Sul parassitismo del capitale e sulla sua rendita

L'attacco finale

Eurozona contro Europa

21 / 7 / 2012

*[...] paura considerata la sola a motivare l'obbedienza alla legge e giustificare, secondo Hobbes, la violenza dello Stato creatore e detentore del diritto e perciò autorizzato a sospenderlo. Ma oggi la paura è per lo più creata dalla speculazione finanziaria non dalla sovranità di uno Stato Europa, perchè non esiste, bensì da un Leviatano burocratico che soggioga Stati sovrani derivando la sua forza dal capitalismo finanziario che va erodendo i fondamentali diritti umani* (Guido Rossi, Il Sole 24 Ore, domenica 22 luglio)

Partiamo da un dato fondamentale: l'avanzo primario dello Stato italiano è attivo; miliardi di euro corrispondenti in valore relativo a diversi punti di PIL (tra il 3 ed il 4%, anche se il dato year to date è di difficile proiezione alla luce dei prossimi due trimestri di montagne russe).

Questo significa che incassi ed uscite – incluso spesa sociale e previdenziale- sono comparabili e prevalgono i primi sulle seconde. Non solo: questo trend è stato "conquistato" già da qualche anno.

Usando il linguaggio del conto economico dei bilanci aziendali, questo razionale denota equilibrio sui fondamentali fino a che si arriva alla cosiddetta gestione caratteristica.

Dov'è il fattore di collasso? Esso si annida negli interessi passivi sul debito, che si stimano in poco meno di 90mld€ per l'anno in corso – lo spread batte su questo numero in maniera direttamente proporzionale, id est si alza l'uno e si alza l'altro.

Per avere un'idea della cifra comparatela al risparmio di spesa che otterrà l'odiosa spending review (24mld€ in tre anni): l'interesse passivo che la Repubblica paga al detentori di titoli di debito sovrano è anno su anno di oltre 10 volte superiore ai risparmi cui siamo chiamati a contribuire tutti noi con una peggiore sanità, un sistema formativo messo a dieta ferrea di finanziamenti, il taglio ulteriore dei trasferimenti agli enti locali, la rinuncia al sistema pensionistico retributivo, la demolizione del sistema di garanzie del lavoro e via sommando.

Volendo semplificare, stiamo rinunciando a ciò che per noi è moltissimo incidendo per nulla sulla malattia e solo tamponando con l'aspirina il paziente in coma farmacologico.

Facciamo un passo in avanti: a chi stiamo dando questi soldi? La tendenza in corso è la rinazionalizzazione del debito, ovvero alla scadenza dei titoli i detentori esteri – privati non speculativi ed istituzionali- non rinnovano l'investimento ed il gap viene colmato dai corrispondenti investitori nazionali. É avvenuto per la Grecia, per la Spagna e si conferma per il mercato italiano.

I titoli poi vengono collocati nei bilanci, ad esempio, delle Banche italiane e laddove possibile proposti ai correntisti nazionali. Se collasso sarà, è prevedibile pensare che esse verranno salvate socializzandone le perdite (vedasi i casi avuti dal 2008 o per default precedenti). Prima avviene l'accumulazione da banditi della rendita finanziaria, quindi, magari, la condivisione del disequilibrio per "salvare l'istituzione finanziaria".

Servono altri elementi di prova per dimostrare la fine dell'eurozona di Maastricht? Quale patto sopravvive alla scelta di ogni Stato di giocare il proprio futuro puntando – per scelta o per necessità di prosecuzione del coma di cui prima- solo sul proprio bilancio?

E qui non centra poco il sistema di governance bancaria; la scelta è politica. Deutsche Bank o RBS piuttosto che Unicredit non decidono di non rinnovare più 5 o 6 mld€ di titoli di altri paesi senza che il rispettivo governo ne sia attento co-decisore.

Su un piano di scambi finanziari globali e di rapporti di potere tra aggregati geopolitici sottolineo che lo scambio euro su dollaro continua a calare tendendo alla parità, scenario fantascientifico fino a pochi anni fa.

Colgo, per inciso, l'occasione per marcare una tragicomica analogia di curriculum formativo (Harvard & Yale) e di politica economica  (neoliberalismo & Marshall) tra Vittorio Grilli e Domingo Felipe "Mingo" Cavallo, protagonista del default argentino.

A me pare che la sproporzione mostruosa tra interessi crescenti sul debito ed il clamoroso drenaggio di denaro dalla ricchezza sociale – cos'è se non questo la demolizione del welfare state e le manovre in essere o in cantiere?- sia la materialissima sfida del capitalismo finanziario. Sfida lanciata come una vera e propria offensiva di classe contro di noi, contro chi lavora produttivamente – si badi, nel senso marxiano della parola e non “bonomiano” che allude invece all'alleanza dei “produttori”. Quello che è in corso è un gigantesco trasferimento di denaro da una parte all'altra, ed il saldo è a vantaggio della rendita in ragione del parassitismo dal capitale.

La battaglia è in corso, ora in Spagna. Ad agosto da noi.

Non se ne esce reclamando il ritorno alla cosiddetta economia reale -che in alcuni giornali si descrive come virtuosa a differenza della smaterializzata finanza globale. Se ne esce avendo ben chiaro che il capitalismo -anche quello in corso- è un rapporto sociale storicamente determinato al quale i cittadini dell'europa possono – direi: devono!-contrapporre un ciclo di lotte che rovescino la miseria del presente in qualcosa di diverso e più giusto.

11 anni fa a Genova lanciavamo una sfida, uscendo dallo Stadio Carlini. Le combat continue, la storia è tutt'altro che finita.