da MilanoX

Parigi: fuoco di paglia o primo round?

MilanoX

2 / 11 / 2010

TRATTO DA: MilanoX

Da tre settimane la Francia è attraversata da un movimento di dimensioni importanti. Il suo punto di partenza è stata la riforma delle pensioni, ormai approvata, che a grandi linee porta l’età pensionabile da 60 a 62 anni.

Giovedì 28 ottobre c’è stata l’ennesima giornata di mobilizzazione nazionale lanciata dai sindacati, e, dopo aver visto nelle date precedenti fino a 3 milioni e mezzo di francesi scendere in piazza, si ha avuto per la prima volta l’impressione di un movimento  in discesa.  Prima di tutto guardando le cifre, 2 milioni secondo i sindacati, la metà secondo la polizia. Ma soprattutto leggendo i giornali di questi giorni che titolano entusiasticamente “ritorno alla normalità” , “calo della mobilitazione”.

Eppure anche se nelle raffinerie ieri è stata votata la fine dello sciopero, per riprendere la produzione ci sarà bisogno di quasi 15 giorni (e anche gli stock strategici sembrano essere agli sgoccioli),  le azioni di blocco economico di varia natura non cessano, gli studenti universitari sembrano finalmente decisi  ad entrare in campo con occupazioni e blocchi previsti per la settimana prossima, una nuova data nazionale è programmata sabato 6 novembre.

Per cercare di capire che cosa stia succedendo allora forse bisogna fare un passo indietro, e cercare di leggerlo all’interno di un contesto più globale, innanzitutto di ristrutturazione economica e di crisi, e poi attraverso il ruolo dei suoi vari e molto diversi attori. Perché i paragoni col passato  non si sprecano: anti-Cpe, anti-Lru, e ancora prima il movimento del 1995 sulla disoccupazione, fino ad arrivare al maggio ’68! Ma è chiaro che si è di fronte a qualcosa di nuovo, che forse segna l’inizio di un nuovo ciclo di lotte, ma che sicuramente oltre a numerose ambiguità, mostra una serie di elementi di novità.

Innanzi tutto guardando le cifre effettive dello sciopero ( in pochi settori è stato superato il 20%). Per contro i reali danni all’economia esistono eccome, solo per le raffinerie sembra si aggirino per ora a 100 milioni di euro.

L’arma dello sciopero sembrerebbe quindi perdere di peso. E c’è da dire che se da un lato essa è resa meno efficace da un contesto economico di forte segmentazione e precarizzazione frutto di trent’anni di ristrutturazioni, dall’altro lo Stato pare aver trovato nuovi strumenti  giuridici per neutralizzarne l’efficacia:  le famose “requisizioni”  ( il Prefetto, e quindi lo Stato, decide che per ragioni di necessità del servizio pubblico o della popolazione alcuni lavoratori sono obbligati a tornare al lavoro, in caso contrario la legge prevede sanzioni pecuniarie e galera) e l’introduzione del servizio minimo. In altri settori, la nettezza urbana ad esempio, semplicemente rivolgendosi al privato.

Sembra quindi che le grandi giornate di mobilitazione di piazza siano servite in realtà prima di tutto a fornire la legittimità alla base per darsi altre pratiche, più diffuse in queste settimane, che superano il quadro della mobilizzazione sindacale. In particolare il blocco economico in settori strategici come il petrolchimico e i trasporti. Ma non solo. Blocchi nel settore dell’elettricità, davanti alle scuole, ai musei, fino ai numerosi blocchi stradali.

Ma di tutto questo poco o niente si legge sui giornali, che sembrano preferire concentrare l’attenzione su eventi spettacolari, in particolare gli scioperi delle raffinerie. E dietro questo si legge una strategia molto chiara. Dare l’impressione che tutto ruoti intorno a questi luoghi simbolici, e che una volta sconfitti questi bastioni, la battaglia sia stata persa. Ecco allora che ieri mattina si legge fine dello sciopero nelle raffinerie, ritorno alla normalità. E chissà che non funzioni davvero, dopo tre settimane di sciopero, e quindi stanchezza e difficoltà economiche.

Intanto però, mentre alcuni sindacati cercano di tornare a casa con qualche briciola in tasca , organizzando  la ritirata, e cominciando già a parlare di vittoria di consensi, qualcosa intanto forse si è rotto nella routine della contestazione  alle riforme, fatta di grandi cortei nazionali e conteggio delle percentuali di sciopero. Numerose assemblee interprofessionali si creano a livello locale, e crescono le reti di solidarietà e i coordinamenti, le casse di sciopero, le assemblee di lotta.  Un tentativo di risposta all’atomizzazione sempre più violenta nel mondo del lavoro, di ricomposizione dal basso. Non si può negare che si tratti ancora di un fenomeno minoritario, ma è sicuramente una novità di rilievo.

La risposta però è ben organizzata, e ha diversi fronti e strumenti. Non ultimo quello sindacale. La fine della lotta viene gestita attraverso assemblee a voto segreto, nelle quali sembra trasparire il tentativo di trasformare lo sciopero in una questione personale, non più assemblee di lotta quindi, ma conteggi di schede, ciascuno di fronte alla propria coscienza.

Ma soprattutto i mezzi d’informazione. Tra i partecipanti ai blocchi ci sarebbero lavoratori e casseurs, violenti e sindacati, chi ha la legittimità per lottare e chi no. Dividere per meglio controllare, solita storia viene da dire. Ma si è andati oltre questa volta. Meglio dare esempio concreto del clima che si respira, con una breve digressione. Durante l’ultimo corteo, verso la fine, alcuni manifestanti, molti dei quali appartenenti ai maggiori sindacati, rincorrevano un gruppo di poliziotti al grido di “polizziotti casseurs”. Si è molto parlato di infiltrazioni negli ultimi giorni, soprattutto rispetto ad un video che ha circolato in rete, dove si vede un gruppo di ragazzi incappucciati rompere una vetrina ed un signore ben vestito che, intervenuto a scapito della propria incolumità per difendere la suddetta vetrina, viene allontanato dopo che uno dei “black blocks” finge di dargli un calcio volante (per i giornali è ormai “il ninja”). C’è stato un grande di battito su questo video nei giorni seguenti nei quali si è sollevata l’ipotesi che si trattasse di poliziotti provocatori, tesi sostenuta strenuamente dalla sinistra istituzionale. La manifestazione seguente è stata perciò segnata dalla caccia al poliziotto provocatore. Roba da chiedersi se la prossima volta non si rischierà il linciaggio ad andare in manifestazione con una felpa un po’ troppo scura . I fronti si confondono, il sospetto si insinua.

E’ difficile dire che cosa succederà nelle prossime settimane. Ma anche se sarà stato un fuoco di paglia e se questa è già l’ora dei bilanci, forse qualcosa questo movimento ce lo ha insegnato, su una possibile configurazione delle future lotte a venire, sulle scommesse da fare, sulle possibili forme di organizzazione, sulla capacità e gli strumenti delle numerose forze della repressione.

Ricordiamo infine  che ci sono stati almeno 2500 fermi e 1700 arresti, al 22 ottobre.

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