La piazza che resiste. Considerazioni di uno studente.

19 / 10 / 2011

Black Block, Total Black. L’etichettatura, classificazione serve fin da subito ai media, ai politici e a tutta la comunità che è rimasta a guardare. Una comunità benpensante e di buoni costumi, che è lì pronta a gridare: ecco i violenti! I teppisti! Quelli che andrebbero rinchiusi in carcere. I rigetti della società, che non hanno niente da fare e che sono in strada per il puro gusto di devastare.

La condanna è unanime e in poco tempo tutti sono chiamati a dissociarsi e a tutelare la propria reputazione. Con una reazione a catena ogni politico, ai media conosciuto, è chiamato in causa per esprimere la propria condanna, con le prime parole che vengono in mente, tanto ognuna vale l’altra: mi dissocio…ripudio...invito…. E’ giusto per creare l’atmosfera da vittimismo politico.

Ed è così che, sondate tutte le dichiarazioni, montate tutte le immagini opportune, rifinito ogni servizio televisivo, è confezionato il pacchetto di marketing politico targato 15 ottobre, pronto da spedire ad ogni costo a chi è rimasto a guardare.

Intanto, quel pomeriggio un po’ di cose strane sono accadute. Ad esempio non corrispondono alla logica dei “riots” capitolini alcune testimonianze, come chi ha visto tali “facinorosi” prendersela con il corteo dei Cobas, storico sindacato anticapitalista di sempre, con la Polizia a garantirgli, per  dire, l’ordine allo spezzone. Succede che tra i manifestanti in “sfilata”, qualcuno cerca di far consegnare il ragazzo col casco alle forze dell’ordine. Succede che, a disordini inoltrati, gruppetti con le bandiere pacifiste si frappongono ai blindati che rincorrono i “violenti” in Piazza San Giovanni, a velocità sostenuta. Succede che alla televisione pubblica, su Rainews24, il senatore Pdl Butti, membro della Commissione parlamentare di vigilanza Rai, manda una nota polemica in diretta, polemizzando e criminalizzando il servizio che stava offrendo il direttore Mineo e i suoi inviati.

Così a dissociamenti e stereotipizzazioni concluse, non si fa attendere la macchina della repressione. Metti che per le forze dell’ordine suona come una vendetta e metti che il ministro Maroni e le poltrone in Parlamento devono far sapere che i disturbatori di piazza sono teppisti e pregiudicati. Gli arresti scattano subito, i dodici manifestanti fermati in flagranza di reato rischiano dai tre ai quindici anni di reclusione. Secondo il procuratore aggiunto di Roma, Pietro Saviotti, ci sono state “condotte violente organizzate prima degli scontri” e ancora “strumentalizzazione di una manifestazione pacifica, l’uso della manifestazione come contesto idoneo a ostacolare la pubblica difesa”, come se tali pratiche fossero ogni volta più moderne e marziane.

“Nel grande corteo di ieri (ndr) a Roma, gli indignati del 2011 hanno provocato un disastro. Erano anche loro vecchie conoscenze. Non a causa dell’età, abbastanza giovane, bensì per la connotazione politica. Centri sociali, militanti no global, Cobas, No Tav, No Ponte di Messina, avanguardie della Fiom, antagonisti, squatter, anarchici, collettivi universitari senza bussola. Tutti raccolti sotto una sigla copiata dal movimento spagnolo. Ma ancora una volta la loro furia è servita soltanto a devastare il centro della capitale, a fare feriti, a bruciare automobili, a distruggere agenzie bancarie e negozi, a invadere edifici pubblici”. Queste sono le tristi e infamanti parole di Giampaolo Pansa, il revisionista.

C’è da ribadire, soprattutto per chi era in piazza, che l’autocritica alle modalità d’organizzazione delle pratiche di dissenso, da una parte, e di conflitto, dall’altra, va fatta. Molta gente, anche tra chi era lì con il casco e vestito di nero, era la stessa che si era veramente indignata il 14 dicembre in Piazza del Popolo, passando all’azione e cercando di farsi breccia verso Montecitorio. Niente extraterrestri, sbirri infiltrati, squadristi e provocatori, che sono buoni solo a riempire la bocca alle strumentalizzazioni politiche dei soliti delatori da salotto televisivo. In più, va riconosciuto che nelle strade c’erano di mezzo anche altre realtà come movimenti locali resistenti e autentici,  precari e operai Fiom prossimi di licenza, una massa attiva che oggi appare agli occhi dell’1% che governa come il nuovo proletariato urbano rampante, il quale è più di qualcosa di dimostrativo nelle sue linee d’azione, ma che forse Pansa non sa.

In quel pomeriggio, le logiche di lotta erano molto differenti perché provenivano da realtà diverse, come se ci fossero due stati d’animo, uno appartenente a chi pensava di fare una passeggiata colorata, al massimo rumorosa e in linea con i coordinamenti di indignados mondiali e uno appartenente a chi era convinto che l’unica strada da prendere non fosse via Merulana o via Labicana, bensì quella del conflitto contro chi in quelle precise ore, in tenuta antisommossa, rappresentava gli interessi del Palazzo e non dei cittadini contribuenti.

C’è stato uno scollamento nella manifestazione del dissenso e una giornata disorganizzata quasi volutamente da parte del movimento di Italian Revolution, perché come è accaduto in tutte le metropoli si poteva puntare dritti verso i simboli urbani e materiali della crisi. A Roma, invece non si è arrivati alla Banca d’Italia, come davanti nessun ministero e sopra nessun binario. Il coordinamento ha scelto di evitare il centro nevralgico per sfaldare il corteo in Piazza San Giovanni, concludendosi festosamente e con un’improbabile e scontata assemblea. Forse tra le associazioni giovanili di alcuni partiti qualcuno respirava già aria di candidature e quindi era obbligato a non passare per i punti caldi della città.

Può darsi però, che a nessun intellettuale di turno faccia comodo sapere che tra i ragazzi in nero e con il casco vi erano studenti senza diritti e precari di generazione, che per quanto hanno inutilmente infierito per ore su un blindato in fiamme dei Carabinieri, nel luogo e nel modo sbagliato, hanno dato prova di resistenza e di autentica opposizione, contro gli interessi dei pochi miliardari e politici che facilmente pensano di scrollarsi di dosso lo stato di insolvenza del Paese.

Sono i soprannominati Black Block, che organizzati, fuoriescono dall’aria putrida dei luoghi comuni, del falso moralismo, dei Berlusconi e del politicamente corretto.

“Nun è che siamo incazzati, è che c’è rode proprio er culo”.

Gennaro Giorgione, studente di Sociologia di Urbino.