Viaggio in uno
«shelter» tra le donne afghane che hanno subìto violenza. Dopo undici
anni di guerra la condizione femminile nel paese ancora occupato
continua a peggiorare. Lo conferma uno studio di Human Rights Watch.
Quasi tutte le ragazze detenute sono in carcere per «crimini morali»
«Quindici anni fa, quando è morto mio padre,
sono andata a vivere con uno zio che mi ha fatto sposare uno dei suoi
figli. Dopo un mese mio marito ha cominciato a picchiarmi; vivevamo con
la sua famiglia, tutti mi trattavano male. L'anno scorso mio marito ha
sposato un'altra donna e anche lei ha cominciato a picchiarmi», e mostra
le cicatrici sul suo corpo. «Siccome non posso avere figli mio marito
voleva buttarmi fuori di casa, allora sono andata da uno zio e quando ho
capito che mio marito non mi avrebbe mai più accettata, mi sono rivolta
al ministero degli interni per ottenere il divorzio», racconta Zineb.
Ma non è facile ottenere il divorzio e nel frattempo è ospitata in una
casa per le donne che hanno subìto violenze, perché la madre, che si è
risposata dopo la morte del padre, non ha più voluto saperne di lei.Lo
shelter è gestito da Hawca, una ong fondata nel 1999 e impegnata nel
sostegno a donne e bambini, prima tra i profughi in Pakistan e poi qui
in Afghanistan. Zineb è avvolta in un abito nero decorato di fiori
ricamati con filo argentato, deve essersi messa il vestito più bello per
scappare da casa. E' esile e la sua voce si sente appena, è arrivata da
soli tre giorni e deve ancora ambientarsi. Anche se dice di trovarsi
bene con le altre ospiti della casa, «a volte ho bisogno di stare sola,
soffro di mal di testa e ho avuto anche problemi al cuore». Cosa pensa
di fare in futuro? «Non lo so, per ora voglio il divorzio e poi spero di
avere una nuova vita», dice Zineb, mentre le lacrime le riempiono gli
occhi.La casa ha 30 posti letto, ma a volte ci sono anche 40 donne,
dice Hamida, la direttrice, e spesso con bambini. Le donne qui rimangono
da qualche settimana a due o tre anni, dipende dai casi. Mentre sono
qui seguono corsi di alfabetizzazione e di formazione per poter trovare
un lavoro in futuro, in modo da diventare indipendenti economicamente.
C'è chi ora fa la sarta e due sono diventate poliziotte. Alcune delle
ragazze sono molto giovani, tutte sono scappate di casa per sfuggire
alla violenza. Ma scappare di casa in Afghanistan, sebbene non sia un
reato secondo la legge, è un «crimine morale» che ti condanna
direttamente al carcere. Le detenute sono accusate in gran parte di
«crimini morali». Anche le donne che denunciano uno stupro invece di
veder punito lo stupratore finiscono in carcere con pesanti condanne per
«adulterio». La situazione delle donne, a oltre dieci anni dalla
caduta dei taleban, è terribile e in continuo peggioramento. Lo ha
confermato il rapporto di 120 pagine presentato ieri a Kabul da Human
rights watch (Hrw). Lo studio è basato su 58 interviste a donne detenute
in tre prigioni e tre centri giovanili accusate di «crimini morali».
Quasi tutte le ragazze sono detenute per «crimini morali», così come la
metà delle donne adulte. Questi «crimini» sono costituiti da fughe da
casa per sottrarsi a matrimoni forzati o alla violenza domestica. Alcune
donne sono state accusate di adulterio («zina») dopo essere state
stuprate o costrette alla prostituzione. Human rights watch esprime
preoccupazione per un possibile ulteriore peggioramento della situazione
quando verrà meno l'impegno internazionale.Tuttavia il forte
impegno internazionale (soprattutto militare) non ha migliorato
sostanzialmente la situazione: l'alfabetizzazione è aumentata ma le
femmine sono ancora fortemente discriminate (rappresentano il 30 per
cento degli studenti). Altri problemi riguardano la sanità, ancora oggi
50 donne al giorno muoiono di parto. Il fatto che le donne vengano
imprigionate non in base alla legge ma alla «morale» è estremamente
preoccupante perché avviene in aperta violazione delle leggi e sotto
l'occhio «vigile» della comunità internazionale. Ci sono diversi
modi per sfuggire alla violenza, anche immolandosi e andando incontro a
una morte terribile. L'ospedale Istiqlal ha un reparto riservato alle
ustioni, il 90 per cento dei pazienti sono donne, che difficilmente
riescono a sopravvivere, anche perché non vengono portate subito in
ospedale ma solo quando sono ormai in fin di vita.I delitti d'onore
sono diffusi ma non si conoscono dati perché vengono tenuti nascosti
dalla comunità o dalla tribù, quando una donna viene uccisa per lavare
l'onore scompare semplicemente. Quando non sono i «taleban» ad assumersi
il compito di lapidarla. La condizione delle donne è peggiore al di
fuori delle città, nei villaggi, dove è difficile raggiungere
associazioni che si occupano dei diritti delle donne e anche case dove
rifugiarsi.Nonostante questa situazione estremamente preoccupante
nel settembre del 2010 con una nuova legge il governo Karzai voleva
chiudere gli «shelter» delle ong, sostenendo che dovevano essere tutti
controllati dal governo. Dopo molte proteste è stato raggiunto un
compromesso: gli shelter chiusi sono rimasti alle ong, quelli aperti -
le donne possono uscire per andare al lavoro o per andare a scuola -
sono sotto il controllo del governo. Peccato che finora il governo non
ne abbia costruito nemmeno uno. Rimangono così quelli delle ong: tre a Kabul e quattordici in tutto l'Afghanistan, insufficienti rispetto al dilagare della violenza, ma evidentemente il governo preferisce incarcerare le donne colpevoli di «crimini morali» piuttosto che dare loro una speranza, l'arresto costituisce un monito per chi vuole ribellarsi all'ordine morale degli Ulema.
Tratto da Il Manifesto 30 marzo 2012