Terzo Tempo

17 / 12 / 2010

Non sono mai stato un tifoso, ho sempre giocato, giocato a Rugby sport rudemente nobile che ha nel contatto fisico la propria lealtà. Questo mi rimane. Il contatto fisico non è mai un problema, anzi, significa che ci sei che metti in campo la tua energia la tua voglia e foga, lo fai assieme ad altri. Il solista nel Rugby non esiste è un gioco collettivo che vive nell'entusiasmo di ritrovarsi assieme a resistere nei momenti in cui devi difenderti dagli attacchi avversari, e vive momenti di gioia pura quando rilanci, spingi e corri per conquistare metro su metro di campo e di futuro. Senti la spinta di chi ti sta dietro il bisogno di avanzare che ti sorregge, che ti permette di non sentire i colpi o dolore perchè quello che stai vivendo vale la pena viverlo.

Piazza del Popolo, migliaia di persone, perlopiù giovani e giovanissimi, hanno condiviso questa sensazione, con una marcia in più, non era un gioco, è la vita. Vivono un assenza di futuro che ti costringe a sanguinare, che ti impedisce di sottrarti, non ti permette di tifare ma ti chiede di esserci di portare il tuo contributo di spinta, sottrarre metri a chi ti vorrebbe schiacciato e inerte, non un momento di strategia e tattica ma di volontà e serenità. Serenità nel sapere che quello che stai facendo è quello che devi fare, animato da rabbia e indignazione, che va a colmare quel gap che sta tra l'osservare e il partecipare. Il popolo della mischia sa di cosa sto parlando è quel momento in cui metti la testa là dove altri non metterebbero le mani, ma non farlo sarebbe lasciare da solo un altro che come te in quel momento spinge e lotta e lo fa assieme a te, assieme a molti altri. Da solo non lo farebbe e tu nemmeno.

A pochi giorni dal 14 dicembre si vive ancora la fase del terzo tempo, quella in cui si condivide il racconto dei momenti vissuti, si condividono le azioni nella narrazione comune si vive il piacere di esserci stati. Adesso però viene il difficile, quella piazza era giusta, la rabbia indignata era sacrosanta e continua a esserlo, ma ci impone una prospettiva da costruire, la “meta” da raggiungere. Non c'è palazzo d'inverno da conquistare e sol dell'avvenir che ci scalda nell'attesa, ci sono nodi non facili da affrontare e un immaginario da costruire. Una speranza di futuro che oggi è assente, manca a tutti ma incatena i più giovani all'unica possibilità di presente vissuto nell'attimo.

Un alternativa che dia senso comune a quella spinta che si è manifestata ed è pronta a ripetersi, una progettualità che permetta di spingere nella medesima direzione, fuori dall'ipocrisia di quella sinistra, istituzionale o intellettuale, che dà consigli e spiega come, con troppa presunzione, sia giusto o sbagliato muoversi e mobilitarsi, costretta a criticare per non affrontare la propria inadeguatezza. Uniti contro la crisi oggi è un laboratorio possibile, intreccio di vissuti che tenta di sperimentare innovazioni, più che soluzioni, luogo di ragionamento e condivisione in cui dotarsi di strumenti comuni per affrontare questo momento. Per questo penso sia importantissimo vivere l'appuntamento del 22 e 23 gennaio al Rivolta con lo stesso spirito con cui abbiamo vissuto il 14 dicembre a Roma, le due cose sono assolutamente legate; senza Piazza del Popolo le due giornate di discussione al Rivolta sarebbero state inevitabilmente più povere, sicuramente dopo il 22 e il 23 gennaio le nostre giornate potranno essere più piene e maggiormente intense.

A chi sa vivere e amare, a chi sa giocare, a chi conosce il terzo tempo, a tutti voi che eravate presenti il 14 a Roma e a chi vorrà esserci anche nei prossimi mesi e anni.

Se mai avessi avuto dubbi su dove spingere adesso so che è molto gratificante far parte della stessa mischia in cui ci siete voi.

Con amore, Alessandro