia Meloni il tema della repubblica presidenziale sia all’ordine del giorno.

Ma al di là di queste considerazioni, dobbiamo saper leggere anche l’enorme vuoto politico - o spazio politico, dipende dai punti di vista - che questo processo sta creando. Il dato più eclatante emerso nelle ultime elezioni regionali, ma anche prima, nelle precedenti politiche, è quello dell’inarrestabile processo di astensionismo, di una vera diserzione e rifiuto del voto da parte di moltitudini sempre più vaste. Nella tornata dello scorso 13 febbraio hanno votato solo poco più del 41% degli aventi diritto in Lombardia e addirittura meno del 38% nel Lazio. Un record negativo che appare ancora più netto se comparato con il fatto che alle regionali del 2018 la percentuali di elettori che sono andati a votare nelle due regioni era doppia. Interessante è l'analisi del voto fatta da Youtrend, che ha individuato soprattutto nei disoccupati e nelle donne i soggetti che principalmente si sono astenuti da voto due domeniche fa.

Si tratta di un segnale politico molto forte, che mette in luce la crisi della democrazia rappresentativa e dello “stato di diritto” così come esso si è affermato nella modernità all’interno dello sviluppo capitalistico, attraversando le sue crisi e le sue ricomposizioni. Rifiuto di massa, diserzione elettorale, passività: lungi dal ritenere queste categorie in sé significative, o cadere nell’esaltazione acritica del pensiero destituente, si tratta però di interpretarle dal punto di vista di classe, di come questa vasta area molteplice ed indefinita possa essere “soggettivata”, quali siano oggi le modalità attraverso le quali è possibile immaginare un nuovo potere costituente.