Questa mattina un gruppo di antifascisti bergamaschi ha sabotato la commemorazione che il prete fascista Giulio Tam ha tenuto al cimitero di Bergamo per ricordare un repubblichino

Azione al cimitero di Bergamo - no al fascismo, no al revisionismo storico

comunicato dei GAP - chi era il repubblichino commemorato? un approfondimento - il video dello striscione

19 / 7 / 2009

NO AL FASCISMO - NO AL REVISIONISMO STORICO

Torna ancora una volta a fare capolino a Bergamo il revisionismo storico, con il suo odioso armamentario fatto di menzogne e riscrittura della Storia: protagonista di questa vergognosa operazione è padre Giulio Tam, il “prete in camicia nera”, un sacerdote sospeso a divinis dalla Chiesa che ha celebrato una messa al cimitero di Bergamo per ricordare il sotto tenente repubblichino Gino Lorenzi, a detta dei nostalgici “martire della barbarie partigiana”.
Gli antifascisti di Bergamo - prendendo esempio dai Ribelli della Montagna di Rovetta - non sono stati a guardare, hanno messo in campo una risposta intelligente ed efficace: 6 manichini “fucilati” sono stati appesi alle luci dell’alba fuori dalla sede de “l’eco di bergamo” a ricordare i 6 civili inermi fatti trucidare a Gaiarine (TV) da questo “martire” nonchè, durante la commemorazione - che riuniva il peggio della canaglia fascista - magicamente uno stereo sparava a tutto volume le note di “Bella Ciao” e di altri canti partigiani e dalla gru di un cantiere vicino veniva misteriosamente srotolato un enorme striscione che ricordava che la nostra città è antifascista, creando sgomento e rabbia negli occhi torvi dei nostalgici del Ventennio.
La Storia non si riscrive, respingiamo qualsiasi attacco strumentale a chi ha liberato l’Italia e i tentativi di distorsione della Storia.

Bergamo è antifascista!
Onore ai partigiani! Nessuna pacificazione!
Senza Tregua!

sono tornati i GAP [Gruppi di Azione Patriottica] 

il video dello striscione trovate qui

Gino Lorenzi: santo o criminale?

Epilogo

Dopo il 25 aprile, tre sottotenenti bergamaschi della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) di stanza a Oderzo (TV) stanno tornando a casa, a Bergamo, con un lasciapassare del CNL in tasca. Si tratta di Gino Lorenzi, Mario Testa e Illio Galli.Vengono fermati a un posto di blocco dai partigiani che ignorano il lasciapassare e li rinchiudono in carcere a Breda di Piave. Di lì vengono trasferiti presso la cartiera di Mignagola di Carbonera, fabbrica trasformata in campo di concentramento dalla banda partigiana che fa riferimento a Gino Simionato detto “Falco”. Vengono torturati ed ammazzati la notte tra il 3 e 4 maggio 1945.

Il Santo Lorenzi

Tra i movimenti neofascisti circola una “leggenda” che vede il Lorenzi torturato e crocifisso ad una croce di legno dal partigiano “Falco” per non aver rinnegato la sua fede in Cristo. La leggenda però ha diverse versioni dai contorni più fantasiosi: c’è chi dice che il Lorenzi portasse una medaglia religiosa al collo e i partigiani vedendola gli avrebbero intimato di rinnegare la sua fede e di fronte ad un rifiuto l’avrebbero crocifisso. C’è chi dice che prima sia stato inchiodato a una croce e poi gli sia stata offerta la possibilità di porre termine al suo supplizio rinnegando la sua fede ma che egli avesse risposto “La Croce che Gesù Cristo ha portato non può far paura ad un Cristiano” e lì, sia sopraggiunta la morte. C’è chi dice che sia stato legato ad una croce e frustato prima di essere ammazzato con un colpo di vanga in testa per aver difeso un camerata che veniva torturato dai partigiani. C’è infine chi dice che fosse stato accoltellato prima e finito a colpi di mitraglia poi. Qualcuno tra i neofascisti ha pure avanzato una causa di beatificazione per il Lorenzi che non ha ancora però avuto seguito.

Gino Lorenzi e la strage di Gaiarine

Gino Lorenzi nasce il 14 gennaio 1925 a Bergamo. Frequenta come volontario il corso allievi Ufficiali al Battaglione Scuola di Varese. Viene assegnato come SottoTenente di prima nomina al Comando Provinciale di Treviso. E’ inquadrato nel Battaglione “M” Romagna (M sta per Mussolini) ed è di stanza a Oderzo in provincia di Treviso.

Il 5 aprile del 1945 (un mese prima della morte del Lorenzi) due militi del battaglione Romagna incrociano casualmente a Gaiarine (TV) un gruppo di partigiani e ne nasce uno scontro a fuoco. Uno dei militi riesce a scappare, l’altro viene colpito a morte. Il giorno seguente scatta la rappresaglia: un gruppo di militi fascisti si reca a Gaiarine con l’ordine di catturare 12 giovani da fucilare. Il gruppo è comandato dal Ten. Massi e dai tre S.Ten bergamaschi Lorenzi, Testa e Galli.

Il paese viene messo a soqquadro e vengono prelevati 12 giovani più il Commissario Prefettizio (Antonino Minuto) accusato di essere un collaboratore dei partigiani. Vengono allineati ad un muro per essere fucilati. Poco prima degli spari arriva dal Comando il Ten. Massi con nuovi ordini: 12 persone sono troppe per una rappresaglia ne bastano 6. Un milite fascista originario del posto viene incaricato di scegliere chi salvare e chi no.

Il sacerdote di Gaiarine raccoglie le suppliche dei giovani che lo implorano: “Don Ferruccio, ci salvi!”. Il povero parroco, non sapendo che fare, si rivolge al sottotenente Lorenzi e lo implora di lasciare in vita gli infelici per avere il tempo di esaminare le loro effettive responsabilità, ma la risposta che riceve è fredda e determinata: “Nulla da fare, è rappresaglia!”.

Vengono fucilati (anche da Gino Lorenzi):

- Davide Casaretto, nato il 10 marzo 1916 a Genova, impiegato, anni 29

- Onelio Dardengo, nato a Gaiarine il 2 luglio 1924, falegname, anni 20

- Antonino Minuto, nato a Reggio Calabria il 18 giugno 1905, Commissario Prefettizio di Gaiarine, anni 39

- Angelo Perin, nato a Gaiarine il 23 ottobre 1920, agricoltore, anni 24

- Placido Rosolen, nato a Gaiarine il 5 ottobre 1925, anni 19

- Rosario Tonon, nato a Gaiarine il 30 agosto 1920, anni 24

In realtà le vittime furono 7: la giovane moglie del Commissario Prefettizio, di cui purtroppo non si conosce il nome, quando comprende che anche il marito è destinato alla fucilazione, si ribella tentando di raggiungerlo. Rinchiusa a forza in casa dai militi, cerca invano di sfondare l’uscio per correre ad abbracciare lo sposo: i presenti sentono le sue urla disperate e i colpi contro il legno della porta con i quali tenta di aprirsi un varco. Di lì a poco tempo muore di crepacuore, lasciando solo al mondo un figlioletto in giovanissima età.

Sulla strage di Gaiarine viene aperta un’inchiesta i cui atti sono depositati presso l’Archivio del Tribunale di Treviso. Il procedimento a carico di Lorenzi, Testa, Galli e del Ten. Massi non si svolse mai in quanto tutti risultarono deceduti tra la fine di aprile e i primi di maggio 1945. Vennero raccolte comunque dai carabinieri importanti testimonianze da cui è stata tratta la ricostruzione dell’eccidio.

La fine del trio primavera

I sottotenenti Lorenzi, Galli e Testa (che erano definiti “trio primavera” da chi non li aveva conosciuti come avversari, per il carattere allegro ed esuberante che li contraddistingueva) furono fermati a un posto di blocco mentre rientravano a Bergamo e trasferiti alla cartiera di Mignagola dove furono passati per le armi.

In una deposizione rilasciata nel 1955 ai carabinieri di Codognè, tale Ermenegildo Perin dichiara che il S.Ten Testa non è morto fucilato alla cartiera di Mignagola bensì è riuscito a sfuggire alla cattura e si è trasferito in Argentina.

In un recente libro scritto da Antonio Serena (ex MSI, ex Lega Nord ed ex Alleanza Nazionale espulso nel 2003 per aver diffuso un video-documentario in difesa di Erich Priebke), dal titolo “La cartiera della morte”, vengono citate delle testimonianze orali rilasciate all’autore (i testimoni vengono spesso citati solo per le iniziali) in cui si dice che i tre sottoufficiali siano stati torturati ed ammazzati nella notte tra il 4 e 5 maggio 1945. Sulla vicenda del Lorenzi in particolare viene citata la testimonianza di T.B. che dichiara che il Lorenzi dopo aver difeso un camerata fu legato, crocifisso e frustato da un partigiano chiamato “Falco” che gli avrebbe poi spaccato la testa con un vanghetto. Un’altra testimonianza di F.M. dice di aver visto i tre sottotenenti uccisi a raffiche di mitra (non parla di crocifissione). Infine anche Ruggero Benussi, prigioniero detenuto nella Cartiera di Mignagola per parecchi giorni ricorda il Lorenzi e gli altri ufficiali bergamaschi ma non menziona nessuna crocifissione.

Fonti:

  • Antonio Serena, La cartiera della morte: Mignagola 1945, Mursia, 2009.

  • Federico Maistrello, Partigiani e nazifascismi nell’Opitergino (1944-1945), Cierre Edizioni, 2001

  • Mario Altarui, Treviso nella Resistenza, Edizioni Ca Spineda, 1975.

  • Archivio del Tribunale di Treviso, fascicolo istruttorio 125/1950.