«No ai CPR»: l’appello contro l’apertura di uno o due centri in Trentino-Alto Adige

L'invito a costruire un coordinamento regionale per opporsi ai centri di detenzione.

1 / 9 / 2023

Sono diversi anni che il presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, annuncia che il territorio si deve dotare di un CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) come “soluzione” per le persone migranti senza titolo soggiorno o per prevenire la microcriminalità. Ad essere precisi è dal 2017 che l’esponente della Südtiroler Volkspartei (SVP – Partito Popolare Sudtirolese), solitamente nel mezzo della stagione invernale, trovandosi con un numero elevato di richiedenti asilo fuori accoglienza, mescola i piani e invece che indicare soluzioni strutturali al problema dell’accoglienza, in quella che è la provincia più ricca d’Italia, sposta l’attenzione parlando di espulsioni e rimpatri.

Kompatscher da inizio gennaio 2019 ha anche stretto un’intesa con la Lega di Matteo Salvini per governare la provincia, anche se lui ha sempre precisato che non si è trattato di “una svolta a destra“. E non è mai stato un segreto che uno dei temi sui quali c’è maggiore sintonia tra SVP e Lega è la (non) gestione dell’accoglienza, a tal punto che l’Alto Adige nel 2016 è stato il primo territorio in Italia a non garantire tramite la circolare Critelli l’accoglienza ai richiedenti asilo che arrivano dalle rotte terresti, quindi non ricollocate dopo uno sbarco.

Da qualche giorno per Kompatscher, i centri prossimi all’apertura sarebbero diventati due, uno in provincia di Bolzano, l’altro in quella di Trento. Ed è in risposta a queste affermazioni che un gruppo di realtà sociali regionali, a partire da Bozen Solidale e dal Centro sociale Bruno di Trento, ha deciso di promuovere un appello e un’assemblea pubblica il 20 settembre alla Spazio autogestito 77 in via Dalmazia 77 F a Bolzano.

«Rifiutiamo qualsiasi ipotesi di apertura di uno o più centri di detenzione amministrativa (o centri di espulsione) per le persone migranti senza titolo di soggiorno. I CPR sono centri in cui qualsiasi diritto viene cancellato», scrivono le organizzazioni che spiegano le motivazioni per cui è necessario opporsi alla loro realizzazione.

«Dietro a quelle mura sono nascosti abusi reiterati che portano le persone ad atti quotidiani di autolesionismo e a tentativi di suicidio. Le morti all’interno dei CPR sono, ad oggi, più di trenta.
I CPR sono definiti dei lager per le condizioni di oppressione e non sono altro che luoghi di controllo, segregazione e tortura di essere umani, i quali hanno come unica “colpa” quella di essere privi di un permesso di soggiorno. Molte inchieste giornalistiche e report di associazioni e collettivi, le stesse relazioni del Garante nazionale dei detenuti, hanno messo in luce che i CPR sono strutturalmente incompatibili con i diritti umani, caratterizzati da innumerevoli violazioni di quei diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Costituzione (diritto alla difesa, alla salute, a una vita dignitosa, alla libertà di comunicazione con l’esterno). Oltre a tutto questo, diversi servizi televisivi e l’inchiesta di Altreconomia “Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei CPR italiani” hanno confermato l’uso abnorme e senza controllo di antiepilettici, antipsicotici e antidepressivi.

Sono, inoltre, una spesa a carico della collettività che arricchisce enti gestori privati senza scrupoli e improbabili multinazionali. Secondo il rapporto “L’affare Cpr. Il profitto sulla pelle delle persone migranti” di CILD, nel periodo 2021-2023 le Prefetture hanno bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro finalizzate alla gestione dei 10 CPR presenti in Italia, cui vanno ancora sommati ingenti costi relativi alla manutenzione delle strutture e delle forze dell’ordine. Nel periodo 2018-2021 i costi di gestione (anche questi parziali) sono stati di 44 milioni. Sono risorse sottratte al welfare e ai progetti di inclusione sociale e di regolarizzazione che sono l’unica vera alternativa all’abbandono e alla segregazione razziale.
La presenza di persone senza documenti e quindi “irregolari” va sanata con politiche volte alla regolarizzazione, abolendo la legge Bossi-Fini e tutti quei decreti “sicurezza” che hanno precarizzato lo status giuridico delle persone migranti, che le hanno rese irregolari e maggiormente a rischio di marginalizzazione.

Infine, l’idea di realizzare un CPR al fine di reprimere episodi di criminalità risulta, oltre che illogica, fuorviante. Le persone trattenute sono spesso sottoposte a trasferimenti tra centri, per cui non di rado chi viene fermato senza documenti in una regione si trova ad uscire dal CPR in una regione differente, senza alcun punto di riferimento sul territorio.

Anche se buona parte dell’opinione pubblica, condizionata e impaurita da campagne mediatiche mistificatorie, giustifica ed accetta tutto questo, considerandolo come il male minore, vogliamo continuare a sostenere i valori dell’accoglienza e della solidarietà tra persone e la necessità di ripensare le politiche nazionali ed europee in tema di immigrazione per allargare il diritto fondamentale alla libera circolazione anche ai cittadini non comunitari. Sosteniamo, perciò, l’emersione dal “soggiorno in nero” con un’interpretazione estensiva del diritto e con l’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione per ogni singolo cittadino straniero già presente in Italia».

L’appello si conclude con l’invito a firmare l’appello e a partecipare all’assemblea pubblica per costruire un coordinamento regionale che cerchi con mobilitazioni e iniziative di informare la cittadinanza e nel contempo contrastare l’apertura del o dei CPR.

È possibile aderire scrivendo a: [email protected].

Immagine di copertina: Giovanna Dimitolo (Manifestazione a Milano, dicembre 2021)

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