Libia - Accordo rimandato, intervento più vicino

Di Giorgia Grifoni

17 / 12 / 2015

Tobruk e Tripoli non hanno il pieno consenso dei loro deputati, mentre altre fazioni al di fuori degli emicicli si opporrebbero a quella da molti è stata definita “un’imposizione straniera”. Il rischio di un intervento senza l’avvallo delle autorità del paese si fa più concreto.

AGGIORNAMENTO ORE 14.00 – ANCORA DUBBI SULL’ACCORDO DI PACE. UN ALTRO RINVIO

Quando sembrava tutto pronto per la firma, è di nuovo saltato l’accordo di pace per la Libia  e si va verso un altro rinvio. Secondo voci non ancora confermate, i rappresentanti del  Parlamento di Tobruk hanno abbandonato l’aula in cui si sarebbe dovuta siglare, già ieri, l’intesa.Nel giro di poche ore, l’intesa su cui lavora la diplomazia internazionale è stata messa in dubbio dall’inconciliabità delle posizioni delle parti che partecipano ai colloqui. Stamattina erano emerse divergenze tra Tobruk e Tripoli sui nomi da designare alla presidenza condivisa prevista dall’intesa.Il generale Khalifa Haftar fa sentire il suo peso e ha dichiarato che per raggiungere l’accordo è necessario inserire nel testo i punti, dodici, da egli stesso suggeriti, tra cui la fine dell’ebargo sulle armi.

AGGIORNAMENTO ORE 10.00 – ATTESA PER OGGI LA FIRMA DEL TRATTATO DI PACE

“Problemi logistici” hanno costretto al rinvio della firma dell’accordo di Pace, prevista per ieri, che invece potrebbe essere siglato oggi in Marocco, tra i rappresentanti del Parlamenti di Tobruk (sostenuto dall’Occidente) e di Tripoli. Le questioni logistiche, evocate da un funzionario delle Nazioni Unite, non sono però il reale ostacolo alla stipula di un trattato che allo stato attuale non gode del sostegno di tutte le parti.Intanto, ieri sera il generale Khalifa Haftar, che guida le forse alleate al governo di Tobruk, durante un incontro con l’inviato Onu ha sollevato la questione dell’embargo sulle armi imposto alla Libia. Haftar ha chiesto che il blocco sia tolto, per sostenere la battaglia delle sue forze contro i jihadisti.

A quanto pare, questo accordo non è proprio “quello che vogliono i libici”, come ha proclamato il segretario di Stato Usa John Kerry durante la conferenza internazionale sulla Libia tenutasi domenica scorsa a Roma. La fatidica firma, che ieri avrebbe dovuto riunire i due parlamenti rivali sotto l’ombrello di un esecutivo di unità nazionale, non c’è stata. E ora comincia la parte più difficile.

Ieri i delegati della Camera dei Rappresentanti di Tobruk – sostenuta dall’Occidente, ndr – e del Congresso generale nazionale di Tripoli avrebbero dovuto incontrarsi a Skhirat, in Marocco, per firmare l’accordo elaborato dall’Onu e definito domenica scorsa da Italia e Stati Uniti come “storico”. L’ottimismo al summit di Roma era palpabile, mentre analisti e stampa internazionale si interrogavano sulla reale implementazione di tale accordo: non solo non era condiviso da tutte le fazioni belligeranti sul campo, ma soprattutto non era stato ancora accettato all’unanimità dai  parlamenti stessi.

Ma Onu, Usa e Italia avevano insistito, alla presenza di altri 16 paesi e 3 organizzazioni internazionali: “I delegati libici presenti qui a Roma – aveva dichiarato l’inviato speciale Onu per la Libia Martin Kobler in conferenza stampa – rappresentano la maggioranza del popolo libico. Stiamo dalla parte di tutti i libici che hanno chiesto una rapida formazione di un governo di unità nazionale basato sugli accordi di Skhirat”. Poi martedì, improvvisamente, i delegati di entrambi i parlamenti si sono riuniti a Malta e hanno chiesto di posporre la firma. Perché, come riporta il Times of Malta citando i delegati “alle attuali condizioni, va contro la volontà del popolo libico” ed equivale a “un’imposizione straniera”.

“Ci siamo incontrati – ha detto Nouri Abusahmain, presidente del Congresso nazionale – per trovare una soluzione alla crisi libica e per far sapere al mondo che siamo in grado di lavorare ai nostri problemi da soli e con il sostegno della comunità internazionale, ma non accetteremo l’intervento straniero contro la volontà del popolo libico”. Uno schiaffo in faccia a quel “pieno sostegno” manifestato dai delegati internazionali a Roma che però è stato percepito come un’eccessiva pressione su due entità politiche che ancora stentano a raggiungere l’unanimità sull’accordo.

Molti analisti avevano fatto notare la pericolosità della formazione di un governo di unità nazionale messo su in fretta e in furia, un governo che avrebbe rappresentato solo parte degli emicicli di Tripoli e Tobruk – i deputati di quest’ultima sono stati eletti con un’affluenza del 18 per cento, ndr – e non l’intero spettro politico e tribale che negli ultimi quattro anni si è fronteggiato sul territorio. Proprio la peculiarità della situazione libica – il potere retto dai clan, che Gheddafi per 40 anni era riuscito a tenere sotto di sé grazie a un delicato sistema clientelare – e le voci degli ultimi giorni per cui alcuni clan non fossero stati interpellati sull’accordo (e sulla spartizione delle risorse in ballo), avevano accresciuto i dubbi sull’implementazione di tale accordo.

Ad esempio, ci si chiedeva come potesse un governo di unità nazionale che non rappresenta tutti i libici essere accolto a Tripoli, città dove la violenza riemerge puntualmente e dove i membri del Parlamento sono costretti a dormire in hotel sotto sorveglianza; come insediare un governo prim’ancora che i due parlamenti abbiano messo d’accordo tutti quelli che li compongono, e poi abbiano messo d’accordo le milizie a loro legate; come riuscire a fare tutto questo in 40 giorni, con l’Isis che avanza sia a est che a ovest della sua roccaforte Sirte minacciando giacimenti, terminal petroliferi e le alleanze per il controllo delle preziose aree.

“Se un governo di unità nazionale fosse formato ora – ha avvertito il think tank statunitense Soufan Group – ci saranno probabilmente fazioni dei due governi che rifiuteranno di accettare la sua legittimità. Il governo nascente probabilmente si ritroverà invischiato in una battaglia prima ancora che l’inchiostro sia asciutto.” Altri pensano che, se le Nazioni Unite ignorassero l’appello dei due governi e continuassero a premere per un governo di unità nazionale immediato, si avrebbero addirittura tre parlamenti. “A quel punto ci sarebbe il caos – ha spiegato l’analista Mohamed Eljarh sulle colonne del Guardian – e nessun governo di unità nazionale. Sarebbe una follia”.Il presidente della Camera dei Rappresentanti Aguila Saleh Issa ha comunque invitato la comunità internazionale a considerare gli sforzi fatti fino ad ora: “Le consultazioni – ha detto all’incontro di Malta – ci danno tempo per formare un governo di unità nazionale efficace. Agire in fretta porterebbe portare ulteriori problemi in futuro”. Ma il tempo, per la comunità internazionale, non c’è: l’avanzata dell’Isis con tutte le sue conseguenze – conquista delle aree petrolifere e aumento di flussi migratori – esige un intervento immediato che l’Occidente vorrebbe portare avanti mascherato come “richiesta” delle autorità libiche.Con il protrarsi dello stallo politico, l’intervento da parte di alcuni paesi direttamente minacciati – come la Francia – ci sarà comunque, un’eventualità che gli Stati Uniti stanno cercando di evitare.

Proprio Parigi, dove il mese scorso una serie di attentati dell’Isis hanno ucciso 130 persone, ha ammesso di aver mandato i suoi primi voli di ricognizione in Libia, con il premier Manuel Valls che ha dichiarato che la lotta all’Isis sul suolo libico sarà intrapresa presto.Anche la Gran Bretagna si muove nella stessa direzione, secondo alcune indiscrezioni rivelate dalla stampa inglese, previo un voto alla Camera dei Comuni. Dopotutto, petrolio e migranti sono la priorità, alla faccia della stabilità e della sicurezza del paese nordafricano.


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