Rivoluzionario o signore della guerra? Kakule Sikula Lafontaine è l’ambiguo generale a capo del gruppo ribelle dei Mayi-Mayi nella zona settentrionale del Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo (Rdc).
È sulla breccia, pur con alterne fortune, da oltre dieci anni e già questo ne testimonia le capacità diplomatiche. Nel 2002 partecipò alla Conferenza di Sun City (Sudafrica), dove le diverse fazioni in lotta si confrontarono sul futuro della Rdc, senza tuttavia raggiungere soluzioni definitive. Oggi Lafontaine è un personaggio meno pittoresco di quando indossava (e faceva indossare ai suoi uomini) gli abiti della tradizione locale, mutuandone anche metodi di combattimento e riti d’iniziazione. Veste in grigioverde militare e la sua scorta è armata di kalashnikov.
Lafontaine e il suo gruppo si sono macchiati di nefandezze e soprusi nei confronti della popolazione del Nord Kivu: in molti, tuttavia, continuano a riporre in loro gran parte delle proprie speranze di pace, e gli incaricati dell’Onu considerano il generale un possibile strumento di stabilizzazione dell’area. Il territorio su cui si muove la banda di Lafontaine, il Nord Kivu, è popolato in prevalenza dalla tribù Nande, la stessa da cui provengono i suoi membri. È tra le regioni più ricche di risorse al mondo (qui si trovano in abbondanza oro, diamanti, coltan, cassiterite, legname e acqua), eppure i suoi abitanti vivono di mera sussistenza. La Rdc, con 400 $ annui, ha l’infausto primato del pil pro capite più basso del pianeta.
Da qualche mese il “Movimento 23 marzo” (M23) - gruppo ribelle a maggioranza tutsi, sospettato di forti contiguità con il Governo ruandese e guidato da Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra - ha occupato militarmente diverse zone del Nord Kivu, proponendosi come interlocutore politico e nominando un proprio gabinetto il 19 agosto. In questa fase si assiste a una temporanea quando paradossale convergenza di interessi tra l’M23 e i Mayi-Mayi di Lafontaine: entrambi i gruppi, pur con obiettivi diversissimi, vorrebbero infatti rovesciare l’attuale presidente Joseph Kabila, la cui posizione sarebbe ormai compromessa agli occhi della comunità internazionale. A fine agosto Lafontaine ha incontrato nel mezzo della foresta pluviale, nel territorio di Lubero, alcuni emissari dell’Onu, impegnati nel progetto Ddrrr (finalizzato all’individuazione, al disarmo e al rimpatrio dei combattenti stranieri sia nel Nord che nel Sud Kivu).
Di seguito l’intervista concessa al termine del colloquio con le Nazioni Unite.
LIMES Cosa serve, oggi, alla Repubblica Democratica del Congo?
LAFONTAINE
Credo ci sia bisogno di un cambiamento politico. Da oltre un decennio
il paese non è governato. In Rdc si pone un problema di leadership: i
nostri governanti dovrebbero trattare le questioni importanti per
l’interesse collettivo, non lavorare per se stessi. Per questo è
necessaria una svolta.
LIMES Servirebbe, oggi, un’altra Sun City?
LAFONTAINE
Questo non dipende da me o dai congolesi. L’incontro di Sun City fu
richiesto dalla comunità internazionale, una volta constatata la mancata
intesa tra i belligeranti. Una “Sun City bis” non la rifiuterei a
priori: ma non dovrebbe limitarsi a una mera spartizione di potere,
dovrebbe essere funzionale alla soluzione dei veri problemi del paese.
Essere nominati ministro o generale dev’essere un mezzo, non un fine.
LIMES Il panorama degli interessi nel Nord
Kivu è particolarmente complesso. Si confrontano, con ruoli e alleanze
non sempre chiare, la Fardc (l’esercito regolare della Repubblica
Democratica del Congo), i ribelli Mayi-Mayi che lei rappresenta, l’Fdlr
(esuli rwandesi di etnia hutu), l’M23 (gruppo a maggioranza tutsi,
contiguo al Ruanda, fuoriuscito ad aprile dalla Fardc). Ma occorre
considerare la presenza della Monusco - la missione Onu - e quella, più o
meno discreta, delle potenze straniere: Ruanda e Uganda a livello
regionale, Stati Uniti, Europa e Cina su base planetaria. Ritiene che
l’evoluzione degli equilibri, in questi ultimi mesi, possa aprire
davvero degli spiragli di pace?
LAFONTAINE
Mentirei se dicessi che vedo una soluzione rapida, dato l’intersecarsi
degli interessi in gioco. Ciò che alimenta la guerra, ciò che crea
questa barbarie, non è altro che la ricchezza del suolo: tutti cercano
il loro “sacco d’oro”. A modificare e ingarbugliare il quadro concorrono
la recente scoperta del petrolio, ma anche la firma da parte di Joseph
Kabila di alcuni contratti di collaborazione con i cinesi: cosa che gli
Stati Uniti e l’Europa non hanno certo apprezzato. La presenza nel Kivu
dell’Fdlr, cioè dei cosiddetti “genocidari” hutu fuggiti dal Ruanda, non
è che un alibi, una scusa, per giustificare la presenza delle forze
armate straniere e favorire la sottrazione delle nostre materie prime.
L’attuale
presidente congolese non ha la forza per impedirlo. Al contrario,
Kabila ha di fatto spalancato le porte ai ruandesi, agli statunitensi,
agli europei. Ha ammesso - ci sono dei documenti che lo attestano - di
avere formato e armato l’Fdlr nella Rdc. Il presidente del Ruanda Paul
Kagame, di conseguenza, si è sentito autorizzato a entrare nel nostro
paese per braccare i “genocidari”, con il beneplacito della comunità
internazionale. Tutto questo, ça va sans dire, ha pesantemente
indebolito la diplomazia congolese: con quale credibilità può
presentarsi a Kampala, a Durban o in qualunque consesso internazionale,
dopo che il presidente ha perso la faccia?
LIMES È lecito supporre che, in questo
momento, voi Mayi-Mayi e l’M23 possiate condividere gli stessi
obiettivi? Come giudicate il cambiamento del “Movimento 23 marzo”, che
il 19 agosto si è voluto dare una veste politica e non solamente
militare?
LAFONTAINE Premetto di aver
avanzato la mia proposta politica assai prima dell’M23: la nostra
formazione si chiama Upcp (Unione dei patrioti congolesi per la pace).
Inoltre, dobbiamo intenderci sui termini: io stesso ritengo di far parte
dell’M23, se con questa sigla si fa riferimento al 23 marzo 2009, data
della firma degli accordi di Goma tra i ribelli e il governo congolese.
Quel giorno ero là e non vedo perché non possa far riferimento io stesso
a quell’evento. La sigla M23, per me, non è che un memento: un modo di
ricordare al governo che, il 23 marzo 2009, ha sottoscritto con noi
degli accordi.
Detto questo, io non condivido nulla e non condividerò
mai nulla con i sedicenti M23. Rivendicano il ritorno dei rifugiati
congolesi in Ruanda, ma io non conosco alcun rifugiato in Ruanda.
Vogliono proteggere e favorire la comunità tutsi nella vita politica
della Rdc: io non sono tutsi, quindi non mi riguarda. Intendono inserire
elementi tutsi nell’esercito nazionale congolese: io non sono un
militare tutsi, quindi non sono incluso. Ancora, vogliono cancellare con
la forza l’Fdlr dal Congo; questa non è la mia missione. Secondo me la
questione dei presunti “genocidari” non va risolta con le armi: va
trattata diplomaticamente, politicamente. Il quinto e ultimo punto che
mi distingue dall’M23 è la volontà di scindere questa zona dalla Rdc e
di creare una Repubblica del Virunga.
Ebbene: se persistono in
questo programma, non potrò mai condividerlo. Allo stesso tempo, se mi
dicessero che il loro obiettivo è la deposizione di Kabila, un radicale
cambiamento politico nel paese, allora potremmo trovare dei punti
d’incontro. Ma prima di tutto bisognerebbe porre loro la questione:
siete congolesi o ruandesi? Se siete congolesi, comportatevi da tali. Se
siete ruandesi, tornate in Ruanda. Il fatto che giochino entrambi i
ruoli è inaccettabile.
[Carta di Laura Canali]
LIMES Non condivide la scissione dell’area del Kivu. Vuole una Rdc unita?
LAFONTAINE Certo. Voglio un Congo unito, non fatto a pezzi né “balcanizzato”.
LIMES Pensate sia possibile deporre Kabila con la diplomazia, o credete che si debbano utilizzare le armi?
LAFONTAINE La diplomazia viene dopo. Per poter aver peso nella trattativa, occorre dimostrare la propria forza.
LIMES Da quanto tempo sta combattendo?
LAFONTAINE
Sono nell’esercito dal 1996. Sono militare sin dall’epoca del
presidente Laurent-Désiré Kabila. Con suo figlio Joseph ci conosciamo
molto bene: abbiamo lavorato nello stesso ufficio. Posso dire con
certezza che quel tizio non può condurci verso un Congo migliore. Ed è
per questo che, molto prima di altri, molto prima dell’M23, ho lasciato
l’esercito nazionale, entrando a far parte dei Mayi-Mayi nel 1999.
LIMES I Mayi-Mayi si pongono come difensori
delle tradizioni locali. È cambiato molto, in questi 13 anni, il modo di
vivere e interpretare il vostro ruolo?
LAFONTAINE
Si, i cambiamenti sono radicali. All’inizio combattevamo con le lance,
osservavamo dei riti tradizionali. Ora no, siamo costretti a fare i
conti con la modernità. Quando il nemico si presenta con la
mitragliatrice, sei obbligato ad adeguarti.
LIMES Presso di voi sono ancora dei docteur (sorta di sciamani che sovrintendevano ai riti ancestrali d’iniziazione dei Mayi-Mayi)?
LAFONTAINE Docteur? (sorriso imbarazzato) No. Li stiamo allontanando...
LIMES Che cosa chiede - se chiede qualche cosa - all’Europa?
LAFONTAINE
Ciò che avviene oggi in Congo è in gran parte imputabile all’Europa.
Non ci ha aiutato, non ha fatto in modo che potessimo ritrovare la pace.
Noi
siamo stati colonizzati dall’Europa attraverso il Belgio. Nel periodo
in cui i belgi controllavano Congo e Ruanda-Urundi, imposero l’idea
della presunta superiorità dell’etnia tutsi. Dissero di fronte al mondo
che tutti gli altri africani erano deboli, inadatti al comando. Solo i
tutsi, a loro avviso, erano in grado di avere responsabilità di potere.
Da qui discende l’arroganza dei rwandesi tutsi, che vogliono ingerire
nelle nostre questioni. Essi sono ancora oggi al servizio dell’Europa.
Ma
torniamo alla domanda. All’Europa - e a tutte le potenze interessate
alle nostre risorse, al punto da alimentare la guerra - facciamo una
proposta: sediamoci attorno a un tavolo e mettiamoci d’accordo. Vi serve
l’oro? Ve lo diamo. Vi chiederemo in cambio del fufu (piatto africano a base di verdure, ndr). Qual è il problema?
Fermiamo
questo inutile conflitto, che sta distruggendo e affamando il nostro
paese. Se l’Europa vuole davvero aiutarci, venga a trattare direttamente
con noi, anziché rivolgersi a destra e a manca per mettere le mani
sull’oro.
LIMES Quanto tempo servirà prima che accada qualche cosa, prima che arrivi il cambiamento che volete?
LAFONTAINE
Non so rispondere a questa domanda. Bisognerebbe rivolgerla ai
governanti europei. So solo che noi, qui, stiamo morendo per niente.