Toni, singolare comune

Intervento di Judith Revel durante il saluto a Toni Negri, a Parigi, al Père-Lachaise, il 3 gennaio 2024. Tratto da Euronomade.

7 / 1 / 2024

Quando, due anni fa, Toni ha deciso di dare tutti i suoi archivi all’IMEC, si è chiesto, guardando tutte queste tracce accumulate, cosa costituiva la misura di una vita, la misura di quell’insieme sterminato di esperienze, di avvenimenti, di incontri, di progetti, di decisioni, di successi e di fallimenti, di pensieri, di gesti, di scritti, di affetti e di legami che la costituivano. E se lo è chiesto ovviamente perché voleva capire cosa sarebbe rimasto di tutto ciò dopo di lui, ma anche perché guardava all’indietro quella strana scia che in qualche modo non aveva cessato di aprire. Odiava guardare all’indietro, forse per questo non è mai stato benjaminiano, ma si poneva, al presente, la questione della coerenza della sua vita.

Oggi vedendovi, vedendoci, tutti riuniti, mi dico – io che ho fatto parte della vita di Toni solo per gli ultimi trent’anni, per l’ultimo terzo della sua esistenza – che ciò che costituisce una vita, ciò che ha costituito la sua vita, è anche depositato in ciascuno di noi. In qualche modo, ne siamo la testimonianza al presente: non, o non solo, perché ciascuno di noi possiede ricordi privati, ma perché ci sentiamo addosso l’esigenza di coerenza che era la sua.

Questa coerenza etica e politica, che fino all’ultimo è stata una sua preoccupazione, ha preso – tra tante – almeno tre forme che vorrei ricordare oggi perché che mi sembrano tutte e tre di estrema attualità.

La prima è l’odio totale, assoluto, viscerale, per la guerra – per tutte le guerre. Toni era figlio della guerra, ne aveva dei ricordi estremamente precisi, e l’idea stessa della guerra lo metteva in uno stato di agitazione indescrivibile. Per la maggior parte di noi la guerra è una cosa astratta, perfino quando è alle nostre porte: un insieme di buone o di cattive ragioni, delle immagini alle quali abbiamo finito per abituarci, ogni tanto un sentimento di orrore. Ma per Toni la guerra era intollerabile. E buona parte della sua militanza nasce da quell’intollerabile, spostato su altre situazioni, altre sofferenze, altre ingiustizie, altre vite fate a pezzi.

La seconda forma di coerenza, quasi un monogramma del suo percorso, è stata la volontà ostinata di capire i cambiamenti, le mutazioni, le trasformazioni. Di anticipare l’emergere del nuovo. Diceva: “ho tanti difetti ma ho naso” – e in effetti aveva un nasone. Ma per capire ciò che si trasformava, bisognava guardare e soprattutto ascoltare – aveva anche orecchie gigantesche. Osservava, faceva domande, assorbiva come una spugna, leggeva, prendeva appunti, rielaborava, scriveva. C’era questo strano andirivieni tra la registrazione del reale e la diagnosi posta su di esso, l’ipotesi formulata a partire dal reale per capire il reale. Capire verso dove si va. Cogliere la tendenza. Descrivere la mutazione profonda. Per tutto questo aveva bisogno degli altri, aveva bisogno di imparare dagli altri. Mi ricordo di tante serate da cui io uscivo contenta, finché mi diceva: non era male ma non ho imparato niente. Venticinque anni fa, la cosa mi faceva incavolare. Adesso capisco perfettamente.

E poi c’è una cosa che un po’ immaginavo, ma di cui ho preso la misura vera solo dopo il 16 dicembre. Toni non era solo un incredibile anticipatore dei cambiamenti e delle rotture, ne era anche un vettore. Toni ha cambiato tante vite – la mia ovviamente, ma tante altre prima e dopo la mia. A volte ha contribuito a dare loro un senso, una pienezza, anche una pesantezza, soprattutto quando quella pesantezza si calcolava in anni di galera. Qualcuno dirà: ha anche lasciato cicatrici – e come negarlo? Ma mi sembra che quella pesantezza e perfino quelle cicatrici siano state commisurate alla potenza collettiva, all’indignazione condivisa, alla rivendicazione di un mondo più giusto, alla gioia di essere in tanti.

La terza forma di coerenza mi è evidente da tanto tempo, forse da sempre – e la vostra presenza oggi ne è l’ulteriore conferma.

Ciò che ci racconta la vita di Toni – una vita intima e personale, una vita affettiva e sentimentale, una vita intellettuale e politica, una vita pubblica – è la storia di una vita che non ha mai smesso di voler essere altro rispetto ad una semplice vita individuale.

Qualche anno fa, in un seminario a Venezia, aveva spiegato in modo pedagogico, in risposta ad una domanda, la differenza che c’era per lui tra un individuo e una singolarità. L’individuo era, per un certo pensiero politico moderno, il necessario elemento primo di ogni configurazione sociale e politica, quell’indivisibile, quell’atomo a partire dal quale tutto doveva essere costruito; mentre la singolarità, per lui al centro di una modernità alternativa, esisteva solo in relazione ad un’altra singolarità, o ad altre singolarità: non solo era presa nella forma della relazione, nella forma del rapporto, ma era prodotta dalla relazione stessa, ne era al contempo la condizione di possibilità e l’effetto sempre eccedente.

Al di là della posizione filosofica che tutto questo suppone, mi sembra che tutta la vita di Toni sia precisamente stata quella di una singolarità. E che buona parte della sofferenza che gli è stata inflitta sia invece venuta dal tentativo di riportarlo verso qualcosa come una reindividualizzazione forzata – il suo viso, il suo nome, il suo ghigno, la sua voce, usati come marchi d’infamia. Ciò che gli era insopportabile era la cancellazione di tutto il tessuto dei rapporti umani e politici che avevano letteralmente portato, sopportato, sorretto la stagione delle lotte e dei movimenti – era vero allora come lo è oggi.

Toni uomo di collettivi, di riviste, di giornali, di gruppi, d’imprese di scrittura a più mani, d’inchieste, di discussioni, di dibattiti, di corrispondenze, di amicizie reali o virtuali: Toni, singolarità sempre presa nell’intensità di rapporti con altre singolarità – e questo in pratica, molto prima ancora di arrivare a pensare concettualmente la moltitudine, la cooperazione o il comune. Per me, questo rappresenta la chiave.

Per questo, forse, affermare da buoni spinozisti che la morte non esiste, come diceva Toni volentieri, riconoscere Toni in ciascuna e ciascuno di noi, non è solo farsi coraggio per affrontare un mondo in questo momento particolarmente disperante.

Significa riconoscere se stessi come singolarità, e dire che non esistono intensità, gioia, potenza, indignazione senza comune. Toni è di Anna e di Checco, di Nina e di Doni, dei nipotini Luca, Emiliano e Lou, Toni è mio, Toni è di Michael e di Sandro, di Giairo e di Christian, di Alisa e di Giangi, di Gianfranco e di Coz, di Isa e di Gianni, Toni è di Luca e di Beppe, di Marco e di Giso, e di tante e tanti altri ancora che non posso nominare per mancanza di tempo – Toni è di ciascuna e ciascuno di voi, perché Toni è singolare comune.