Uno sguardo sul Sudan: speranza, rivoluzioni e sacrifici nella lotta del popolo. Pt 1

Prima parte: il mosaico politico in un contesto di conflitti continui.

14 / 9 / 2023

Dal 15 aprile di quest’anno, in Sudan è in atto una guerra di potere che sembra lontana e quindi trascurabile. Si parla di migliaia di morti solo tra i civili, di bombardamenti e di fuochi anti-aerei nel cuore delle città, di quasi 3 milioni di sfollati tra cui 1 milione di persone fuggite nei Paesi confinanti.

Per capire cosa sta succedendo in Sudan con una prospettiva decoloniale, proponiamo alcuni stralci dalla lunga intervista della puntata del podcast di Radio Sherwood “Words from the World” dello scorso 15 maggio, rilasciata da Majid, Amro e Yazeed, ragazzi sudanesi che frequentano LiberaLaParola Padova, scuola di italiano libera e gratuita.

In questa 1° parte si parla di controllo e di schieramenti, di risorse in mano ai soliti pochi, di immigrazione e di esternalizzazione delle frontiere tra biopotere e necropolitiche. Nella 2° parte, di intrecci di interessi internazionali, di rivoluzione e di criteri rivoluzionari di riorganizzazione del potere dal basso.

“Tre settimane fa, circa il 15 aprile, è iniziato un conflitto tra le Forze di Supporto Rapido (RSF) e l'Esercito Sudanese (SAF). In realtà è una battaglia tra i rispettivi generali, Hemedti e Burhan - che sono i leader del Consiglio Sovrano di transizione - e si tratta di un puro scontro per il potere, per il controllo delle enormi risorse del paese. Sui media si dice che non c’è niente di chiaro, come se le due parti sostenessero cose diverse. Per esempio, il generale Burhan ha detto che Hemedti sta cercando di assumere il comando non pensando ad alcuna democrazia, ma solo per il potere, mentre il generale Hemedti dice lo stesso di Burhan. Non c'è niente di vero, ma il fatto è che ora i civili sono sotto pressione perché i due eserciti stanno combattendo a Khartoum e Al-Ubayyid, le due città principali del Sudan, e Merowe. Soprattutto il centro di Khartoum, adesso, è come una città fantasma, letteralmente, non c'è connessione internet, non c'è elettricità e non c'è acqua. Le nostre famiglie a Khartoum stanno subendo questa situazione da circa cinque giorni. Non abbiamo potuto parlare con le nostre famiglie ed è così solo perché due uomini, due uomini diversi bramano lo stesso potere.

La nostra generazione ha vissuto troppe cose: guerre civili, rivolte, conflitti e colpi di stato militari. Un’intera generazione ne ha sofferto e ora vorremmo solo avere stabilità nel nostro paese, solo un semplice periodo di stabilità”.

Prima di entrare nei dettagli di ciò che sta avvenendo ora, riteniamo sarebbe utile fornire una breve introduzione alla storia e agli eventi recenti che sono accaduti in Sudan.

“Il Sudan è un paese ricco di storia antica, a partire dal Regno di Kush, uno dei regni più potenti dell'area intorno all’800 a.C. e ciò che testimonia l’enorme potere di quel periodo sono più di 200 piramidi, costruite sul territorio dove prima c’era il Regno. Tuttavia, se parliamo della storia contemporanea del Sudan, dopo l'indipendenza dal Regno Britannico del 1956, vedremo solo conflittualità e guerre civili. Sì, conflitti, guerre civili e situazioni instabili fino all'azione più significativa, la rivolta del 2018. Per capire di più i due lati del conflitto, dobbiamo dare uno sguardo agli accordi e agli incarichi definiti durante il periodo rivoluzionario”.

“Nel 2019, quando i movimenti rivoluzionari pacifici sono riusciti a rovesciare il regime e a rimuovere il capo del sistema dittatoriale che abbiamo avuto per più di 30 anni (il generale Omar al-Bashir), è stato stipulato un accordo tra il settore militare (che è una sorta di avanzo del regime precedente e che contiene anche il gruppo RSF) e i rappresentanti di una parte del movimento rivoluzionario che in quel momento stava guidando la protesta nelle strade, che comprendeva anche la maggior parte dei partiti politici, delle associazioni dei lavoratori, dei Comitati di Resistenza e dei gruppi giovanili. Quest’accordo portò a un nuovo governo, con un Primo Ministro civile, che ha assunto il controllo per un periodo di transizione previsto di 2 -3 anni (fino al raggiungimento di un'elezione), mentre il controllo effettivo del potere è stato affidato a un Consiglio Sovrano composto dai leader delle SAF, delle RSF, e anche da parti della comunità civile”.

“Nell’ottobre 2021, anche questo periodo di transizione è stato interrotto con un colpo di stato militare dallo stesso personale militare al potere. Hanno arrestato il Primo Ministro civile e il suo gabinetto, gli altri membri civili del Consiglio Sovrano e molti attivisti e politici. Le proteste di massa organizzate in tutto il Paese sin dal primo giorno del golpe, hanno spinto il personale militare ad accettare un accordo con i partiti politici che in qualche modo rappresentavano la voce dei cittadini e il trattato si sarebbe dovuto firmare proprio lo scorso aprile, ma pochi giorni prima della firma la guerra, o il conflitto, è ricominciata.  Uno dei dettagli principali di quel patto prevedeva la fusione dei diversi gruppi armati in Sudan, compresi le RSF e i ribelli del Darfur, esclusi due gruppi che non vi avevano aderito, ma avevano accettato di interrompere qualsiasi attività di combattimento già dalla rivoluzione del 2019. Le due parti, quella civile e quella militare, non si sono accordate su alcuni dettagli riguardanti la fusione delle milizie e della RSF in un unico esercito, ed entrambe le parti sono sostenute da gruppi e Paesi esterni, come lo sono anche le RSF e le Forze Armate Sudanesi.

Sembra che i militari non fossero seriamente intenzionati a passare il potere e stessero manipolando i civili. Hanno acconsentito a firmare l’accordo, ma era ovvio che non volessero davvero firmarlo, ecco il perché dell’inizio della guerra”.

Qual è il motivo per cui le Forze di supporto rapido (RSF) non fanno formalmente parte dell'esercito sudanese e cosa c'è dietro l'attuale conflitto che le coinvolge?

“Le RSF, le Forze di Supporto Rapido, sono una delle realtà più complesse in Sudan ora, perché non si tratta solo di qualcosa di interno, ma sono coinvolti anche molti altri attori e comunità internazionali. Sono state regolarizzate durante il conflitto in Darfur[1], per sostenere il governo o, diciamo, l'esercito nazionale, per combattere i ribelli lì, ma purtroppo provengono da tribù specifiche e avevano iniziato chiamandosi con il nome "Janjaweed", che può essere tradotto con "un diavolo che sta sopra a un cavallo" perché usavano i cavalli per i loro trasporti e per attaccare e derubare le persone nei villaggi del Darfur. In realtà non solo rubavano, ma uccidevano, quindi avevano già pistole e altre armi. Quell’area era fuori dal controllo del governo a causa dei conflitti con i ribelli, quindi approfittavano della situazione per derubare e uccidere i civili in Darfur senza alcuna pietà, semplicemente uccidevano e razziavano, anche se la gente del posto è molto povera, ma diciamo che arrivavano a uccidere per 1 dollaro o meno, un asino, una mucca o qualunque cosa tu possedessi e non uccidevano solo te, ma tutta la famiglia e bruciavano il villaggio per questo. Dobbiamo dire che le persone in Darfur, come in molti altri territori del Sudan, usano capanne come alloggio, che sono fatte di bastoncini di legno secchi, quindi è molto facile bruciarle e se una capanna o una piccola parte del villaggio viene bruciata, può portare all'incendio di tutto il villaggio e a loro non importava delle persone o altro. In ogni caso hanno compiuto un vero e grande genocidio in Darfur”.

“Dopo un po' di tempo, il precedente regime li ha inseriti ufficialmente nella costituzione e ha dato loro un ruolo ufficiale in Sudan, per coprire il genocidio e le atrocità che hanno compiuto.

Il regime ha cercato di convincere la comunità internazionale giocando la carta degli immigrati e questo è un argomento molto interessante per le persone che non sono del Sudan. Per rispondere alle indagini e alle preoccupazioni della comunità internazionale su RSF, il governo ha affermato che quelle forze ci stavano aiutando a impedire ai migranti di andare in Europa, in particolare quelli provenienti dal Corno d’Africa, come Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia e Sud Sudan, perché il Sudan è di dimensioni molto grandi, con confini molto lunghi ed estese aree aperte disabitate e tutti questi migranti passano quindi attraverso il Sudan.

Per capire questo argomento, c'è un tema molto interessante chiamato ‘Processo di Khartoum’[2]. Si tratta di un accordo firmato tra l’ex governo dittatoriale sudanese e altri governi africani da una parte e l'Unione Europea dall'altra, e Khartoum è il nome della capitale del Sudan. Questo accordo è stato stipulato per fermare i movimenti migratori, formalmente doveva servire a migliorare la vita dei migranti nei loro Paesi, per fermarli, per non farli andare in Europa, ma in realtà il governo usa questa milizia per bloccarli senza curarsi delle conseguenze, anche se questo porta a ucciderli lungo il percorso, che è per lo più desertico. Questa è il punto, c'è un termine per questa cosa che è NIMBY, not in my backyard, non nel mio cortile. Quindi NIMBY è un’espressione usata per descrivere le azioni che la gente vuole, ma che non compie in prima persona: invece di fare le cose brutte vicino a te, le fai fare lontano da te.

E poiché Human Rights e tutti i media si concentrano su Italia, Spagna e Germania, che sono i paesi in cui i migranti cercano di entrare, se succedesse qualcosa in quei luoghi, i media ne parlerebbero subito dopo, ma se ciò accade in un posto molto lontano come il Sudan, dove i fatti rimangono più nascosti, nessuno se ne occuperà o ne parlerà. Quindi sì, sulla carta gli Europei hanno pagato circa 150 milioni di euro a queste Forze o al governo in nome del miglioramento della vita dei migranti e della realizzazione di alcuni progetti nei loro Paesi, ma ci sono molti rapporti che dicono che questo denaro viene utilizzato per armare le RSF di più e per addestrarle di più, per fermare i migranti nel deserto del Sahara in ogni modo possibile. Tenendo conto che queste Forze stanno già uccidendo la loro stessa gente in Sudan, potete immaginare cosa possano fare agli stranieri sotto la copertura del governo e della comunità internazionale”.

“Infine, tenendo conto che ora siamo in Italia, voglio ricordare che in una delle ultime interviste di Hemedti alla BBC - prima della recente guerra - gli è stato chiesto se avesse qualche sostegno o coordinamento con l'Unione Europea nella loro lotta contro l’immigrazione clandestina e lui all'inizio ha risposto con ‘non c'è alcun tipo di sostegno da nessun parte’ poi ha riconosciuto e ha aggiunto ‘tranne che dagli italiani che ci sostengono tecnicamente e con l’addestramento’ e questa intervista risale esattamente a 8 mesi fa”.

Quindi sì, le Forze Rapide RSF hanno molte cose da dire e su cui cercare, ma in generale, per concludere, è per tutto questo che ora sono grandi e potenti come l'esercito nazionale in Sudan”.



[1] “Il Darfur si trova nella parte occidentale del Sudan e da quando abbiamo ottenuto la nostra indipendenza, quelle aree sono rimaste emarginate, non hanno un buon sistema sanitario e non ci sono buone infrastrutture. Gli abitanti mai hanno avuto alcun ruolo anche nelle strutture di potere e alcuna voce nel governo, quindi hanno deciso di combattere, combattere contro il governo centrale”. Motivazioni simili hanno portato alla secessione del Sud Sudan.

[2] l Processo di Khartoum è stato avviato nel 2014 dal governo Renzi (con Gentiloni Ministro degli Esteri e Mogherini Alto Rappresentante per gli esteri dell’Unione Europea) nel corso del semestre italiano di Presidenza dell’unione Europea, dopo la chiusura dell’operazione Mare Nostrum. Proseguito con il governo Gentiloni e con Minniti Ministro dell’Interno, si può considerare l’inizio dello “schema Minniti” per l’esternalizzazione delle frontiere Europee in Africa, tuttora in uso.