Chiapas: il paramilitarismo nella contrainsurgencia

7 / 8 / 2023

Nel contesto delle molteplici forme di violenza neoliberista che prevalgono in ambito mondiale e nazionale, nel dibattito “Dall’orrore della guerra alla resistenza per la vita”, convocato per la situazione di emergenza in cui versano i territori dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ho esposto, nel tavolo di discussione sulla violenza, l'approfondirsi della strategia della guerra di contrainsurgencia attraverso l’azione di vari attori armati. Da un lato gruppi di paramilitari come l’Orcao, che moltiplicano i loro attacchi contro le comunità zapatiste e, dall’altro, la presenza crescente in tutto il Chiapas di cartelli del cosiddetto crimine organizzato, nel segno di un processo di militarizzazione e militarismo proseguito con l’attuale governo.

La pratica del paramilitarismo dura da vari decenni, a partire da una tattica militare di contro-guerrilla conosciuta come “incudine e martello”, secondo la quale l’Esercito e i corpi di polizia adottano una funzione passiva di forze di contenimento, che permettono di realizzare, in questo caso, la funzione attiva di aggressione contro l’EZLN e le sue basi d’appoggio da parte dei gruppi paramilitari (martello). A partire dallo scoppio della ribellione zapatista si sono ridefiniti i gruppi paramilitari.

Esiste così un elemento cruciale nella strategia contro-insurrezionale: l’azione dei paramilitari che sono usati per compiti che le forze armate preferiscono non realizzare direttamente. Questa è stata una tattica utilizzata in Guatemala, sebbene lì l’esercito abbia giocato direttamente un ruolo fondamentale nel genocidio compiuto contro gli indigeni. Nel conflitto guatemalteco, acuitosi nel decennio 1960, incontriamo quello che potrebbe essere il laboratorio di para-militarizzazione e militarizzazione del centroamerica e del Messico.

Gruppi di estrema destra che si presentavano come autonomi ma erano ascritti alla sezione di intelligence (G-2) dell’esercito guatemalteco, pattuglie di autodifesa civile che inizialmente vennero reclutate dall’esercitò in forma obbligatoria e che hanno avuto ruoli nei massacri, il controllo militare delle comunità, la pratica della terra bruciata durante il governo di Efrain Rios Mont (processato per genocidio) negli anni ’80, non erano altro che l’equivalente del bombardamento delle comunità con la popolazione all’interno. Sono esempi di un’esperienza che nel corso di 36 anni ha lasciato centomila morti, quarantamila desaparecidos, cinquantamila rifugiati all’estero, molti dei quali in Messico, un milione di sfollati in altre parti del paese, seicento mattanze collettive e una esperienza di repressione che trascende le frontiere del Guatemala, ad esempio il Kaibil, corpo speciale dell’esercito guatemalteco, particolarmente sanguinario, addestra le forze armate messicane.

Il legame con lo Stato fornisce un elemento fondamentale per una definizione dell’esperienza latino-americana. I gruppi paramilitari sono coloro che dispongono di organizzazione, equipaggiamento e addestramento militare, ai quali lo Stato delega le missioni che le forze armate non possono compiere apertamente, senza che questo implichi il riconoscimento della loro esistenza come parte del monopolio della violenza statale.

I gruppi paramilitari sono illegali e impuniti così conviene agli interessi dello Stato.

Il fenomeno paramilitare consiste quindi nell’esercizio illegale e impunito della violenza dello Stato e nell’occultamento dell’origine di tale violenza. Soprattutto nei casi del Chiapas, Guerrero e Oaxaca il paramilitarismo serve ai fini della contrainsurgencia, distrugge o deteriora profondamente il tessuto sociale delle comunità e delle organizzazioni sociali in resistenza.

Agisce sotto le più diverse espressioni: attacca i fornitori di servizi sociali, provocando le condizioni di espulsione e sfollamento delle comunità indigene e contadine, si coalizza con le autorità civili, esercita vessazioni attraverso l'azione di giudici corrotti e polizia giudiziaria, si infiltra in associazioni religiose svolgendo attività di intelligence, solleva istanze riguardo allo sviluppo che causano clientelismo e degrado ambientale, come il programma Sembrando Vida (Seminando Vita), e identifica come nemici dello sviluppo le comunità che non assecondano la logica del capitale e, soprattutto, dà origine e alimenta la spirale di violenza nelle comunità rendendola un modo di vita sistemico.

Anche lo svilupparsi nelle comunità del Chiapas e di altri stati del paese di fenomeni come la prostituzione, il consumo di alcohol, la violenza domestica, è il risultato della presenza dell’Esercito come ha documentato Juan Balboa dal 1997 (La Jornada 27/1/97).

Questa è solo una parte della guerra di ampio spettro che si vive in Chiapas (e in altri stati del paese) e che denunciamo in questo dibattito, con il proposito di rompere l’assedio mediatico e il negazionismo che da parte dello Stato messicano alimenta l’impunità.

Articolo originale pubblicato su La Jornada, tradotto da Lorenzo Faccini.